Novelle (Bandello, 1910)/Parte IV/Novella XVI

Novella XVI - Guglielmo duca di Aquitania, persecutore de’ cattolici, alla fine pentito de’suoi peccati abbandona il ducato, e incognitamente va peregrinando e facendo penitenza, e se ne muore santo

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Novella XVI - Guglielmo duca di Aquitania, persecutore de’ cattolici, alla fine pentito de’suoi peccati abbandona il ducato, e incognitamente va peregrinando e facendo penitenza, e se ne muore santo
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IL BANDELLO

al magnifico signor conte

bernardo da san bonifacio

mastro di campo

de l’essercito francese in Piemonte

salute


Il di medesimo che il signor conte Guido Rangone vi mandò a Chieri, essendo molti buoni soldati adunati insieme, si intrò a ragionar de l’acerbo gastigo che fu dato nel campo veneziano a Margaritona, femina poco onesta ma prode molto, che in la compagnia del conte di Gaiazzo toccava denari per cavallo liggiero. E certamente ci erano alcuni che passavano a la banca, li quali a paro di lei non meritavano quello stipendio che tiravano. E tra l’altre volte, quando l’essercito de la lega era a Cassano e Antonio Leiva si teneva a Inzago, lontano poco piú di duo miglia, essa Margaritona armata su il suo cavallo, quasi nel forte degli spagnuoli, sotto Inzago, a percosse di buone mazzate prese uno spagnuolo uomo d’arme e il condusse innanzi a l’illustrissimo signor Gian Maria Fregoso, che era governatore generale de la serenissima Signoria di Venezia. Esso spagnuolo, conosciuto che da una femina era stato condutto prigione, si volea disperare. La cagione poi di far abrusciare essa Margaritona variamente fra li soldati si diceva, perciò che ci erano di quelli che affermavano quella giustamente essere stata arsa e altri che incolpavano messer Paolo Nani pro veditore, insieme col conte di Gaiazzo. E cosí ragionandosi di questo, messer Giovanni Salerno, che, come sapete, è forte ragionevole e sovente per dir ciò che vuole interrompe li ragionamenti de li compagni, narrò una novelletta che a Roma non è ancora [p. 220 modifica]220 PARTE QUARTA molto che avenne. Essa novelletta fu da me descritta. Pensando poi cui dare la devessi, deliberai di mandarvela; e cosi ve la mando e dono e al vostro nome consacro. State sano. NOVELLA XVI (XVII) Castigo dato a Isabella Luna meretrice per la inobedienzia a li commandamenti del governatore di Roma. Chi sia l'Isabella de la Luna spagnuola, credo che la più parte di voi lo sappia, avendo ella lungo tempo seguitato per l’Italia e fora l’essercito de l’imperadore, nel quale altre volte molti di noi che qui siamo avemo militato. Ella, tra molte sue taccherelle puttanesche, ha che in ogni azione sua è la più so- perba che trovare si possa. Dopo il discorso suo fatto a’ servigi de li soldati besognosi che volontieri cavalcano per lo piovoso, si ridusse in Roma, ove per l’ordinario attendeva prestare il corpo suo a vettura a chi meglio la pagava. Avenne che, devendo dare a uno mercatante certa somma di danari per robe che da lui prese aveva, andava menandolo in lungo e con parole d’oggi in dimane differendo il pagamento, che volontieri averia scontato con tante vetture del corpo suo. Ma il mercatante, che voleva denari e non la pace di Marcone, non le prestava orecchie, ma la sollicitava che sodisfacesse al debito. Al fatto del pagamento ella faceva sempre il sordo. Il che veg- gendo il mercatante e conoscendo che se non usava altri mezzi non era per essere forse mai pagato, andò a trovare il governatore de la città di Roma, che era monsignor de’ Rossi vescovo di Pavia; e narratogli il caso suo, ottenne da lui una citazione a l’Isabella, che devesse il tale di a tale ora comparire personalmente innanzi al tribunale di esso governatore. Andò il sergente de la corte a trovare