Novelle (Sercambi)/Introduzione

Introduzione

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Novelle (Sercambi) Novella II

[p. 5 modifica]Lo sommo e potente Dio, dal quale tutti i beni derivano, ha la natura umana creata e fatta da lui a sua somiglianza acciò che tale umana natura la celestiale corte debbia possedere, se di peccati non è ripiena; e quando per follia dessa dal celestie paradiso è privata non se ne dé dare la colpa se non ad essa umana natura; e simile se e’ li dàe diversitade per li nostri peccati comissi: perché moltissime volte s’è veduto per li nostri peccati Dio aver conceduto alli spiriti angelichi e maligni podestá sopra di molti e a’ corpi celesti, li quali mediante la potenzia di Dio hanno a guidare e condurre i corpi di sotto (cioè noi e tutte le piante e bestie con io tutte le cose elementate), e spesso, per alcuni peccati commessi, venuto fuoco e acque e sangue dal cielo per purgare e punire li malfattori, e molte città e paesi sommersi et arsi. E di tutti i segni, quanti innelle scritture antiche si trovano scritte e di quelli che tutto dì si veggano, neuno ne vuole prendere exemplo, e non che da’ vizii si vogliano astenere, ma con ogni solicitudine s’ingegnano con quanti modi sanno di far male; e chi far nol può, insegna ad altri il modo di farlo. E per questo modo quella creatura che Dio più fe’ beata e che a sua similitudine la creò, più vituperosamente da Dio si parte.

E pertanto non è da meravigliarsi se alcuna volta la natura umana pate afflizioni e guerre e pestelenzie fame incendi rubarie e storsioni; che, se da’ peccati s’astenesse, Idio ci dare’ quel bene che ci promisse, cioè in questo mondo ogni grazia e inne l’altro la sua gloria. Ma perché la natura umana al contrario del bene s’accosta e quello segue, ha disposto la potenzia di Dio mandare di que’ segni che mandò a Faraone, acciò che partendoci da’ vizii ci amendiamo; e noi duri: et indurati i nostri cuori come è quello di Faraone spettando l’ultima sentenzia, innelle pene eterne ci farà [p. 6 modifica]collocare. E non è da meravigliarsi se ora in mccclxxiiii la moria è venuta e neuna medicina può riparare, né ricchezza stato né altro argomento che prender si possa sia sofficente a schifar la morte altro che solo il bene, ch’è quello che da tutte pestilenzie scampa; e quella è la medicina che salva l’anima e ’l corpo. E non prendendo la via di tal bene, necessaria cosa d’andare innella mala via . . ., ché, acostandosi la persona col malato, e senza febra la morte il giunge: quine non bisogna esser gagliardo, quine non vale stato che’ parenti da tal colpo li possa difendere.

Et essendo alquanti omini e donne, frati e preti et altre della città di Lucca — la moria e la pestilenzia innel contado — , diliberonno, se piacer di Dio fusse, per alcun  . . . . . . . . .  e prima acostarsi con Dio per bene adoperare e da tutti i vizii astenersi; e questo faccendo la pestilenzia e li altri mali che ora e per l’avenire si spettano, Idio per sua pietà da noi cesserà. Veduto adunqua essi, omini e donne, frati e preti, la pestilenzia multiplicare, prima ben disposti verso Idio, pensonno con un bello exercizio passare tempo tanto l’arie di Lucca fusse purificata e di pestilenzia netta.

