Novelle (Sercambi)/Novella LXVI

Novella LXVI

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LXVI


G>iunti la sera a L’Aquila, dove la brigata vi fu bene servita con quelle cose che ordinate erano, e quando fu l’ora d’ire a dormire il preposto comandò a l’altore che per lo dì seguente, che andar doveano verso Napoli, una novella ordinasse secondo il luogo che a cenar doveano; ma ben volea che qualche moralità prima dicesse. L’altore inteso disse che fatto serè’, e disse:

«O anima corrotta, che abandoni
la ferma dota c’hai
e cerchi di tenere il fugitivo,
la tua beatitudine in che poni?
Nell’acquisto che fai?
Deh, guarda quanto elli è spregiativo:
tu vedi ben che ’l corpo è teco vivo
e senza te è morto suo inteletto;
per suo picciol diletto
aciechi e fai di te cosa terrena:
avendo que’ disii già non t’apaghi.
Donque perché ti smaghi
dall’opra che ti dà vita serena
e fatti rubel dell’angiol, ché dimane,
morto, non fia da più ch’un tristo cane?»

E ditta, a dormire si puoseno, che bisogno n’aveano, fine alla mattina, stimando l’altore di fare du’ giornate del camino. E voltatosi alla brigata disse: [p. 298 modifica]


DE NOVA MALITIA IN TYRANNO

Del Veglio della Montagna di levante.


N>elle parti di verso levante e mezzodì dove il Gran Cane e’ magior signori de’ Tartari dimorano, fu uno signore chiamato il Veglio della Montagna, il quale avendo una sua città situata alla bocca d’una grandissima montagna — la qual città era fortissima — , e doppo questa città alla bocca di tal montagna avea una gran pianura con bellissimi fiumi circundata di monti alti, innella qual pianura entrar non si potea se non per la città e per le porti che alla bocca della montagna fatto avea; in sulla qual bocca avea uno castello fortissimo innel quale il Veglio signore dimorava.

Avea questo Veglio signore ordinato che in quella gran pianura fusse ordinato artificiosamente condutti di mèle e di zuccaro latte e vini, con palagi tutti ornati d’oro, bellisimi prati et odoriferi frutti, con tutti ornamenti che a tali cose si richiedeno. E per più diletto avea inne’ palagi ugelli domestichi che volavano de li arbori inne’ palagi cantando dolci versetti. E in ta’ palagi di continuo con certo modo dentro vi mettea giovane belle di xiiii e di xv anni con stormenti e canti, adornate di drappi dorati, con quelle vivande che chi fusse pasciuto di quelle li parrè’ aver ben mangiato. Quine non vecchio omo né donna entrar potea se il Veglio non ve lo mettea; e di quanti diletti erano che prender si possa, in quello avea ordinato che si prendesse.

Dapoi avea il ditto Veglio signore ordinato che ogni dì per li loro sacerdoti facea predicare molte cose secondo la loro costuma e legge. E doppo molte cose ditte, conchiudea tal predicatore che chi facea la volontà del signore Veglio e che per lui morisse, andava in paradiso; narrando il paradiso esser tra montagne eltissime, innel quale entrar non si potea, et in un bellissimo piano innel quale erano fiumi di zuccaro mèle e latte e vino, con bellissimi prati, case dorate, frutti odoriferi. Quine gioventù — giovane di xiiii e xv anni bellissime, vestite et adorne di vestimenti dorati — ; quine suoni balli canti e giuochi, di prendere di quelle giovane [p. 299 modifica]qual più li piace; quine non fame sete né pestilenza piova pianto né neuna mala conturbazione; quine sempre vivendo e d’ogni diletto di corpo potere suo agio prendere né mai di tal luogo desiderio di partirsi. E chi non facea i comandamenti del ditto signore avea pena inestimabile in pena di fuoco eterno. E questa predica facea ogni dì dire.

E veduto il Veglio chi avea voluntà, il giovano gagliardo e desideroso per le prediche di andare in paradiso a godere tanto bene, subito tal giovano facea richiedere e con uno beverone lo facea dormire; e poi in dormendo lo facea metter dentro dal suo castello e per la porta lo facea condurre innella pianura ditta. E quine era vestito di drappi dorati, e poi lo facea destare: e come si vedea essere sì onorevile vestito, e vedutosi tra quelle montagne, e’ coinprendea. <E vedendo> le damigelle con cui elli si prendea piacere e li stormenti suoni balli e canti, li desnari e le cene, co’ condutti di zuccaro mèle e latte e vino, e’ frutti adoriferi, ricordandosi delle prediche udite, dicea: «Io sono veramente in paradiso!» E avea tanta allegrezza che dire non si potrè’: stando sempre abracciato or con una damigella or con un’altra, tutte giovane, vestite di drappi dorati, le vivande buone, con piaceri inestimabili. E per questo modo il signor Veglio li tenea più giorni.

E quando li avea così più giorni tenuti, li facea adormentare e di fuora ne li traeva vestendoli de’ suoi vestimenti, e fuora del castello li mettea. E quando si svegliava, raguardandosi si vedea malvestito e fuora di tanto bene, ricordandosi di quello che più giorni avea sentito e provato, malanconoso stava. Lo signore Veglio, che tutto sapea, mandava per lui dicendoli qual fusse la cagione che così malinconoso stava, dicendo: «E’ serè’ vasto che tu avessi perduto il paradiso, tanto ti veggo malinconoso». Lo giovano rispondea: «Cotesto ho io bene perduto e non so come!» Lo signore Veglio li dicea: «Tornarestivi volentieri?» Lo giovano dicea: «Sì, messer». Lo signore dicea: «Tu sai che se mi ubidisci e per me muori tu vai in paradiso; e però se tornar vi vuoi, ti dico che facci il mio comandamento». <Lo giovano> rispondea che era presto, e lui dicea: «Io vo’ che vadi a cotal signore e quello ucciderai <e’> suoi vicini». Li giovani, per tornar in paradiso che [p. 300 modifica]assagiato aveano, ubidìano et a’ luogo comandato andavano e tal signore uccideano e loro erano uccisi.

E per questo modo lo signore Veglio conquistò più paesi: fine che ’l Gran Cane nol venne a disfare, e’ fece più di lx giornate intorno a sé uccidere tutti que’ signori. Di che il Gran Cane per paura li cavalcò a dosso e disfe’ lui e quel sito.

Ex.º lxvi.