Novellette e racconti/XLIX. Il Dolore dei denti
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Il Dolore dei denti
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XLIX.
Il Dolore dei denti.
Le inquietudini sogliono venir l’una dietro l’altra, e pare che quando un’afflizione comincia, la prima accenni la seconda che ne venga, e questa mette l’ale e ubbidisce. Quello ch’io dirò non è calamità, ma fastidio e noja che diede un pensiero secondo ad un uomo dabbene, mentre ch’egli era molestato dal primo. Il dolore dei denti, dicono alcuni, è uno dei più acuti e cocenti che altri possa provare; e io lo credo, perchè ho veduti uomini e donne molte volte a fare i più strani visi, a stralunare gli occhi in tal guisa e a stridere tanto, che lodai il Cielo di averli di acciajo. E quel ch’è peggio, non ho mai veduto malattia che abbia maggior quantità di ricette, che questa: chi ne facesse una lista, empierebbe un dizionario: cose calde, fredde, temperate; bagni, radici, grani, olj, semi, latte: prova questa, io sto meglio, di là ad un poco, io sto peggio; applica quell’altra, è lo stesso; e finalmente, dopo molti guai e sospiri, n’esce fuori un viso tutto enfiato da una parte, con maraviglia di chi l’ha e di chi lo vede. I più dicono: Il migliore rimedio è la tanaglia. E non s’ingannano, perchè quando un osso è intarlato, non lo guarirebbe Ippocrate. In tale stato d’angosce durò tre giorni il galantuomo ch’io accennai di sopra; onde, pieno di molestia e di doglia, stanco di ogni altro rimedio, deliberò di ricorrere ad una signora, la quale sta a San Benedetto, ed è peritissima di sfornire le gengie di denti guasti colle tanaglie. Andava egli, traendo guai con un fazzoletto bianco alla guancia, accompagnato da un amico suo, verso la casa della signora, e già saliva il ponte di Sant’Angelo, quand’ecco gli si affaccia un uomo che avea statura quasi di gigante, con una parrucca nera come inchiostro, faccia macilente e pallida e col mantello sul braccio a traverso, il quale piantatosi dinanzi a lui saldo come un termine, con una voce che parea una bombarda, gli dice: Ringrazio la fortuna che mi vi abbia fatto ritrovare in questo luogo, perchè in tal modo mi accorciate la via del dover venire fino alle Fondamenta Nuove alla vostra abitazione a riscuotere le trecento lire di che mi siete debitore. Il meschino addolorato che avea altro in capo, gli rispose quietamente: Voi prendete sbaglio, e io non sono colui che voi andate cercando. L’altro inviperito ritocca: E che? credereste voi di far qui una figura, e un’altra in casa vostra? io so chi voi siete, e non partirete di qua se io non ho avuti i miei danari; non è il tempo delle maschere. Il buon uomo badava pure a scusarsi, e a dire che lo prendeva in iscambio; ma veduto che nulla gli valeva, e che l’altro lo chiamava suo debitore e mal pagatore, e siffatte gentilezze gli andava dicendo ad alta voce; stimolato dal dolore dei denti, dalla smania che gli fosse interrotto il cammino e dalla rabbia delle villanie, si avventa al suo creditore da commedia e gli suggella le guance con due pugna di ferro, e senza più dire va a farsi cavare il dente e ritorna a casa. Nello stesso giorno due altre volte si abbattè allo stesso uomo, il quale postogli la mano alla spalla, dicea: O prepotente, tu mi hai pure a pagare; io so che tu mi pagherai. Ed egli rispondea: Io ho già cominciato a darvi punto; apparecchiate la quietanza del restante. Infine la sua buona sorte non glielo conduce più davanti ch’è qualche giorno; onde spera che il mal influsso delle molestie sia terminato.