Novellette e racconti/XV. Nuovo modo di educazione

XV.
Nuovo modo di educazione

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XIV. L'Avaro punito XVI. Ammirabile fedeltà di un cane
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XV.


Nuovo modo di educazione.


Un modo assai nuovo di allevare figliuoli mi è avvenuto d’intendere per caso sabbato di sera, mentre che soletto scendeva pian piano il ponte di Rialto. Camminavami innanzi un uomo di età mezzana, riccamente vestito, con un figliuolino di bello aspetto e gentile portamento di vita, ma che soprattutto, a quello che ne udii, avea in corpo una [p. 25 modifica]continua curiosità che Io facea balzare repentinamente da una domanda in un’altra: qualità stimata dai maestri squisito argomento di un ingegno attissimo a fornirsi di conoscenze. Udii dunque che il fanciullo, levando gli occhi al cielo, domandava al padre suo che cosa fossero le stelle? quegli rispondea: Figliuol mio, le stelle sono stelle e cose che risplendono come tu vedi. Le saranno dunque, ripigliava il ragazzo, candele? Fa tuo conto, diceva il padre, le sono appunto candele. Di sevo o di cera? disse il putto. Oh, di sevo, in cielo! no: di cera, di cera, disse il padre per isbrigarsi, trovandosi impacciato a rispondere. Ma guarda basso, seguì, che tu non inciampi; tanto hai da guardare qui in terra, che non so qual voglia ti prenda di guardare all’insù a quest’ ora. E quelle che cosa sono? disse allora il giovanetto, voltatosi ad una bottega di grascia a lato, e accennando non so quali anguille. Quelle sono anguille affumicate, rispose la paterna filosofia; nè mai potresti credere a mezzo come le son buone a mangiarle: le si fanno prima con diligenza scuojare, dando loro un taglio intorno al collo, e appresso traendole fuori della pelle, come fa tua madre rovesciando un guanto lungo per trame fuori il braccio: poi (impara bene, perché tu hai un giorno a reggere le mie poche facoltà e a comandare a’ servitori che sono un branco di animali, se i padroni non sanno il fatto loro); poi, dico, le si mettono ad ammollare in acqua tiepida per certe poche ore; indi si lessano, e mettivi su olio, pepe e sugo spremuto di limone, ch’io ti so dire, avrai fatto un intingolo da leccarti le dita. — Io diceva fra me, udita quesia lezione: Vedi informazioni che acquista il cervellino di questo giovanetto! quanto all’anguilla, eccolo fatto dottore, oltre alla lodevole e decorosa comparazione del braccio della madre tratto fuori del guanto coll’anguilla scuojata; e forse in vita sua, da questa prima impressione, crederà che le stelle sieno candele di cera. — Andiam oltre; e il putto domanda: Tanti carnaggi e [p. 26 modifica]robe che qui si veggono da mangiare, si mangeranno tutte? Sì, tutte, rispondeva il maestro padre: domani è Pasqua; giornata notabile a tutti gli uomini dabbene, nella quale, per ricordanza della nostra felicità, ognuno procura di fornire abbondantemente la sua mensa e di mangiare allegramente e bere con la sua famiglia. Domani voglio mangiare finchè mi crepa la pelle, rispose il putto. Il padre rise, e voltatosi a me, vedendo ch’io gli seguiva a passo a passo, fecemi l’occhiolino, quasi volesse dirmi: Che vi pare dello spirito di questo mio figliuolino? — Giunti alla Merceria, domanda il giovane: E qua che si vende? e accenna la bottega di un librajo. Figliuol mio, qui si vendono libri. Io ne voglio uno, disse il putto. Al primo giorno da lavoro rimettiamola, disse il padre, e ti comprerò l’abaco. Che cosa è abaco? disse il fanciullo. È il solo libro del mondo che vaglia qualche cosa, perchè t’insegnerà a far conti del tuo avere; di quanto riscuoti o spendi: quando avrai bene imparato quello, potrai dire che sai tutto, e ad un galantuomo non occorre altro. E quella roba, che è? dice il giovanetto; e segna col dito una bottega da frange d’oro e di argento. Quelle sono frange, dice il padre. E che se ne fa ? ripiglia il giovane. Non vedi tu? le sono di queste medesime ch’io e tu abbiamo sopra i nostri vestiti; e impara bene e tieni a mente, che, per essere stimato uomo dabbene e degno di rispetto, bastano tali fornimenti, e che senza questi non sarai ben veduto, nè accolto in verun luogo; sicchè pensaci, figliuolo mio, e tieni a mente le parole di chi ti vuol bene. — Intanto si arresta il giovinetto dinanzi ad una bottega da fiorellini e cuffie, e guarda; e l’altro dice: Vedi tu? quando tu sarai giunto all’età di avere una bella innamorata e le farai qualche presente di queste chiappolerie, ella ti vorrà bene. Io vorrei, grida il putto in fretta, un fiorellino da donarlo alla Lucia. Io non so chi diavol si fosse cotesta Lucia; ma il padre smascellando delle risa, non mette tempo [p. 27 modifica]in mezzo, come avea fatto dell’abaco, ma compera il fiorellino, e dice; Prendi; e gl’insegna una garbata ceremonia da dire alla Lucia. Io mi era già fatto amico e compagno del viaggio, e arrestatomi a tutte queste faccende; sicchè a poco a poco lodando l’acume del fanciullo, domandai al padre s’egli andava alla scuola. Allora egli, rivôltosi a me, che parea Catone o Plutarco, incominciò a parlare molto in sul grave, e fra le altre a dirmi tali parole: Il mandare i figliuoli alla scuola è un trovato di que’ padri i quali si vogliono sbrigare dell’obbligo loro. Fino a tanto che questi occhi saranno aperti, voglio essere io medesimo il maestro di mio figliuolo. Gran legame e gran peso è l’obbligo della educazione, e troppo oggidì dagli uomini maritati trascurato: e troppo è cosa malagevole l’indirizzare questi animi tenerelli al loro dovere. Le prime pieghe non si perdono più. Io mi affatico sempre d’insegnargli i doveri di un buon cristiano, di un uomo onesto e del galantuomo .... In questo il putto vede un cagnuolino da Bologna smarrito per la via, e tira il padre pel mantello che vuole il cagnuolo. Il padre mi saluta in fretta e va a caccia del canino per appagare il putto, lasciando lo squarcio di morale incominciato, e me che mezzo balordo pensava quanto è cosa facile il parlare con senno e difficile il mettere ad esecuzione quello che così bello in parole riesce.