Novelle (Sercambi)/Novella CXIIII

Novella CXIIII

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Novella CXIII Novella CXV
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CXIIII


G>iunti a Furlì, dove funno ben forniti da cena, e preso alcuno piacere di cantare in questo modo:

«Amor, di questa candida colomba
cercar sotto sua piuma
mi sprona si ’l disio che mi consuma.
Deh, guarda, signor mio, quanta mercede
tu fai se ciò mi fai,
che mi scampi da morte in buona fede,
io Se peni, tu sarai
cagion del danno mio, e perderai
a te un servidore,
morendo me, che sai che tien mio core».

E dipoi se n’andarono a dormire.

La mattina levati, il proposto comandò a l’altore che una novella dica fine che a Faenza la sera seranno giunti. L’altore presto disse: «A voi, omini che alle volte con altri in compagnia sete vilipendendo altri, se alcuna volta ricevete beffe non ve ne meravigliate! E però ad exemplo dirò una novella in questo modo, cioè:

DE POMPA BESTIALE

In Pistoia uno chiamato Sardo banchieri facea del grosso e non sofferìa altrui.

F>u nella città di Pistoia uno banchieri nomato Sardo, il quale facea tanto del grande che non parca che altri se li dovesse [p. 503 modifica]o potesse aparegiare, avendo ogni persona da pogo. Avenne che, essendo lo ditto Sardo tratto anziano del mese di gennaio e ferraio, entrato in officio volendo tener i modi in palagio che tenea di fuori, più volte co’ compagni prese isdegno senza loro colpa, e più giorni steo per tal maniera parendoli esser messer Arach. Et oltra che volesse con ugnuno vincere suoi gare, avea per costume che quando era l’ora del mangiare sempre se n’andava a’ luogo comune, dove stava più d’un’ora prima che a mensa si ponesse, convenendo a’ compagni spettare; e simile modo tenea da sera alla cena. Et era tanto il suo fastidio che più volte i compagni funno per far con lui a mal modo; pur l’officio rifrenava li altri. Lui non curando onore né vergogna e non cognoscendo quanto facea disagio a li altri (che solo per quello doveano di molte cose comportare e sostenere i compagni), e lui il contrario faccendo, di giorno in giorno di male in peggio.

E vedendo uno de’ compagni nomato Salamone la cattività di Sardo, sì del corruccio che con loro facea sì dello star tanto faccendo i compagni stentare, deliberò di tal cosa punirlo senza che a persona l’apalesasse. E subito mandato per vescagine, e quella con l’olio la menò tanto che tenace era; et auto uno cuoio, quello n’empìo et alla bocca del luogo comune lo chiavò. Sardo, come fu l’ora del desnare, com’era sua usanza a’ luogo comune si puose; e come quine si fu posto a sedere, subito la vescagine se li apiccò al culo in forma che tutta la parte dirieto e dinanti li comprese; e non potendosi da tal vescagine partire, gridando e chiamando il suo donzello, stava col culo apiccato.

Lo donzello trasse là e vedendo quello che Sardo avea, disse: «Messer, a me pare sia una cosa vescosa e putente». Sardo dice: «Và tosto per acqua calda e per forbici e fà che da questo fastidio mi netti». Lo donzello andò a metter dell’acqua a fuoco. Sardo sta col culo alzato tenendo i panni in mano per non invescarli, essendo, oltra la vescagine, tutto merdoso della sua propria; et essendo freddo e vento, di freddo tremava. E come l’acqua fu calda, lo donzello faccendosi ad altri donzelli aitare, cominciò a lavare Sardo. Ma niente vale, ché quanto più coll’acqua calda lo lavava, tanto più vi s’apiccava. E vedendo che niente valea, [p. 504 modifica]fu di necessità colle forbici tagliare tutto quello che la vescagine tenea. E tra coll’acqua e colle forbici più di iiii ore steo sempre tenendo scoperto tutto dinanti e dirieto, avendo riceuto molto freddo.

Li compagni, che niente di tal cosa sanno (eccetto uno, cioè Salamone), veggendo che Sardo non venia, a taula si puoseno e desnaron di vantagio, e poi andaron a vedere l’opera che Sardo avea fatta. E giunti a lui, dove trovandolo col culo alzato disseno ridendo: «Or che, se’ giunto, che non ti potea alcuno contentare? Ora hai trovato uno che contentato t’ha». Sardo cheto a niente rispondea. <E così> fine che tutta notte fu, stando molti dì senza parlare a’ compagni. Li compagni ciò vedendo disseno: «Sardo, se ti trovi più questi modi che tenuti ci hai fine a qui, noi ti faremo altro che fatto t’abiamo». Sardo, che si vede esser vituperato, steo contento né mai più dilegiò né beffò altrui, e della <beffa> ricevuta fu contento.

E per questo modo fu fatto umile quello che tutta la superbia credea comprendere.

Ex.º cxiiii.