Novelle (Bandello, 1853, III)/Parte II/Novella XXXIX
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bisognava, essendo buon tempo, navigarono verso Chiavari, ed a l’ora assegnata v’aggiunsero. Smontati in terra, andarono a la porta de la terra, e tre di loro, fattisi innanzi, chiamarono le guardie, da le quali fu loro aperto il portello. E in un tratto, calato il picciolo ponte, tutti gli altri vi saltarono su, e minacciando le guardie di morte se gridavano, quelle lasciarono sotto cura d’alcuni loro compagni, che anco guardassero il portello. Poi Cornelio, Simone e il resto subito se n’andarono di lungo a la casa del nemico loro, e con lor ingegni gittata la porta de la casa in terra, in quella entrarono, e trovata la camera, ove il misero Gian Battista tutto rotto e conquassato si giaceva, quello senza pietà ammazzarono ed a brano a brano in mille pezzi divisero. Poi senza esser offesi da nessuno, tutti a man salva di Chiavari uscirono, e secondo l’ordine del conte a le castella di quello, per tèma de la Signoria di Genova, si ritirarono. Cotal fine ebbe la trascurata e temeraria presunzione de l’infelice amante, che, senza accordo de la donna nè de la fante, volle la sua ventura tentare, e tal la ritrovò quale udito avete. E in effetto, chi fa il conto senza l’oste lo fa due volte.
Da che voi andaste in Monferrato a casa vostra, e che madama Fregosa nostra commune padrona andò a la corte del re cristianissimo, io sempre dimorato sono a la solita stanza di Bassens. Qui intesi questi dì come prete Antonio Bartolomeo, chiamato Cascabella, fu imprigionato al vescovado, perchè avendo, già cerca trenta anni sono, presa moglie, e da lei avuti figliuoli, si fece poi ordinar prete, e tuttavia stando con lei, teneva anco una concubina. Vive la moglie, vive il figliuolo legitimo, e vive la concubina con alcuni figliuoli generati dal Cascabella. Mi parve il caso molto strano, nè da me più ne la Chiesa occidentale udito. Ora il misero renderà conto dei casi suoi. Si ritrovarono qui alcuni dei nostri ufficiali, e, varie cose ragionandosi del Cascabella e di molti suoi vizi e maligna natura, messer Bernardo Casanuova disse una novelletta d’un altro prete, avvenuta non è lungo tempo. Onde avendola io scritta, ho voluto mandarvela e farvene un dono, a ciò che sotto il nome vostro si legga in testimonio de la nostra mutua benevoglienza e di tanti piaceri ricevuti da voi. State sano.
Egli non è da dubitar, signori miei, che tutto ’l dì non avvengano degli accidenti ne la materia di cui ragionato avete, ed io ve ne saperei di molti narrare, perciò che tutto il dì formo processi di simil materia. E questo avviene chè essendo l’uomo tutto ’l dì da le carnali passioni aspramente combattuto, si lascia di leggero da quelle vincere, e là va seguitando dove elle lo tirano. Ed ancor che tutte le nostre passioni siano cagione di gran mali, par tuttavia che quelle de l’amore e de l’odio facciano far più strabocchevoli errori, perciò che l’uomo tratto da alcuna falsa apparenza, o di vendetta o di piacer carnale, si lascia incapestrare, e tanto innanzi va che a ritirarsi ci è da far assai. Ma dicendo del Prete Cascabella, cascato sì trascuratamente in tanto errore, io gli ho compassione, perchè tutti siamo fragili e sottoposti a le passioni veneree. Ben mi meraviglio, essendo de l’età che è, mostri sì poca contrizione. Sua moglie è disposta a far quello che le sarà ordinato. La concubina pare che abbia poca voglia di far bene, e non so se vorrà imitar quella di prete Elia, come vi narrerò. Io mi son trovato a l’essaminazione, e veggio che egli tuttavia va cercando d’escusar il suo errore, che escusazione non riceve. E questo è che la piaga è infistolita, perchè la trista e lunga usanza sua di viver libidinosamente se gli è fatta quasi un’altra natura, di modo che l’abito fatto nel male ora è più potente a ritenerlo nel peccato, che non sono valevoli l’essortazioni a tirarlo al bene. Ed ogni abito con gran difficultà si può levar via. Per questo deverebbe ciascuno che viver voglia cristianamente, se talvolta casca in peccato, cercar incontinente di rilevarsi e non far il callo nel vizio, perchè diviene schiavo del peccato e quasi perde la sua libertà, e poi si sottomette al disgoverno de la sua corrotta e viziata natura, che già s’avvezza andar di mal in peggio. Ora, volendo dire de la femina del prete Elia, sono quasi divenuto predicatore, come se in questa onorata compagnia fossero alcuni bisognosi de le mie essortazioni. Vi dico adunque che essendo nostro vescovo la buona e santa memoria di monsignor Antonio da