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talento la pietosa mano della vostra bontà, fate sì, che possiamo vivere lietamente, per sempre mai festeggiare d’intorno alle chiare faci del vostro merito, e della luminosissima clemenza vostra. Peccato ch’io non me ne ricordi di più! S’udì prorompere l’uditorio in una solenne risata, che fu interpretata dall’Autore del Prologo per vero applauso, ed a me parve una sontuosa corbellatura. Capia benissimo sin d’allora, quant’erano stucchevoli le caricature del Secolo oltrepassato; e quanto mi annojava lo stile del Prologo, altrettanto mi dilettava quello della Commedia che da noi recitavasi, ed era questa: La sorellina di Don Pilone del Gigli. Grandi obbligazioni abbiam noi ai primi Scrittori del nostro Secolo, i quali hanno liberata l’Italia dalle iperboli, dalle metafore, dal sorprendente, ed hanno richiamata l’antica semplicità dello stile e la naturalezza del dire. Non può negarsi che i Secentisti non abbiano affaticato moltissimo, e non vi sieno stati fra loro de’ peregrini talenti.

L’amore di novità e il desiderio di segnalarsi sopra gli antichi gli ha fatti allontanare dalla purezza del buono stile, e per disavventura de’ loro tempi prevalse l’incantesimo alla verità, finchè stancato il Mondo dell’impostura, rinacque l’onor delle Lettere e della flagellata Poesia Italiana. Gli ultimi ad arrendersi al rinnovato miglior sistema furono i Commedianti. Continuarono essi fino a’ dì nostri a coltivare il sorprendente, il maraviglioso, perchè allattati dal pessimo nutrimento ed incapaci da per se stessi a cambiar sistema. Presentemente le nostre scene sono molto più regolate, e la grand’opera sarebbe perfezionata, se i buoni talenti che vi si impiegano, tendessero ad un tal fine, e non piuttosto si affaticassero per adular gl’Istrioni, invaghiti del loro primo mestiere. Io non intendo dire per ciò, che si avessero ad esiliare le nostre Maschere, e ne tampoco a privare l’Italia delle Commedie all’improvviso rappresentate, cosa onorevole e maravigliosa, che fa distinguere da tutte le altre nazioni la prontezza di spirito de’ nostri Attori. Quel ch’io vorrei l’ho già detto nel mio Teatro Comico, prima Commedia del Tomo primo, nè qui lo voglio ripetere, per non abusarmi della sofferenza de’ Leggitori e per non infastidire

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