E raunati insieme, li ditti diliberonno di Lucca partirsi e per la Italia fare il loro camino con ordine bello e con onesti e santi modi. E del mese di ferraio, un giorno di domenica, fatto dire una messa e tutti comunicatosi e fatto loro testamenti, si raunonno innella chiesa di Santa Maria del Corso parlando cose di Dio. E levatosi in piè uno eccellentissimo omo e gran ricco nomato Aluisi, e disse: «Cari fratelli e a me maggiori, e voi care e venerabili donne che qui d’ogni condizione sete qui raunate per fuggire la morte del corpo e questa pestilenzia, prima che ad altro io vegna, dirò che, poiché diliberati siemo per campare la vita e fuggire la peste, debiamo eziandio pensare di fuggire la morte dell’anima, la quale è più d’averne cura che lo corpo. E acciò che l’uno e l’altro pericolo si fugga, è di necessità pigliare la via di Dio e’ suoi comandamenti e, con quelli savi modi che si denno, guidare le nostre persone. E questo far non si può se prima tra noi non è persona a cui tutti portino reverenzia obidendolo in tutte le cose oneste, e lui come onestissimo non comandi se non cosa che sia piacere della [p. 7 modifica]brigata, senza peccato. E fatto questo, tale dispogna il nostro camino, la vita e ’l modo che tener si dé, si che senza lesione o male e senza vergogna salvi alla nostra cittá e alle nostre case possiamo lieti et allegri tornare, avendo noi a tutte le terre dato buoni exempli».

Ditto che Aluiso ebbe le ditte parole, subbito la brigata fra loro disseno: «Per certo in questa brigata miglior di lui non si potrebe trovare». E subito a vive voci disseno tutti: «Noi vogliamo che Aluisi sia il preposto di questa brigata e lui preghiamo che tale officio acetti, disposti noi tutti, maschi e femmine, a ubidire il suo comandamento, però che in lui sentiamo tanta virtú che altro che d’oneste cose ci richiederá e per lo suo gran senno e lungo vedere sani col nome di Dio a Lucca ci condurrà».

Aluiso, che ode la brigata, non potendo altro, disse: «Carissimi fratelli e maggiori e voi onestissime donne, io cognosco in questa brigata esser di quelli molto più savi e più intendenti e di magiore veduta di me che tale officio farenno meglio in una ora che io in uno anno, e bene era che aveste altri eletto. Ma poi che a voi piace che io vostro preposto sia chiamato, sto per contento pregando tutti che quello che comanderò sia ubidito». Tutti disseno: «Comandate e serà fatto».

Lo preposto disse: «Prima che ad altro atto si vegna, bisogna che si faccia una borsa di denari acciò che innelle cose necessarie siamo per li nostri denari soccorsi». Subito misseno mano a’ denari, e fatto un monte di fiorini in mila, in mano del preposto dati dicendo: «Quando questi saranno spesi metteremo dell’altri»; lo preposto, vedendo la quanità de’ denari e la buona volontà di mettere de’ nuovi, disse: «Omai stiamo allegri che la brigata capiterà bene».

Avuto il preposto denari, parlò alto dicendo: «Omai che andar dobiamo per salvare le persone vi comando a tutti, omini e donne, mentre che abiamo a fare il viagio nessuna disonesta cosa tra noi né tra altri si faccia. E quale avesse pensieri d’altro fare, prima che in camino ci mettiamo si ritorni in Lucca, e se alcuno denaio pagato avesse, vegna che renduti li seranno». La brigata ciò udendo, rispuoseno tutti: «O preposto, siate certo che noi staremo con [p. 8 modifica]tanta onestà mentre che il camino faremo che la moglie col marito né con altri userà; e così, per contrario, in questo nostro viagio, non s’acosteranno per disonesto modo».

Lo preposto, essendo certo che disonestità non si dé fare, ordinò uno camarlingo leale lo quale piú tosto arè’ del suo messo a sostentamento della brigata che di quel tesoro che il preposto li diede n’avesse uno denaio tolto o soccelato. E per questo modo la brigata spera d’esser dalle necessità ben servita.

Ordinato il camarlingo, dispuose il preposto che du’ spenditori fusseno: l’uno al servigio delli omini e l’altro al servigio delle donne. E perché sempre tali offici si denno dare et atribuire a persone secondo quello che hanno a ministrare, dispuose il preposto che al servigio delli omini fusse uno giovano spenditore savio e non d’avarizia pieno, et al servigio delle donne fusse uno omo di matura età e discreto inne lo spendere, acciò che tutta la brigata di niente si potesse lamentare.

Apresso ordinò che la mattina per alcuni de’ preti della brigata fusse ditta la messa, alla quale volea che tutta la brigata vi fusse a udire; e la sera, senza che la brigata vi fusse, dicesseno tutte l’ore e compieta, acciò che per loro alcuna negligenza si possa imputare.

