Novelle (Bandello, 1853, IV)/Parte IV/Novella V
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al molto magnifico e cortese cavaliere}}
il signore Lodovico Guerrero fermano salute
Mi ritrovai questi dì, tornato che fui da Milano, in camera, come sapete, a fare riverenza a l’eccellentissimo signore Francesco Gonzaga, marchese di questa città di Mantova, ove anco voi eravate, allora ch’ebbe, detto signor, aviso, come a Sermedo uno povero contadino vecchio era stato dal proprio figliuolo su la riva del Po ucciso e svenato come una pecora e tratto nel fiume. Il signor marchese, fieramente turbato di così scelerato parricidio, commandò a messer Tolomeo Spagnuolo, suo primo segretario, che scrivesse a Sermedo e vi mettesse tale ordine, che il malfattore acerbissimamente fosse punito. Devete ricordarvi che varii furono li ragionamenti di molti che in camera erano, investigando la cagione che potesse avere indutto quello sceleratissimo, non figliuolo ma crudelissimo nemico, a perpetrare così enorme sceleratezza. E dimandandomi il signor marchese che mi pareva di cotanto eccesso, io li risposi che nel capo non mi poteva intrare che quello ribaldo fosse vero figliuolo de lo svenato vecchio, avendo ferma opinione che se era suo figliuolo, che la natura gli averia destato in core il debito che deve avere ogni figliuolo a suo padre, e rafrenato quello da sì vituperoso misfatto. Era quivi il signor Volfgango Schilicco, nobilissimo tedesco, il quale ne la sua giovanezza fu a Bologna discepolo di messer Filippo Beroaldo, e allora tornava da Roma, ove per lo signor Georgio duca di Sassonia avea negoziato alcune cose. Parlava egli leggiadramente la lingua italiana, che da fanciullo appresa aveva. Sentendo adunque l’occorsa sceleraggine, prese licenza dal signor marchese di narrare a questo proposito una novella in Lamagna avenuta. E, pregato dal signor marchese che la dicesse, senza aspettare altro invito, la istoria narrò. Io poi, tornato a casa, quella scrissi e aggiunsi al numero de le altre mie novelle. Ora volendola, per piacere a molti amici miei, mandare fora, ho deliberato che questa col nome vostro in fronte esca in publico e resti eterno testimonio a li presenti e a chi verrà dopo noi de la nostra mutua benevolenza. Onde ve la mando, e vi prego accettarla con quella vostra umanità che in tutte le azioni vostre usate. State sano.
NOVELLA IV
Arnolfo duca di Gheldria dal proprio figliuolo è privato del dominio
e posto in prigione. Dapoi, essendo restituito nel ducato, priva il figliuolo
de la eredità, e da’ gantesi esso ribaldo figliuolo è vituperosamente morto.
L’aviso de la morte di quello povero vecchio m’induce a pensare che la madre di quello bestiale figliuolo debbia avere ingannato il marito, e che egli del seme de l’ucciso vecchio non nascesse già mai, tanto, eccellentissimo signor marchese, mi pare strano e fore di ogni naturale instinto che il figliuolo debbia incrudelire contra il proprio padre. Tuttavia, non essendo costui da Sermedo il primo che si abbia bruttate le mani ne lo sangue paterno, e avendo Selimo del mille cinquecento dodici fatto avelenare Baiazete suo padre per farsi imperadore di Costantinopoli, non potendo aspettare la morte naturale di quello, che pur era vecchio; e molto innanzi a lui, avendo Fresco da Este, per farsi signore di Ferrara, con le proprie mani strangolato Azzone suo padre, marchese di Ferrara, mi fa stare sospeso. Nè so imaginarmi come simile ferina e barbara crudeltà da uno figliuolo si possa nel proprio padre perpetrare. E ancora che paia senza dubbio tra tutte le nazioni barbare e infideli, che non vogliono conoscere Cristo, atto nefandissimo questo enorme vizio di battere non che ammazzare li suoi parenti, molto più mi fo io a credere che sia degno di vie maggiore biasimo e eterna infamia quando tra persone cristiane si vede essere usato. Ora, riduttomi a memoria uno orribile e fierissimo misfatto, che non è gran tempo che in Gheldria seguì, – che anticamente fu Sicambria chiamata e ha li suoi campi con le castella tra la Mosa e il Reno, – penso che al signor marchese e a voi altri, signori, non dispiacerà che io lo vi racconti. Devete dunque sapere che, correndo gli anni de la nostra salute millequattrocentosettanta, poco più o poco meno, si ritrovò in Gheldria duca di quella provincia il signor Arnolfo, di età molto vecchio, che ai giorni suoi, stato cavaliere de la persona valente e ne l’armi esercitato, si aveva acquistata in diverse imprese grandissima fama. Egli ebbe per moglie una sorella del duca di Clèves, de la quale generò uno figliuolo nominato Adolfo, cui diede una sorella del duca di Borbone per moglie, e fece le nozze con grandissima pompa. Esso Adolfo pratticava molto intrinsecamente