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340 | g. sercambi |
dute salvo alquante che di volontà n’andarono con quelli che tenute l’aveano; e tornato Donato marito di monna Appollonia in Arezzo et andato alla sua casa dove trovò la moglie tutta malinconosa, lo marito dice: «Or che vuol dire che ora che ti dovresti ralegrare del mio ritorno, e tu stai malanconosa?» Rispuose monna Appollonia: «Or non debbo star malanconosa che dèi sapere che io debbo essere stata vituperata a mal mio grado <e> son ora qui che vorrei esser prima morta che qui fusse?» Lo marito dice: «Tu dèi pensare che io tutto debbo sapere, e ben so che non è stato tua colpa; e pertanto prendi allegrezza, che ciò c’hai fatto non t’è riputato a vergogna». Appollonia dice: «Io lo credo, ma prima che io ad altro vegna, vo’ sapere dal prete se peccato non è». Lo marito disse: «Và e confessati e sappialo».
Appollonia andata al prete e dittoli la presura d’Arezzo e di lei e dell’altre, lo prete, che tutto sapea, disse: «Donna, tu non hai di questo peccato, ma tanto ti do di penetenzia che quello hai serbato ritegni e di una avemaria, e asolvoti». La donna inginocchiatasi al crocifísso, lodando Idio che s’avea in parte cavato la rabia senza peccato e senza infamia del mondo, e tornata a casa del marito, trovò esser asoluta. E così lieta si rimase.
Ex.º lxxvii.