O baci avventurosi

Giovan Battista Marino

XVII secolo Indice:Marino Poesie varie (1913).djvu Letteratura I. La canzone dei baci Intestazione 29 novembre 2016 100% Da definire

Poich'a baciar ne 'nvita
Questo testo fa parte della raccolta Poesie varie (Marino)/Le canzoni e i madrigali amorosi
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la canzone dei baci

     O baci avventurosi,
ristoro de’ miei mali,
che di nettare al cor cibo porgete;
spiriti rugiadosi,
sensi d’amor vitali,
che ’n breve giro il viver mio chiudete;
in voi le piú secrete
dolcezze e piú profonde
provo, talor che con sommessi accenti
interrotti lamenti,
lascivetti desiri,
languidetti sospiri
tra rubino e rubino Amor confonde,
e piú d’un’alma in una bocca asconde!
     Una bocca omicida,
dolce d’Amor guerrera,
cui natura di gemme arma ed inostra,
dolcemente mi sfida,
e schiva e lusinghiera,
ed amante e nemica a me si mostra.
Entran scherzando in giostra
le lingue innamorate;

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baci le trombe son, baci l’offese,
baci son le contese;
quelle labra, ch’io stringo,
son l’agone e l’arringo;
vezzi son l’onte, e son le piaghe amate,
quanto profonde piú, tanto piú grate.
     Tranquilla guerra e cara,
ove l’ira è dolcezza,
amor lo sdegno, e ne le risse è pace;
ove ’l morir s’impara,
l’esser prigion s’apprezza,
né men che la vittoria il perder piace!
Quel corallo mordace,
che m’offende, mi giova;
quel dente, che mi fère ad ora ad ora,
quel mi risana ancora;
quel bacio, che mi priva
di vita, mi raviva;
ond’io, c’ho nel morir vita ognor nova,
per ferito esser piú, ferisco a prova.
     Or tepid’aura e leve,
or accento or sorriso,
pon freno al bacio, a pien non anco impresso.
Spesso un sol bacio beve
sospir, parola e riso;
spesso il bacio vien doppio, e ’l bacio spesso
tronco è dal bacio stesso.
Né sazio avien che lasce
pur d’aver sete il desir troppo ingordo:
suggo, mordo, rimordo,
un bacio fugge, un riede,
un ne more, un succede;
de la morte di quel questo si pasce,
e, pria che mora l’un, l’altro rinasce.
     L’asciutto è caro al core,
il molle è piú soave,

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men dolce è quel che mormorando fugge.
Ma quel, che stampa Amore
d’ambrosia umido e grave,
i vaghi spirti dolcemente sugge.
Lasso! ma chi mi strugge
ritrosa il mi contende
in atto sí gentil, che ’nvita e nega,
ricusa insieme e prega.
Pur amata ed amante,
e baciata e baciante,
alfin col bacio il cor mi porge e prende,
e la vita col cor mi fura e rende.
     Miro, rimiro ed ardo,
bacio, ribacio e godo,
e mirando e baciando mi disfaccio.
Amor tra ’l bacio e ’l guardo
scherza e vaneggia in modo,
ch’ebro di tanta gloria i’ tremo e taccio;
ond’ella che m’ha in braccio,
lascivamente onesta,
gli occhi mi bacia, e fra le perle elette
frange due parolette:
— Cor mio! — dicendo, e poi,
baciando i baci suoi,
di bacio in bacio a quel piacer mi desta,
che l’alme insieme allaccia e i corpi innesta.
     Vinta allor dal diletto
con un sospir se ’n viene
l’anima al varco, e ’l proprio albergo oblia;
ma con pietoso affetto
la ’ncontra ivi e ritiene
l’anima amica, che s’oppon tra via;
e ’n lei, ch’arde e desia
già languida e smarrita,
d’un vasel di rubin tal pioggia versa
di gioia, che sommersa

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in quel piacer gentile,
cui presso ogni altro è vile,
baciando l’altra, ch’a baciar la ’nvita,
alfin ne more, e quel morire è vita.
     Deh taci, o lingua sciocca;
senti la dolce bocca,
che t’appella e ti dice: — Or godi, e taci! —
e, per farti tacer, raddoppia i baci.