Non sempre avvien, che d'Ippocrene il fonte
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XXVI
A MONSIGNOR
CINTIO ALDOBRANDINI
CARDINALE DI S. GIORGIO.
Non sempre avvien, che d’Ippocrene il fonte
Lasciando, e Pindo, ove danzar son use,
Mostrino i rai della celeste fronte
Allo sguardo mortal l’inclite Muse.
5E quando l’alte Vergini rimira,
Lor volge il Mondo ben sovente il tergo,
Ond’elle piene il cor di nobil ira,
Volgono i passi all’Eliconio albergo.
Ma, se destra real pronta si stende,
10E lieta il coro peregrino accoglie,
Ogni Diva la cetra in man riprende,
E con fervido stil canti discioglie.
Dicesi allor chi fulminando in guerra
Sparse di sangue ostil campagne e fiumi;
15E con lodi si leva alto da terra
Chi leggi scrisse, ed emendò costumi.
Quinci Cigni raccor prese consiglio
In pace Augusto, e tra le schiere armate;
Ed ebbe d’Argo a ben vedere il ciglio,
20Che taciuto valor quasi è viltate.
Nè meno oggi a cantar veggonsi accesi,
Che sul fiorir di quei beati tempi,
Tua gran mercè, che di quei cor cortesi
Sorge cortese a rinnovar gli esempi.
25Così pur dianzi in ammirabil note
Udiva il Tebro altera tromba, e carmi,
Onde a ragion di Giove il fier nipote
Invidia l’ire di Riccardo, e l’armi.
Pregio sovran del duro secol nostro,
30Pregio di te, che il suono alto sublimi;
E benchè sacro tu risplenda in ostro,
Fa che sì fatta gloria apprezzi e stimi.
Ostro, nè se di Tiro almo risplenda,
Contra nebbia infernal non ha virtude;
35Ma non avvien, ch’alma virtude offenda
Nebbia infernal d’Acherontea palude.