Novelle (Bandello, 1853, IV)/Parte III/Novella XLVI

Novella XLVI - Una Greca, veggendo un pescatore senza brache, si giace cun lui, tratta dal gran pendolone, che gli vide ondeggiare fra le gambe
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Avendo scritto una novella che non è molto a Crema, patria vostra, avvenne, per quanto diceva il nostro dottissimo messer Andrea Navagero, che questi dí a Marmiruolo a la presenza di madama di Mantova e de le signore duchesse d’Urbino la narrò, ho pensato non poterla meglio collocare che sotto il vostro cosí famoso nome, essendo voi oggidí quel poeta che in esplicar gli effetti amorosi non avete pari. E tuttavia nel governo de le terre di quei signori Pallavicini sète occupatissimo, rendendo sommaria e breve giustizia a ciascuno. Sovviemmi poi che piú d’una volta abbiamo insieme ragionato de la natura d’alcuni, che cosí volentieri beffano il compagno di qualche cosa, de la quale eglino meritano molto piú d’esser beffati, come vederete esser avvenuto al magnifico podestá di Crema. Vi piacerá adunque questo picciolo dono accettare, che mi rendo certo che vi fará ridere. State sano.Novella XLVI

Una greca, veggendo un pescatore senza brache, si giace
con lui, tratta dal gran pendolone che gli vide ondeggiare fra le gambe.