l’Isabella al di lei alloggiamento, e ritrovò quella su la strada publica, che si interteneva a parlamento con alcuni compagnoni. Diedele il sergente il commandamento, e a bocca ancora, a la presenza di tutti quelli che con lei erano, le commandò che comparisse al determinato tempo, come è la costuma di fare. [p. 221 modifica]NOVELLA XVI (xVIl) 221 Ella, che tra l’altre sue notabili parti bestemmia crudelissimamente Iddio e tutti li santi e sante del paradiso, come ebbe in mano la cédula de la citazione, con disdegnoso viso al sergente, tutta piena di còlerà e di stizza, disse:— Pesa a Dios, que quiere esto borrachio vigliaco? — Dopoi le parole, vinta da la soverchia cólera, straziò in più pezzi il papero de la citazione, e con irriverenza e scherno, a la presenza di tutti gli astanti, cosi sopra le vestimenta, su le parti deretane, come se il corpo purgato avesse, se ne forbì il mal pertugio; e poi la carta cosi lacerata sdegnosamente al sergente restituì, dicendoli che andasse al chiasso. Egli, preso lo straziato papéro, quello presentò al luogotenente del signor governatore, e minutamente li narrò la risposta de l’Isabella e tutti gli atti che quella fatti avea, gabbandosi di lui. 11 luogotenente, sentendo tanta enorme temerità e presonzione di una sfacciata meretrice, riferì il tutto al signore governatore, dimostrandogli essere la presonzione di quella fe- mina uno atto molto importante e di pessimo esempio, in gravissimo dispregio de l’officio, e meritevole di acerbo gastigo, acciò che imparassero gli altri a non incorrere cosi presontuosamente in desprezzare gli officiali del magistrato, e non si fare si poco conto de li commandamenti di quello. Parve al signor governatore che cotale eccesso non si devesse cosi di liggiero passare, ma che fosse necessario farne alcuna dimostrazione. Tuttavia, pensando la delinquente essere femina e meretrice publica, non volle in tutto usare quella rigidezza e severità che il caso ricercava. Nondimeno, acciò che impunita la temeraria presonzione de l’Isabella non andasse, la fece dal bargello publicamente pigliare e condurre a le prigioni de la torre di Nona. Esaminata dal giudice, che prima prese il constituto di quella, al tutto rispondeva di modo che pareva che si burlasse e che il fatto non pertenesse a lei. Confessò poi il debito di quei danari che al mercatante era debitrice, e dimandava termine di parecchi mesi a pagarlo. Ma perché l’anno era già passato che aveva prese le robe, fu condennata a pagarlo intieramente prima che uscisse fore di pregione. E considerando ella che dimorando dentro la prigione la sua bottega grandemente perdeva, non [p. 222 modifica]222 PARTE QUARTA possendo in quello luogo il suo molino macinare, ebbe, non so come, modo di pagare il mercatante. Pensando poi essere libera e andarsene a casa senza altra pena, il giudice prononziò contra quella una sentenzia: che dal boia su la publica strada le fossero date su il culo ignudo cinquanta buone staffilate. Publicata la sentenzia, il giorno che si esegui concorse mezza Roma a cosi nobile spettacolo. Fu da uno gagliardo sergente levata sovra le spalle, e ne la via publica il boia le alzò li panni in capo e le fece mostrare il colliseo a l'aria, e con uno duro staffile cominciò fieramente a percuoterla su le natiche, di modo che il colliseo, che prima monstrava una candidezza assai viva, in poco di ora tutto si tinse in color sanguigno. Ella, avute si fiere e vergognose battiture, come le furono calate a basso le vestimenta e dal sergente lasciata in libertà, fece come il cane mastino, che, uscendo fora del covile, de la paglia tutto si scuote e se ne va via. Fece ella il medesimo, e ancora che le natiche le dolessero, nondimeno se ne andava verso casa senza mon- strare in viso uno minimo segno di vergogna, come se da uno paio di nozze se ne ritornasse.