Novelle (Sercambi)/Novella LXXVII

Novella LXXVII

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LXXVII


Li servidori avendo udita la dilettevole novella, fatto presti confezioni e grechi et alla brigata porti, li cantatori comincionno alcuna canzonetta in questo modo, cioè:

«L’aguila bella nera pellegrina
ch’ogi da me pasciuta e non tornò,
col pasto in mano la chiamo: oh oh oh oh.
Perché la guarda un aquilone, non riede,
che la covò nel nido el diavol, che
rimutò <oh> in dire: omè omè.
Ma se la tira amor per geti, e grolla,
che, se la vecchia bada, in mano aròlla.»

La qual ditta, il preposto comandò a l’altore una novella dica. L’altore voltandosi disse:


DE VITUPERIO FACTO PER STIPENDIARIOS

Della città d’Arezzo, come fu disfatta per parte e
le donne vituperate.


Nel tempo che la città d’Arezzo fu dalle genti guelfe e ghibelline fatta mettere a saccomanno — innella quale città migliaia di omini di compagna si trovonno et in quella molto danno fenno, come di rubare e disfare case e massarizie per fuoco, intanto che parea uno paese disfatto — , non di meno delle donne di tal città [p. 339 modifica]si fe’ quello strazio che di meretrici: si fenno peggio, che più di ii mila donne vituperosamente funno vergognate.

Et infra l’altre di che la nostra novella dichiarerà, si fu una giovana de’ Boscoli nomata monna Appollonia, moglie di Donato da Pietramala, d’età di anni xxii assai bella e solacevole, la quale, essendo presa la terra, e lei con più di l d’una contrada, le quali in una casa per lo romore s’erano redutte, funno da uno caporale di c lance prese. Le quali, come ditto, funno svergognate non guardando né giovana né pulcella né maritata né vedova che vi fusse, che tutte egualmente funno trattate. E perché madonna Appollonia, come più atta e sollacevole, era più che l’altre adoperata — intanto ch’ella contentissima li parea ogni sera potere a dormire andare — , e bene che il giorno avesse assai caminato, ancora la notte più miglia si dilettava di correre, parendoli leggieri tal fatica, stimando di tal fatto non averne riprensione dal marito né da’ suo’ parenti.

E stando per tal modo madonna Appollonia più mesi solicitando di saziarsi dell’apetito suo, fu per alcuno di mezzo trattato di fare acordo che la ditta compagna prendesse denari e la terra ristituisse alli omini aretini con tutte quelle donne aveano. E doppo tal pratica si conchiuse l’acordo, dandosi tempo uno mese a ciascuna delle parti, cioè li aretini aver dati denari alla compagna e la gente d’arme aver restituita la terra e le donne.

E sentendo monna Appollonia l’acordo fatto, cercò di fare come quell’uomo che avendo gran caldo di state pensò riponere in uno sopidiano tanto sole che il verno n’avesse assai. E così pensò monna Appollonia mettersi tanto innella sua soppiadana che quando sola si trovava col marito ne possa aver assai. E subito solicitando el ricogliere, ogni dì più di l prese ne riponea innella sua soppidiana, la quale tenea tra le cosce innel solaio di mezzo alla banca forata (acciò che per l’umido non si guastasse, volca che nel mezzo <fusse posta>): e per questo modo tutto quel mese di dì e di notte solicitò il ricogliere (ma che giova, o monna Appollonia, quello che ricolto avete, ché dapoi arete più freddo che di prima?).

Passato il mese e fatto il pagamento, la terra e le donne [p. 340 modifica]rendute salvo alquante che di volontà n’andarono con quelli che tenute l’aveano; e tornato Donato marito di monna Appollonia in Arezzo et andato alla sua casa dove trovò la moglie tutta malinconosa, lo marito dice: «Or che vuol dire che ora che ti dovresti ralegrare del mio ritorno, e tu stai malanconosa?» Rispuose monna Appollonia: «Or non debbo star malanconosa che dèi sapere che io debbo essere stata vituperata a mal mio grado <e> son ora qui che vorrei esser prima morta che qui fusse?» Lo marito dice: «Tu dèi pensare che io tutto debbo sapere, e ben so che non è stato tua colpa; e pertanto prendi allegrezza, che ciò c’hai fatto non t’è riputato a vergogna». Appollonia dice: «Io lo credo, ma prima che io ad altro vegna, vo’ sapere dal prete se peccato non è». Lo marito disse: «Và e confessati e sappialo».

Appollonia andata al prete e dittoli la presura d’Arezzo e di lei e dell’altre, lo prete, che tutto sapea, disse: «Donna, tu non hai di questo peccato, ma tanto ti do di penetenzia che quello hai serbato ritegni e di una avemaria, e asolvoti». La donna inginocchiatasi al crocifísso, lodando Idio che s’avea in parte cavato la rabia senza peccato e senza infamia del mondo, e tornata a casa del marito, trovò esser asoluta. E così lieta si rimase.

Ex.º lxxvii.