Tomo III

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L’AUTORE

A CHI LEGGE.

(Tomo III)


L’
ANTIPORTA, o sia Frontispizio istoriato, che precede il presente Tomo, rappresenta un Teatro coll’orchestra fornita de’ Suonatori, ed una figura di Giovanetto in abito femminile, in atto di recitare il Prologo della Commedia. Questi è Goldoni, che in età di anni dodici, in compagnia di persone oneste e civili, in una casa di Galant’uomini, si espose per la prima volta in Perugia al prediletto esercizio delle Comiche Rappresentazioni.

Confesso il vero, piacer più grande io non aveva di questo. Supplito al debito della Scuola e faticato bastantemente per mantenere la mia Bandiera, tutti i miei respiri erano da me sagrificati al Teatro. Non so s’io abbia sollecitato i compagni o se da essi sia stato graziosamente invitato, so che fu promossa una recita e ch’io fui scelto per sostenere la parte di prima Donna. Grandissimo fu il mio piacere per questo, ma si accrebbe ancor maggiormente allor ch’io seppi che a me riserbato era l’onor del Prologo. Oh, che Prologo maraviglioso, sublime, dato mi fu ad imparare! Che fior di roba! Che sforzo di fantasia secentista!1 Opera egli era del vecchio padron di casa, il quale fatto aveva erigere il palco, e suppliva a tutte le spese per la gloria soltanto di far gustare agli uditori l’esquisito suo stile. Me ne ricordo ancora il principio, e ne vo’ fare un presente al mio cortese Lettore. Ecco com’io parlava al popolo, per conciliarmi la stima, l’ammirazione e l’aggradimento.

Benignissimo Cielo, ai rai del vostro splendidissimo sole eccoci qual farfalle, che spiegando le debol’ali de’ nostri concetti, portiamo a sì bel lume il volo. Deh, scintillando le tremule faville della grazia vostra, non permettete, che cadano incenerite le molli piume della nostra ignoranza, ma contraponendo al foco del vostro [p. 10 modifica]talento la pietosa mano della vostra bontà, fate sì, che possiamo vivere lietamente, per sempre mai festeggiare d’intorno alle chiare faci del vostro merito, e della luminosissima clemenza vostra. Peccato ch’io non me ne ricordi di più! S’udì prorompere l’uditorio in una solenne risata, che fu interpretata dall’Autore del Prologo per vero applauso, ed a me parve una sontuosa corbellatura. Capia benissimo sin d’allora, quant’erano stucchevoli le caricature del Secolo oltrepassato; e quanto mi annojava lo stile del Prologo, altrettanto mi dilettava quello della Commedia che da noi recitavasi, ed era questa: La sorellina di Don Pilone del Gigli. Grandi obbligazioni abbiam noi ai primi Scrittori del nostro Secolo, i quali hanno liberata l’Italia dalle iperboli, dalle metafore, dal sorprendente, ed hanno richiamata l’antica semplicità dello stile e la naturalezza del dire. Non può negarsi che i Secentisti non abbiano affaticato moltissimo, e non vi sieno stati fra loro de’ peregrini talenti.

L’amore di novità e il desiderio di segnalarsi sopra gli antichi gli ha fatti allontanare dalla purezza del buono stile, e per disavventura de’ loro tempi prevalse l’incantesimo alla verità, finchè stancato il Mondo dell’impostura, rinacque l’onor delle Lettere e della flagellata Poesia Italiana. Gli ultimi ad arrendersi al rinnovato miglior sistema furono i Commedianti. Continuarono essi fino a’ dì nostri a coltivare il sorprendente, il maraviglioso, perchè allattati dal pessimo nutrimento ed incapaci da per se stessi a cambiar sistema. Presentemente le nostre scene sono molto più regolate, e la grand’opera sarebbe perfezionata, se i buoni talenti che vi si impiegano, tendessero ad un tal fine, e non piuttosto si affaticassero per adular gl’Istrioni, invaghiti del loro primo mestiere. Io non intendo dire per ciò, che si avessero ad esiliare le nostre Maschere, e ne tampoco a privare l’Italia delle Commedie all’improvviso rappresentate, cosa onorevole e maravigliosa, che fa distinguere da tutte le altre nazioni la prontezza di spirito de’ nostri Attori. Quel ch’io vorrei l’ho già detto nel mio Teatro Comico, prima Commedia del Tomo primo, nè qui lo voglio ripetere, per non abusarmi della sofferenza de’ Leggitori e per non infastidire [p. 11 modifica]più oltre chi non ne è persuaso. Vero egli è che tanto s’empirà il Teatro con una buona Commedia di carattere, quanto col Convitato di Pietra, il Bernardo del Carpio, Arlecchino Mago e cose simili, e i Comici che lavorano per la cassetta, non pensano più in là del guadagno, ma è da compiangere il destino de’ Teatri d’Italia, condannati tuttavia all’impossibile o al sorprendente. Equivoco troppo è l’applauso dell’uditorio, contento spesse volte di un bel Volo, di una bella Trasformazione. Ascoltisi bene quel che si dice ne’ circoli, nelle Piazze, nelle botteghe, e i buoni Talenti che conoscono il buono, non tradiscano se medesimi per assecondare il piacere del volgo.


Note

  1. Nel testo: seccentista. - Ed.