Avendo i nostri signori veneziani deliberato di far purgare le fosse de la terra nostra di Crema, diedero licenza generale che ciascuno potesse in quelle come piú gli piaceva pescare, onde ci furono pur assai che, entrati ne le fosse, pigliarono gran quantitá di pesce. Ed essendovi dentro di molte persone, chi scalze, chi ignude e chi d’un modo e chi d’un altro, una donna, moglie del contestabile de la porta di Ombriano, era assisa sovra il muro del ponte e si pigliava meraviglioso piacere a metter mente a quelli che pescavano, veggendo talora il pesce sguizzar di mano ai pescatori, ed il romore che tra loro facevano. Ella era greca ed assai bella donna, ma tanto baldanzosa che piú essere non poteva. Sovravenne in quella Anteo da Bologna, nostro capo di fantaria, che insieme con Babone stava a la guardia di Crema. Ella, come lo vide, appresso di sé lo chiamò e gli disse, ché assai [p. 98 modifica]comodamente parlava italiano: – Capitano Anteo, mirate colui che gran tincone ha preso. – Era non molto lunge da quello che il tincone aveva, un giovine di circa ventiquattro anni, che senza brache pescava e s’aveva tirata la camiscia sul collo, mostrando tutto il suo mobile di casa, avendo una gran masserizia, che fra le gambe sonava le campane a doppio. Anteo, che s’imaginò che la greca lo vedesse ma fingesse di non vederlo, le disse: – Madonna, il tincone che colui ha preso è certamente bello, ma io ve ne mostrerò uno che è molto piú bello. – Ed ove è egli? – soggiunse la donna. – Vedete lá, – rispose Anteo, – quel giovine che ha la camiscia rivolta su le spalle. Mirate, mirate che bravo tincone è quello che fra le coscie gli pende. Al corpo, non vo’ dire, egli è meglio fornito che uomo del paese! Io penso che sia venuto a divisioni con gli asini, ma che fosse il primo a pigliar su. Io so che ha un gran baccalaro. – La greca fece cotal vista di vergognarsi, ma con la coda de l’occhiolino lo mirava, e disse: – Voi, capitano Anteo, sempre sète su le burle. – Ed avendo ben notato il giovine, entrò in altri ragionamenti, con desiderio di volere, come poteva, provare se quel tincone era cosí saporito come in apparenza dimostrava, ed un anno le pareva mille di venir a questo cimento. Avvenne non molto dopo che, non essendo il marito in casa, la greca si trovò in porta e il giovine dal tincone grosso le passò dinanzi. Come ella lo vide, tantosto il conobbe e gli disse: – Ove vai tu a quest’ora? – E’ poteva esser da merigge. – Io me ne vo, – disse egli, – fin qui di fuori a dir una parola a l’oste. – Levossi la donna in piè ed entrò in casa, dicendogli: – Vien meco, ch’io vo’ un servigio da te. – Il buon giovine, che andava a la carlona, entrò in casa dicendo: – Madonna, che volete voi che io faccia? – Io vorrei, – rispose la greca, – che tu mi portassi giú dal solaro un sacco di grano. – Era il giovine contadino con un giubbone e calze di tela a la villanesca vestito. Ed essendo salito sovra il solaro e la donna seco: – Ov’è, – disse, – madonna, il sacco? – Alora la buona greca, che voleva esser quella che un altro peso portasse, gli diede de le mani dinanzi sovra i calzoni e ridendo gli domandò che cosa era lá dentro ascosa. Il contadino, che aveva de l’accorto, s’accorse che la donna voleva sonare, e disse: – Madonna, questa è la mia piva, con che io faccio ballare le nostre femine in villa. – E si mise anco egli su le risa. – Io vorrei – soggiunse la greca, – che tu me la mostrassi, per vederla come è fatta. – Oh! – disse egli, – che mi darete voi se io ve la mostro? – Che ti darò? – rispose la greca. – Lasciamela un poco vedere; e poi qualche cosa sará. – Il buon compagno, che vedeva che ella moriva di voglia di [p. 99 modifica]danzare sotto la piva, la cominciò a basciare e riversolla suso un sacco e le diede la piva in mano; e quella essendo messa al suo luogo ed egli sonando e la greca amorosamente ballando, fecero dui balli senza mai riposarsi. E parendo a la greca non aver mai sentito il piú gagliardo né cosí dolce suono, volle la terza volta entrar in danza. Onde il giovine, che era di buona lena ed aveva gran fiato, s’apparecchiò, e subito gonfiata la piva, fecero gagliardamente la terza danza. Temendo poi la greca che il marito non sovravenisse, per poter de l’altre volte danzare, diede alcuni «mozzenighi» al sonatore e lo pregò che egli volesse talora lasciarsi vedere, a ciò che potessero a loro agio ballare. Era giá in casa arrivato il marito, il quale, non veggendo la moglie di sotto e sentendo parlare di sopra, domandò chi fosse lá su. La donna conobbe il marito e subito rispose: – Io era venuta qui per far portar giú questo sacco di grano a questo contadino, ma egli nol può da per sé levare, ed io meno aiutare nol posso. Voi avete fatto bene a venire. Salite su e ci aiutarete. – Egli, che altro male non pensò, salí in solaro ed aiutò a mettere il sacco in spalla al contadino che lo portò a basso, ove la donna, che sapeva del ballo fatto, volle alquanto ristorare il giovine de la fatica e gli diede un bicchiero di buon vino a bere, e lasciollo andare. Stava su le possessioni il contadino di messer Salmone da Vimercato, gentiluomo molto ricco ed onorato, che è marito de la signora Ippolita Sanseverina. Come il contadino fu partito, se n’andò a la casa di messer Salmone, ove quasi ogni dí veniva, recando da le possesioni ora una cosa, or un’altra. E ragionando con alcuni servidori di casa, mostrò loro i mozzenighi guadagnati e disse il modo con che acquistati