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novella xlii. 71

XLII.


La finta religiosità.


Anche le mani non si può negare che non abbiano una grande attività. Una domenica, mentre che s’insegnava in una chiesa la dottrina a diverse classi di fanciulli, entrò uno in chiesa con gli occhi inclinati a terra e con un atto di purità di cuore da farsi credere ogni cosa. Vestito era assai pulitamente, e in tutti i suoi modi mostrava di essere uomo di garbo. Si appresentò costui a’ priori, e disse loro che, sendo venuto ad abitare in quella contrada, chiedeva di occuparsi a fare il maestro della dottrina; di che avendo essi priori sempre bisogno di maestri, ne lo ringraziarono della sua pia disposizione, e dandogli infinite lodi, gli assegnarono una delle classi minori, perchè quivi si esercitasse. Egli cominciò a fare le sue richieste con la lingua; e intanto con le mani, che leggerissime erano e ammaestrate in grado superlativo, trasse a non so quanti di quelli innocenti figliuolini certi pendenti e cerchiettini d’oro dagli orecchi; lo che fatto, domandò licenza con modestia a’ priori di andar a fare acqua, e ottenutala, andò in questa guisa a’ fatti suoi. Dicesi che fino a qui egli abbia usata quest’arte in altre chiese.


XLIII.


Loquacità nata dalla stizza.


Dicesi che la verità è nel vino; ma io trovo che l’è anche nella stizza. Chi vuoi saper qualche cosa, vagliasi de’ bicchieri: il sugo che da questi si versa nel seno, ha una facoltà di movere e di destare la verità che dormiva o si stava rimpiattata; cacciala alla canna del polmone, di là alla lingua e ne sbuca: lo stesso fa la stizza. Sarà uno che avrà taciuto un segreto parecchi dì, mesi o anni: entragli in cuore