Novelle (Sercambi)/Novella LXXXXV

Novella LXXXXV

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LXXXXV


G>iunti al mezzo il camino di Scariotto dove la brigata si rinfrescò di vantagio, e poi il preposto comandò <a l’>autore che una novella dicesse per la via che resta. L’altore rivoltatosi disse: «A voi, donne grosse di pasta, che andate credendo alle falsitadi che tutto dì si fanno, io dirò ad exemplo una novella fine che a Scariotto stasera saremo; in questo modo:

DE MALITIA IN INGANNO

Del preditto frate: avendo ricevute di molte bastonate in quel di Pisa, venne in quel di Lucca per far simile arte.

C>ome avete udito innella precedente novella di quello frate d’Ascoli, e come fu guarito delle bastonate ricevute in quello di Pisa pensò dover trovare in quello di Lucca omini e donne non meno matte che monna Ricca di Valdiserchio. E partitosi dello spidale, il ditto frate Bonzeca si dirizzò verso il ponte Sanpieri presso a Lucca a du’ miglia, con intenzione di rubare per qualche modo meglio li venisse. E perché il nome che tenuto avea s’era già sparto, dicendo: «Uno frate di sant’Antonio ha fatto tale cattività», pensò non come frate seguire lo suo mestieri, faccendosi indivino e medico. E passando presso a Lucca, senza entrare in Lucca camino verso Moriano faccendo suoi esperimenti di parole, campandosi la vita fine che giunto fu innella villa di Diecimo, sottoposta al vescovo di Lucca, innella quale il ditto frate pensò poter l’arte sua dello ’nganno seguire, parendoli le donne simpliciotte et anco parte delli omini assai mentagatti. E [p. 414 modifica]cognoscendo la terra esser ben posta sì per la sua stanza sì eziandio per le circustanze, pensò fare molti denari. E capitato in uno albergo e secretamente domandato delle condizioni delli omini di Diecimo e simile delle donne, fuli tutto ditto; per la qual cosa lui avea tutto a mente.

Or perché di tutte le particelle e cattività che il ditto frate Bonzeca fece <sarè’ lungo dire>, io ne dirò una delle c e più in Diecimo ne fece. Et infra l’altre che io hoe intenzione per nostra novella contare si è questa che ora vi dirò: che essendo informato di uno giovano nomato Cilastro — omo più tosto a voler di quello del compagno che del suo ad altri dare, e molto scarso e con questo buono procaccino — , che ogn’anno si vendea suoi x o xx porci salati e così campava sua ventura; e quello anno con gran fatica Cilastro avea insalato da mi porci. E perché li parea che fusseno assai piccola provenda, avendo comandato a una sua moglie giovana nomata Bovitora, assai materiale e di pasta grossa, che di quella carne non toccasse però ch’ella era promessa e serbavala a marzo, Bovitora, udendo dire che la carne serbava a marzo, di quella non toccava.

Lo frate, che tutto hae inteso, pensò di voler avere quella carne. Et apostato che Cilastro in Diecimo non era — ito in Garfagnana per suoi fatti — , s’andò un pogo diportando verso la casa di Cilastro. E come è apresso alla casa, vidde Bovitora che si lava in via. Domandatola se figliuolo avea, ella disse di no, ma che volentieri ne vorrè’. Lo frate disse: «Or non avete marito giovano?»> Bovitora dice: «I’ ho bene marito giovano, ma non giova». Lo frate dice: «Oh, con altri setevi provata?» Bovitora dice: «Sì, più volte e non mi vale». Lo frate disse: «Se non che a me non è molti mesi che, per voler far impregnare una, me ne fu data tanta penitenzia che in fine avale la sento, io farei che voi impregnereste». Bovitora dice: «Deh, per Dio insegnatemelo acciò che io possa aver qualche figliuolo!» Lo frate disse: «Per certo, donna, io ti cognosco esser di tanto, se qualche figliuolo avessi serè’ poi papa e tu saresti la madre del papa, tanto mi pare che saccente sii». Bovitora, crescendoli la volontà de’ figliuoli, credendo che papa fusse, disse: «Deh, frate, insegnatemi la medicina». Lo frate disse: [p. 415 modifica]«Or se il tuo marito non volesse che fusse papa e volesselo fare imperadore, come ne saresti contenta?» Bovitora disse: «Or come! Non è lo ’mperadore un grande uomo?» Lo frate disse: «Sì». Bovitora disse: «Deh, per Dio insegnatemi e lo farò». Lo frate disse: «Se vuoi che io t’insegni il modo che impregnerai, io vo’ che m’insegni uno che io vo cercando che m’ha promessa certa carne». Bovitora disse: «Chi volete?» Lo frate dice: «Cilastro». Bovitora dice: «Ell’è mio marito», dicendoli: «Come avete nome?» Lo frate dice: «Io ho nome Marzo». Bovitora dice: «Ben mel disse che io ve la desse e che a voi la serbava». Marzo, che di nuovo s’ha dato nome, dice: «Sevuoi che io t’insegni impregnare, fà che la carne si porti al mio albergo et io ti farò un breve che come l’arai a dosso arai volontà d’aver figliuoli. E come il tuo marito torna, usa con lui: e s’e’ non tornasse, con altri, et impregnerai». E scritto il breve e pòstolilo in mano dicendole che a dosso il tegna, Bovitora, lieta della buona ventura che alle mani li era divenuta di Marzo, prese la carne et all’albergo la portò. Et il frate subito quella a l’oste vendéo per fiorini xvi d’oro; e presi li denari, verso il Borgo a Mozano prende a caminare.

E non molti passi di Diecimo si fu mosso che Cilastro scontrò, non cognoscendolo. E tornato a casa, Bovitora d’allagrezza si scompisciava, dicendoli: «Io hoe auto uno breve da Marzo c’ha auto la nostra carne, il quale mi farà impregnare e nascerà un papa o vorrai imperadore, secondo che quel frate Marzo m’ha ditto». Cilastro, che sapea legere, disse: «U’ è questo breve?» La donna, che in mano l’avea, lei diede. Cilastro legge il breve e vidde quel dicea, il quale contenea in questo modo:

«Bella sei e buono culo hai,
fattel fare e impregnerai».

Cilastro, veduto quel frate aver beffata la moglie e toltoli la carne, pensò di pagarlo per sempre; e camino verso il borgo. E come fu fuora della terra del vescovo, quel frate uccise e tutto ciò che a dosso avea li rubbò e radoppiò in tre doppi la valuta della sua carne; tornando a casa et amaestrando la moglie che non sia mai più così credente.

Ex.º lxxxxv.