O gloriosa e santa povertade
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Lauda che tratta della povertà molto divota.
O glorïosa e santa povertade,
Come tu se’ da pochi cognosciuta
E non cara tenuta
Sì com’esser dovresti al parer mio;
5E perchè se’ vestita d’umiltate,
Ciascun ti spregia, ciascun ti rifiuta;
E s’alcun ti saluta,
Fai con isdegno e non con atto pio
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E da lui in qua poi
Pochi ne sono stati: ma di fresco
Ben ti cognobbe il beato Francesco.
Francesco t’abbracciò, e veramente
15Ti volle per sirocchia e per isposa
Spregiando ogn’altra cosa,
E sanza te non fece mai un passo:
Po’ ch’egli vide che sicuramente
Potìe con teco andare e stare in posa.
20Non ti tene nascosa,
Nè parvegli per te venire in basso;
E spesse volte faceva d’un sasso
Con suo’ compagni la tavola, e ’l letto;
E tanto avìa diletto
25Quanto era con teco, asciutto o molle;
Nè viver sanza te un’ora volle.
Volleti seco per ogni cammino
Per ogni luogo dubbïoso e oscuro,
Rendendosi sicuro
30Di te più che di mille cavalieri.
Or qual fu sì feroce malandrino
Ch’avesse il cor sì dispietato e duro,
Che tu con quell’uom puro
Del cor non gli traessi i ma’ pensieri?
35El trovò ben di que’ che volentieri,
Se tu non fossi, rubato l’avriéno;
Ma, come te vediéno,
A dietro si volgevan con vergogna:
Sì che temer con teco non bisogna.
40 Non bisogna temer, dove tu sia,
Di ladri nè di sorci o di tignuole;
Chè ’l furo imbolar suole,
E la tignola e ’l sorco guasta i panni.
Sempre è sicura tua mercatanzìa,
45Perchè ciascun la fugge e non la vuole:
Ed a me molto duole,
Ch’e’ mi par che ciascun sè stesso inganni;
Chè possendo aver posa vuole affanni,
Cercando il mondo per mare e per terra
50Solo per farsi guerra;
Ma tale el capital perde e ’l guadagno,
Che sarìa franco essendo tuo compagno.
Non vuol tua compagnìa e non vuol pace
Con teco aver chi troppo s’affatica
55Ed hatti per nimica
Nè vuolti mai vedere a sè a lato:
Non ti cognosce; però gli dispiace
Tua amistà, veggendoti mendica;
E pure al mondo abica;
60Ma finalmente rimane ingannato.
Perch’e’ mi par che tu facci beato
Ciascun che fa con teco compagnìa:
E che questo ver sia,
Per molti santi padri si può dire,
65Che vollon teco vivere e morire.
Molti t’appellan per nome miseria,
E tu mi pari sopra ogni ricchezza:
Ma chi così ti sprezza
Non ti cognosce, come fe il Signore;
70Che se ti cognoscesse, sanza feria
Ti pregherebbe con molta dolcezza
Ed avrebbe vaghezza
Di ritrovarsi teco a tutte l’ore,
E non ti sdegnerìa, ma con amore
75T’abbraccerebbe ed alla mensa e a letto
Amando con effetto
Quel ben che è quasi odiato da tutti
Ma non da chi cognosce i tuo’ buon frutti.
Quando avëa le molte vivande
80Ed era di buon vini ben fornito,
Perdeva l’appetito
E non potìa dormire in su la piuma;
Oggi a bisogno mangerei le ghiande,
Berei dell’acqua per vin favorito,
85E poi così nodrito
Nell’acqua dormirei sovra la schiuma:
Così diviene a chi teco costuma:
Ond’io per me t’accetto e vo’ per donna
Di me, vita e colonna;
90Po’ che teco sto sano e gaglïardo,
A Dio servendo sotto san Bernardo.
Muovi, canzone, vanne a frate Duccio,
Povero frate di Montuliveto,
Che tutto quanto lieto
95Vive con quella di cu’ io ragiono;
E raccomandagli Antonio di Puccio
A cui ha fatto fare il tuo dicreto,
E ’n palese e ’n secreto
Gli di’ che ’n tutto al suo servigio sono;
100Poi gli reca alla mente il magno dono
Che mi promise, quand’ebbe pietate
Di mia avversitate;
Ch’i’ ho tal fede in sua orazïone,
Ch’i’ spero migliorar mia condizione.
(Dalla cit. Miscellanea di cose inedite o rare per F. Corazzini.)