la Rovere dei signori di Vinuovo, in Italia, vicino a Turino, uomo di castigata vita e di dottrina, che prete Elia da Alto Pino era vicario de la parrocchia de la villa di Ameto de la giurisdizione di monsignor di Caumont, diocese agennese. Teneva esso prete una concubina con la quale era perseverato più di dicenove anni, sempre tenendola in casa come fosse stata sua moglie. Del che ne la villa e circonvicine parrocchie ne nasceva scandalo ed assai se ne mormorava. Ma egli punto non curava il dir altrui, anzi perseverando nel concubinato andava di mal in peggio. La consuetudine di monsignor il vescovo era, quando trovava alcuno prete che occultamente peccasse, quello con umanità, modestia e clemenzia grandissima ritirar al ben fare e levarlo fuor del peccato, correggendolo con amore e carità e con penitenzie segrete, ove il fallo era occolto. Quelli poi i cui peccati erano publici e scandalosi con più severità gastigava e puniva con penitenzie publiche o con l’impregionarsi, usando perciò sempre più misericordia che giustizia, come buon pastore che era, cercando più tosto la vita del delinquente che la morte. Ora, intendendo egli la pessima vita di prete Elia, lo fece citare innanzi al suo tribunale. Venne il prete, ed essendo dal vescovo essaminato, liberamente confessò il suo gravissimo errore, e con umiltà e lagrime ne dimandò perdono. Monsignore, veduta la libera confessione ed il dolore che prete Elia mostrava del suo peccato, promettendo di mandar via la femina e mai più non cader in simil fallo, ma viver da buono religioso, gli ebbe compassione, e lasciatolo alquanto di tempo in carcere, con digiuni ed altre penitenzie macerandolo, il fece poi cavare fuora. Venne prete Elia innanzi al vescovo ed ai piedi di quello prostrato, domandò di nuovo perdonanza e misericordia. Monsignore alora gli disse: – Prete Elia, l’enorme, libidinoso e grave tuo peccato, e il lungo' 'tempo che in quello sei vivuto, con lo scandalo dato ai tuoi popolani ed a molti altri, meritava che io ti facessi perpetuamente macerare in una oscurissima prigione con poco pane e poca acqua. Ma veggendo, secondo l’esteriore dimostrazione che fai, che tu hai contrizione de le tue sceleratezze, e che mi prometti levarti fuor di questo fetente fango de la lussuria e più non gli ritornare, ed anco perchè ho buonissimo testimonio che tu governavi bene l’anime a la tua cura commesse e, ancor che tu vivessi male, essortavi nondimeno il popolo a viver catolicamente, e riprendevi i vizii, io ho voluto usar teco più di clemenzia che di severità e giustizia. Fa che tu riconosca la pietà che ti ho e ch’io più non senta querele di te, perchè ti tratterei di maniera che mai non vorresti essermi venuto a le mani. Va con la benedizione di messer Domenedio e mia, e non peccar più. – Già aveva prete Elia fatto dar congedo a la concubina fuora de la casa, facendole intendere che più dinanzi non gli andasse. Andò dunque a casa e cominciò a cambiar vita e costumi, vivendo da buon sacerdote e mostrando che di core era pentito. La concubina, che voleva tornar a vivere a l’ombra del campanile, tentò molte vie di tirar il prete al primo zambello, ma non vi fu ordine già mai. Onde poi che la misera vide che indarno s’affaticava e che il prete più non voleva sua pratica, o che ella fosse di lui innamorata, o che se ne fosse cagione, si disperò e deliberò non voler più vivere. Era un giorno andato prete Elia a portare il preziosissimo e sagratissimo corpo del nostro Salvatore messer Giesu Cristo a un paesano assai lungi da la parrocchial chiesa, il quale era in termine di morte. Il che sentendo la disperata femina, se n’andò a la casa del prete, e come quella che v’era dimorata circa dicenove anni e sapeva tutti i luoghi, entrò dentro, ed aperta la camera con suoi ingegni, ad un trave di quella con la fune del pozzo per la gola s’appiccò e si ruppe l’osso del collo. Tornò il prete, e, volendo con alquanti entrar in camera, vide il misero spetacolo. Vi concorsero molti ed il romore fu grande, e la trista, come meritava, fu tratta ne la sepoltura degli asini. Io v’andai mandato dal vescovo, e la vidi appiccata, e ci furono di quelli che testificarono che, andando il prete con il Corpus Domini, videro la sciagurata andar in fretta verso quella casa.
Quanti e quanto varii, molto nobile e valorosa madama, siamo gli accidenti che ogni giorno occorrono negli affari de l’amore, chi considera quanto differenti e diversi si veggiono gli ingegni e quanto varii gli appetiti e voglie degli uomini e de le donne, potrà di leggero conoscere. E ben che Amore adoperi