col duca Carlo di Borgogna, grandissimo nemico del duca di Lorrena e di svizzeri. Era Adolfo di pessimi costumi e fora di misura crudele e desideroso di dominare. Parendoli pure che il padre suo troppo tardasse a morire, ancora che lo vedesse quasi decrepito, ebro del disordinato appetito di farsi signore, non volendo a patto veruno aspettare il morire naturale di quello, corruppe molti servitori di detto suo padre; e apprestate le insidie, una sera, essendosi il povero vecchio ridutto a la sua camera per andare a letto, non temendo del figliuolo, – e chi teme il figliuolo?, – intrò in camera del padre l’empio e scelerato Adolfo con gli armati suoi, non meno di lui ribaldi e crudeli. E, violentemente prese lo sfortunato vecchio, e già disvestito e discalciato, come lo trovò, nefariamente lo mandò via quasi ignudo, ben che fosse di genaio, e lo fece condurre scalzo e a piedi cerca cinque miglia de le nostre, che sono più di venti italiane, a uno suo castello, ove in uno fondo di una fortissima torre, che lume alcuno non aveva, senza pietà lo imprigionò, quivi tenendolo per ispazio di sei mesi in gravissimi disagi. Il duca di Clèves in favore di Arnolfo suo cognato prese l’armi contra il nipote, e con danni del paese si sforzò di farlo liberare; ma nulla puotè ottenere. Vi si affaticò anco Carlo duca di Borgogna, per accordare il figliuolo col padre, e niente ottenne. Udita papa Sisto quarto così nefanda sceleratezza, mandò uno nonzio a Federico imperadore, padre di Massimigliano, e lo esortò a porre mano a sì enorme caso. Onde Federico e Carlo di Borgogna, intervenendo l’autorità del papa, fecero tanto che Arnolfo fu cavato di carcere. Ma, non volendo Adolfo dare al padre nè terre nè intrata per vivere, il povero vecchio ne la corte cesarea mosse lite contra il perfido figliuolo. Oltra poi la lite civile, ancora che fosse dagli anni de la vecchiaia rotto e stanco, e da la teterrima prigionia fore di modo afflitto, nondimeno, essendo di buona abitudine e di vecchiezza vivace e forte, aiutato da la generosità de l’animo suo, si offerse dentro uno steccato combattere col figliuolo. Il duca Carlo voleva che il titolo del ducato fosse del vecchio, con Grave, castello vicino a Brabante, che valea tre milia fiorini di Reno di intrata, e che altri tre milia Adolfo li desse di provisione; e a esso Adolfo rimanesse il resto del ducato. Il traditor figliuolo, udito questo, ebro di sdegno e forse anco di vino, disse: – Io, prima che fare questo accordio con Arnolfo, – nè degnò nominarlo padre, – vorrei più tosto, quando egli era in mio potere, averli fatto tagliar la testa e gettatolo in uno pozzo, e poi io istesso trattomi dietro a duello. – A questa vituperosa risposta il duca Carlo, di giusta ira commosso, fece imprigionare Adolfo in Namur, e restituì, come era condecente, il vecchio Arnolfo nel ducato di Gheldria. Dimorando in prigione lo scelerato Adolfo, il duca Arnolfo suo padre, veggendosi essere vicino a la morte, fece testamento; e per mostrarsi grato del beneficio ricevuto, instituì il duca Carlo suo legittimo erede, avendo prima giuridicamente privato de la successione il figliuolo. E così il duca di Borgogna aggiunse a’ tanti suoi stati e provincie, che possedeva, il ducato de la Gheldria, e quello pacificamente tenne sino che fu da Renato duca di Lorrena e da’ svizzeri in battaglia campale morto. Allora quelli di Gantes cavarono di prigione Adolfo e lo condussero innanzi a Tornai, metropoli de li Nervii, e quivi vituperosamente, come meritava, lo uccisero, così permettendo nostro signore Iddio in vendetta del tristo trattamento e ingiurie che al padre fatte avea.
Il Bandello a l’illustrissima ed eccellentissima eroina
madama la signora Antonia Bauzia marchesa di Gonzaga salute
A le onorate e sontuose nozze, che a Casalemaggiore, diocesi di Cremona e vostro castello, così magnificamente celebraste, quando che a la vertuosa signora Camilla vostra figliuola deste per marito il valoroso barone il signore marchese de la Tripalda; a quelle nozze, dico, degnò con una umanissima lettera essa signora Camilla, essendo io in Milano, invitarmi e menacciarmi fieramente se io non veniva. E per dare maggior autorità a essa lettera, ci erano scritte cinque linee di mano vostra, commandandomi che io non mancassi di venire, perciò che nessuna mia iscusazione si sarebbe ascoltata. Era bene assai questa lettera a farmi volare per le poste, se io fosse allora stato gravissimamente infermo. Ma ecco che Gabriele staffieri una altra lettera mi diede, che anco scrissero li dui veramente veri eroi magnanimi vostri figliuoli, il signore Federico e il signor Pirro, li quali mi denonziavano la privazione de la grazia loro, a me a par de le pupille degli occhi miei e vie