Fatto questo ordine, ordinò coloro che colli omini alla cena et al desnare doveano con diletto e canti di giostre e di moralità cantare e ragionare, con alcuni stormenti e talotta colle spade da schermire, per dare piacere a tutti; et alcuni tra loro che disputassero innelle liberali scienzie, e questi eletti solo per la brigata delli omini e prelati.

Altri ordinò che di leuti e stormenti dilettevoli con voci piane e basse e con voci puerili canzonette d’amore e d’onestà dicesseno alle donne (e perché ve n’avea d’età, alcune <d>’obligagione, et acasate e vedove). Ordinò alcuni pargoletti saccenti col salterio sonare un salmo et una gloria, e quando s’udia la messa et al levare del Nostro Signore uno sanctus sanctus, Deus. E per questo modo volea che la mattina quando si dicesse la messa fusse sonato, et al desnare e alla cena diversamente secondo le condizioni delli omini fusse lo suono, e cosí delle donne. Apresso ordinò che tali [p. 9 modifica]stormenti e sonanti doppo il desnare e la cena contentassero la brigata di suoni di diletto senza vanagloria; e tutto ordinatamente misse in effetto.

Dipoi, rivoltosi lo preposto alla brigata, parlando per figura disse: «A colui il quale sen’cagione ha di molte ingiurie sostenute, et a lui senza colpa sono state fatte, comando che in questo nostro viaggio debbia esser autore e fattore di questo libro e di quello che ogni dì li comanderò. Et acciò che non si possa scusare che a lui per me non li sia stato per tutte le volte comandato, et anco per levarlo se alcuno pensiero di vendetta avesse, contro uno sonetto innel quale lo suo proprio nome col sopranome vi troverà. E pertanto io comando senz’altro dire che ogni volta che io dirò: “Autore, dì la tal cosa”, lui senz’altra scusa la mia intenzione <segua>». E parlando alto disse:

Già trovo che si diè pace Pompeo
Immaginando il grave tradimento,
Omicidio crudele e violento,
Volendo ciò Cesare e Tolomeo.
An’Ecuba quel < . . . . . . > reo
Nativo d’Antinor (il cui nom sia spento)
Nascose in su l’altare, e con gran pasione
Il convertì ringraziando Deo.

Sotto color di pace ancora Giuda
El nostro salvator Cristo tradìo
Rendendo sé di vita in morte cruda.
Considerando ciò dommi pace io:
Avendo sempre l’anima mia cruda
Mossa a vendetta, cancello il pensier mio.
Ben dico che la lingua colla mente
Insieme non disforma in leal gente.

E udendo ciascuno della brigata lo sonetto piacevole, e neuno potendo intendere a chi il preposto parlava salvo colui il quale comprendendo le parole e’ versi del sonetto vi si trovò per nome e [p. 10 modifica]sopranome, senz’altro dire comprese che lui dovea esser autore di questo libro; e senz’altro parlare, si stava come li altri cheto.

Avendo il preposto dispensato parte de’ suoi offici et ordinato chi dé condurre la brigata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .


Ove qui trovo alcun che sia
al mio piacere bel come colui,
lo coglio e bacio e partomi con lui;
e, ciò che ’l cuor disia
è, com’io son, l’amico mio sia;
colli altri il metto in ghirlanda bella
e su’ miei crini biondi e legieri.

E quel piacere che di natura il fiore
alli occhi porge, simile vedea,
che s’io vedesse, la propria dea
che preso m’ha del suo proprio amore.
Quel che mi piaccia più e ’l suo onore
esprimer noi porrei colla favella,
ma io sospinta ne so testimon veri.

Lingue giamai non escon del mio petto
dell’altre donne aspere né gravi,
ma si vegon di fuori caldi e soavi
e al mio amore se ne vanno in cospetto;
il qual, cora’e’ li sente, a dar diletto
di sé a me si muove e vien in quella
ch’io son per dire: «Deh, vien, ch’io non disperi!»

Ex.º i.