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LXVI
G>iunti la sera a L’Aquila, dove la brigata vi fu bene servita
con quelle cose che ordinate erano, e quando fu l’ora d’ire a dormire
il preposto comandò a l’altore che per lo dì seguente, che andar
doveano verso Napoli, una novella ordinasse secondo il luogo che
a cenar doveano; ma ben volea che qualche moralità prima dicesse.
L’altore inteso disse che fatto serè’, e disse:
«O anima corrotta, che abandoni
la ferma dota c’hai
e cerchi di tenere il fugitivo,
la tua beatitudine in che poni?
Nell’acquisto che fai?
Deh, guarda quanto elli è spregiativo:
tu vedi ben che ’l corpo è teco vivo
e senza te è morto suo inteletto;
per suo picciol diletto
aciechi e fai di te cosa terrena:
avendo que’ disii già non t’apaghi.
Donque perché ti smaghi
dall’opra che ti dà vita serena
e fatti rubel dell’angiol, ché dimane,
morto, non fia da più ch’un tristo cane?»
E ditta, a dormire si puoseno, che bisogno n’aveano, fine alla mattina, stimando l’altore di fare du’ giornate del camino. E voltatosi alla brigata disse: