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NOVELLA XV. 25

continua curiosità che Io facea balzare repentinamente da una domanda in un’altra: qualità stimata dai maestri squisito argomento di un ingegno attissimo a fornirsi di conoscenze. Udii dunque che il fanciullo, levando gli occhi al cielo, domandava al padre suo che cosa fossero le stelle? quegli rispondea: Figliuol mio, le stelle sono stelle e cose che risplendono come tu vedi. Le saranno dunque, ripigliava il ragazzo, candele? Fa tuo conto, diceva il padre, le sono appunto candele. Di sevo o di cera? disse il putto. Oh, di sevo, in cielo! no: di cera, di cera, disse il padre per isbrigarsi, trovandosi impacciato a rispondere. Ma guarda basso, seguì, che tu non inciampi; tanto hai da guardare qui in terra, che non so qual voglia ti prenda di guardare all’insù a quest’ ora. E quelle che cosa sono? disse allora il giovanetto, voltatosi ad una bottega di grascia a lato, e accennando non so quali anguille. Quelle sono anguille affumicate, rispose la paterna filosofia; nè mai potresti credere a mezzo come le son buone a mangiarle: le si fanno prima con diligenza scuojare, dando loro un taglio intorno al collo, e appresso traendole fuori della pelle, come fa tua madre rovesciando un guanto lungo per trame fuori il braccio: poi (impara bene, perché tu hai un giorno a reggere le mie poche facoltà e a comandare a’ servitori che sono un branco di animali, se i padroni non sanno il fatto loro); poi, dico, le si mettono ad ammollare in acqua tiepida per certe poche ore; indi si lessano, e mettivi su olio, pepe e sugo spremuto di limone, ch’io ti so dire, avrai fatto un intingolo da leccarti le dita. — Io diceva fra me, udita quesia lezione: Vedi informazioni che acquista il cervellino di questo giovanetto! quanto all’anguilla, eccolo fatto dottore, oltre alla lodevole e decorosa comparazione del braccio della madre tratto fuori del guanto coll’anguilla scuojata; e forse in vita sua, da questa prima impressione, crederà che le stelle sieno candele di cera. — Andiam oltre; e il putto domanda: Tanti carnaggi e