Oh quanto a te degg'io
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VI
IL PENSIERO AMOROSO
Oh quanto a te degg’io,
pensier, compagno errante
d’amor, cervier de l’alma, Argo del core!
Tu fuor del petto mio,
spiritello volante,
per dar riposo al cor t’alzi a tutt’ore;
per te dolce l’ardore,
il languir m’è soave,
il penar non m’è grave,
ed oblïando il mio dolore immenso,
spensierato son io sol quando penso.
Tu, corrier pronto e desto,
ver’ madonna ten voli,
e piú la giungi allor ch’è piú fugace;
indi veloce e presto
ten riedi e mi consoli
con risposta gentil, muto loquace:
— Soffri — dicendo — in pace;
ché s’or languisci ardendo,
tosto arderai gioiendo,
e ricco mietitor, nocchiero accorto,
corrai la mèsse e giungerai nel porto. —
Tu, nuovo e strano Apelle
per me ti fai sovente,
sol per mostrarmi il mio bel sole espresso,
e con tempre sí belle,
con color sí lucente,
fingendo il vai, che ’l simolacro spesso
s’agguaglia al vero stesso;
anzi pingerlo sai
e colori non hai
e pennel non adopri, e mentre fingi,
pittore e non pittor, pingi e non pingi.
Ma di ciò non contento,
ogni chiuso sentiero
varchi d’onor malgrado e di fortuna;
e quindi in un momento
vivo il suo cibo e vero,
quando Giunone è bianca e quando è bruna,
porti a l’alma digiuna;
ma pur piú spesso alora
che notte il ciel scolora,
e tu, volando per gli orrori suoi,
porti, notturno ladro, i furti tuoi.
Alor sí ch’io m’aggiro
fra le notturne piume
felice amante e fortunato appieno.
Quivi lieto rimiro
degli occhi amanti il lume
splender tra l’ombre agli occhi miei sereno;
quivi mi scorgo in seno
tutto il mio ben raccolto,
e cosí dir l’ascolto:
— Godi e prendi da me pur la mercede,
o mio caro fedel, de la tua fede. —
Quand’io, ch’ardo e mi sfaccio
di gioia e di diletto,
a diletto maggior ratto m’accingo,
e lei, ch’a prova in braccio
chiuso mi tiene e stretto,
con parole e con man tocco e lusingo;
e dico: — I’ pur ti stringo,
giá dispietata, or pia,
viva catena mia,
e pur ritengo qui spirante e vera
te, mia bella prigion, ma prigioniera. —
Quinci, a le labbra amate
giunte le labbra amanti,
con qualche oimè dolcissimo mi dolgo,
e le rose baciate
con le rose bacianti,
qual famelica pecchia, involo e colgo.
Dai baci al fin mi volgo
con piú dolce desire
dolcemente a morire,
e con la vita mia, col mio tesoro,
restando in vita, esco di vita e moro.
Qui frena, alma mia stolta,
la lingua audace e sciolta;
pon freno al canto ormai che ti distorna,
e fra il silenzio al tuo pensar ritorna.