gli aveva. La cosa fu detta a messer Salmone. Egli piú compitamente dal contadino saper la volle, che il tutto minutamente gli narrò. Messer Salmone, che è gentiluomo piacevole, non ebbe mai bene fin che non disse tutta l’istoria al magnifico podestá di Crema, nostro gentiluomo veneziano, il quale nel vero aveva un poco del tondo e, come voi lombardi costumate di noi dire, teneva del bergamasco in magna quantitate. Quando il podestá, il cui nome non voglio per ora dire, intese questa comedia, non si puoté contenere che non desse la baia al contestabile, di maniera ch’egli ne fu a gran romore con la moglie. Ma ella, negando il vero e facendo buon volto, seppe cosí fare che queste erano ciancie che Babone ed Anteo avevano per malevoglienza levate, perciò che ella non gli voleva dar orecchie; e tanto disse che il buon contestabile non dava orecchie al podestá, lasciandolo dire ciò che [p. 100 modifica]voleva. Avvenne indi a pochi giorni che, essendo il podestá in sala con la moglie ed altre gentildonne, vi si trovò anco messer Salmone. Ed in quel tempo la signora Ippolita moglie di messer Salmone mandò una tazza di bellissime pesche duracine a la magnifica podestaressa e mandolle per mano del contadino del grosso tincone. Come messer Salmone lo vide, subito disse al podestá: – Magnifico messere, eccovi il compagno che ha fornito la greca del contestabile de la porta d’Ombriano. – Il podestá, non avendo riguardo a la moglie ed altre donne che seco erano, comandò al contadino che devesse narrare il fatto come era stato. Egli, che altra lingua che la cremasca apparata non aveva e non averia saputo altrimente il suo concetto esplicare che con le semplici e naturali parole, disse il tutto, e tanto fece ridere il podestá e gli altri gentiluomini, che ancora ridono. La podestaressa e l’altre donne non risero cosí largamente, perché mostrarono per onestá aver vergogna, sentendo nominare cosí naturalmente le cose. Né bastando questo, volle il podestá che il buon compagno mostrasse il suo bel tincone, non pensando che quella medesima voglia poteva a madonna podestaressa venire che a la moglie greca del contestabile era venuta, e ch’egli potrebbe poi cosí di leggero esser beffato come beffava altrui. In somma il contadino, che aveva bisogno di poca levatura, sentendo ciò che il podestá gli comandava, per téma di non esser bandito o andare in prigione, sfoderò gagliardamente a la presenza d’uomini e donne la sua squarcina, che fece meravigliare tutti gli uomini che quivi erano, vedendo sí gran baccalaro, e fece nascer desiderio a molte de le donne di provare come ella ben tagliava. Le risa degli uomini furono grandi. Le donne si mettevano le mani agli occhi, ma tenevano i diti larghi l’uno da l’altro per meglio contemplar l’armi del dio degli orti. Il podestá, ridendo tuttavia, disse: – A le vangele di san Marco, che la greca ha fatto molto bene, se s’è provista di cosí bel mescolo. – E su questo ciascuno diceva la sua. Madonna la podestaressa, ch’era donna di pelo rosso, ben compressa ed assai giovane, veggendo che il marito, che era uomo di piú di sessanta anni, lodava la greca, disse tra sé: – Certo io provederò a’ casi miei. Messere è vecchio e non mi tocca di tre mesi una volta. Costui supplirá, se io potrò. – Onde seppe col mezzo di certa buona donna sí ben fare, che ella entrò in possesso del tincone, ed ancor che, meno che discretamente col contadino domesticandosi, fesse cagione che per Crema se ne parlasse, nondimeno nessuno ardí mai farne motto al podestá; ed ella, trovando nel tincone buon pasto, ogni volta che poteva se ne empiva il [p. 101 modifica]corpo. Il podestá, come vedeva il contestabile, gli era sempre dietro a morderlo de la moglie che aveva preso il tincone. Tutti quelli che l’udivano, piú di lui che del contestabile ridevano, sapendo come il fatto andava. Avvenne anco spesse volte che dando il podestá la berta a colui, che madonna la podestaressa, che era presente, anco ella se ne beffava, pensando che nessuno s’accorgesse che, se la greca per un dí aveva banchettato col tincone, ella giá piú di sessanta volte l’aveva posto a lesso, a guazzetto, in pasticcio e a rosto, essendo ferma openione di tutti che ella usasse quel bel tincone innanzi e dopo pasto. Ma il buon podestá, che di questo niente sapeva, s’era messo su questo umore di non lasciar vivere il povero contestabile, non s’accorgendo che tutta Crema di lui si beffava.


Il Bandello al valoroso signore
il signor Giulio Manfrone salute


De le molte beffe, che sono da le mogli fatte ai mariti gelosi, tutto ’l dí si potria chi volesse, ragionare. Ed ancora che di leggero siano ingannati quei mariti che troppo si fidano, nondimeno pare che mai non fosse geloso che per tempo o tardi non andasse a Corneto. Onde Francesco Sforza, primo di questo nome duca di Milano, soleva dire che, a comprar un melone, un cavallo, e a pigliar moglie, bisognava pregare Dio che la mandasse buona. E di questa materia ragionandosi in casa de la vertuosissima signora Ippolita marchesa di Scaldasole, essendo in Pavia, il nostro gentile messer Agostino Porzio narrò una novella a questo proposito; la quale avendo io scritta, ho voluto che in testimonio del molto amore che sempre m’avete dimostrato, ella vada fuori sotto il vostro nome. Voi in questa conoscerete gli errori che talvolta i vostri pari commettono se da l’appetito si lasciano trasportare, e, come saggio e prudente che sète, ve ne saperete guardare. State sano.Novella