Novellette e racconti/XLIII. Loquacità nata dalla stizza

XLIII.
Loquacità nata dalla stizza

../XLII. La finta religiosità ../XLIV. Spavento incusso ad un Paladino da un uomo pacifico IncludiIntestazione 8 gennaio 2013 100% Novelle

XLIII.
Loquacità nata dalla stizza
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XLIII.


Loquacità nata dalla stizza.


Dicesi che la verità è nel vino; ma io trovo che l’è anche nella stizza. Chi vuoi saper qualche cosa, vagliasi de’ bicchieri: il sugo che da questi si versa nel seno, ha una facoltà di movere e di destare la verità che dormiva o si stava rimpiattata; cacciala alla canna del polmone, di là alla lingua e ne sbuca: lo stesso fa la stizza. Sarà uno che avrà taciuto un segreto parecchi dì, mesi o anni: entragli in cuore [p. 72 modifica]il pizzicore della bile; n’esce il segreto. Io mi sono chiarito di ciò sabato dopo pranzo in una certa Calle, della quale non dirò il nome, perch’io ho avuto troppa briga fino a qui, per averne nominato alcuni ne’ fogli passati. Stavasi quivi una femminetta tutta attenta e occupata a ripulire la sua casa e le masserizie per occasione di una certa sagra, e avea fatto netto ogni cosa come uno specchio. Quando eccoti una sua vicina e comare che viene, e chiedele in prestanza un secchione, chè la volea andare per acqua. Comare, risponde la diligente femminetta, io ho durata tanta fatica fino a qui a rinettare e lisciare i vasi e le masserizie mie, ch’io non ve ne potrei dare: ecci quel secchione colà solo lasciato da parte, ma quello è per uso mio, e gli altri per ora non voglio che sieno bagnati. La comare, punta della negativa, volta le spalle borbottando e si lascia uscir di bocca queste parole: Vedi superbia di costei, dappoichè con l’ajuto degli amici l’è uscita de’ cenci, la non si ricorda più quando co’ capelli arruffati e cenciosa la ne veniva all’uscio mio a tempestarmi gli orecchi tutto il dì, perch’io le prestassi fino all’aria che respira: noi siamo oggidì scambiate, per grazia del Cielo e degli amici. L’altra, che non era nè sorda nè mutola, udendo queste parole, esce con le mani a’ fianchi sull’uscio e comincia a dimenticarsi l’amore del prossimo: Che amici o non amici? diceva ella: io ho ben udito sì quello che tu detto hai, chè non ho impeciati gli orecchi; ma nettati i piedi tu prima di parlare delle femmine dabbene: che se io avessi voglia di mormorazioni, potrei dire sì e sì: ma io non sono donna da mordere altrui. Sfogati pure, dicea la comare, ch’io ti lascio dire a tua posta, avendo testimonio de’ falli miei la contrada. Ma tu ..... e mano alle forbici. In breve (dicendo sempre caritativamente che le non voleano mormorare nè l’una nè l’altra) si scopersero in pubblico fino a’ pensieri, avendo intorno, come si usa, una calca di circostanti che stavano quivi a ridere e ad ascoltare, e crescevano sempre. Questa [p. 73 modifica]moltitudine giovò, perchè la furia delle parole essendo quasi vôtata, le cominciarono tuttaddue a sentirsi un certo pizzicore nelle braccia e nelle mani, che poco mancava all’avventarsi l’una contro all’altra e pigliarsi a’ capelli. Ma la buona intenzione de’ circostanti che si contentavano delle villanie, e il sopraggiungere de’ mariti, i quali venivano dal lavoro, furono cagione che la furia infreddò, e ne andarono l’una di qua e l’altra di là alle case loro; dove pervenute, incominciò ciascheduna a narrare al compagno suo quello che avvenuto era, e ad animarlo alla vendetta. Egli è vero che i due uomini dabbene mostravano poca voglia di azzuffarsi per ciò; ma il gran numero de’ circostanti e le ciance fatte quivi pubblicamente, gli riscaldarono; onde, riposti gli strumenti della professione, incominciarono tutti inveleniti a dire che la cosa non potea finire a quel modo, e con villanie dall’un lato e dall’altro si animavano alla zuffa. Ma i circostanti vedendo che la collera era passata dalle donne agli uomini, e temendo che avvenisse peggio, furono intorno di qua e di là, chi a questo e chi a quello, tanto che gli persuasero ad andare insieme ad annegare la stizza all’oste; e così elessero entrambi di fare pel meglio. La pace fra’ sorsi parve loro sì bella cosa, che assaggiandola non si poterono spiccar di là per tutta la notte; e rinnovando le attestazioni di perfetta amicizia, e suggellandole a una a una col bicchiere, tanto fecero, che quanto aveano guadagnato col lavoro di tutta la settimana, fu speso in rappacificarsi; e in iscambio di morti, ritornarono a casa ebbri e senza un quattrino, che spiacque più forse alle due donne, che se avessero fatto duello, perchè il giorno della sagra fu magro, e le fece pentire delle passate ciance, e dolersi dell’avere stuzzicati i mariti alla vendetta.