Pericoli delle federazioni

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Nell’unione sta la forza, e la mistica pace di Villafranca ribadiva nelle menti degli Italiani l’incontestato assioma. Le popolazioni dell’Italia centrale con ammirabile contegno lo tradussero in atto mediante l’unanime e solenne voto di annessione, che emisero i parlamenti [p. 6 modifica]di quelle provincie alla Monarchia Costituzionale della casa di Savoia, voto che si ripete oramai da ogni lato d’Italia, in quelle forme che le peculiari condizioni delle varie provincie il consentono.

L’indipendenza nazionale resa nuovamente iperbolica dalle stipulazioni di Zurigo, ecco il cemento che unì ad un solo scopo tutti i partiti che generosi intesero alla redenzione dell’Italia; e sparirono così di un tratto per gl’insorti contrasti, tutte le gradazioni di opinioni di forme e di mezzi, che tennero sin qui divisi gli animi a gran conforto dei nostri nemici.

Nelle provincie dell’Emilia, vale a dire in tutto il paese che giace sul versante orientale degli Appennini non una parola autorevole sorse ad elevar dubbi sulla utilità e l’opportunità dell’annessione, ripugnandosi unanimemente l’insidioso concetto della federazione di piccoli Stati autonomi, fosse pure sotto il manto specioso di dinastie nostrali, e con tanto maggiore sdegno poi respingendosi ogni idea di qualsiasi signoria straniera.

E bene si apposero quei popoli, sapendo come la patria nostra fu ludibrio di ogni gente per le sue divise signorie, e scontò a lagrime di sangue le dominazioni straniere di ogni forma e natura. Una federazione nelle condizioni geografiche e politiche dell’Italia, che giace frammezzo a potentissime e compatte nazioni, sarà mai sempre argomento supremo di debolezza, e non può per essa invocarsi che da invidi nemici, o da amici gelosi.

E mi conforta in questa sentenza l’opinione di Toqueville il quale diceva1 — non credere che i popoli [p. 7 modifica]confederati valgano a lottare felicemente e per lunga pezza in parità di forze, contro nazioni nelle quali la potenza governativa sia centralizzata. —

Nella Toscana vi fu bensì qualche isolato disparere ma fu un fuoco fatuo che presto si spense nel mare magnum dell’opinione pubblica, ivi pure avversa ai separatisti d’ogni specie; e Montanelli ed Alberi sono uomini troppo onesti ed avveduti per non accorgersi, che colle diverse loro idee di separatismo si facevano inconsci strumenti dei retrivi, i quali già accennavano di por esca al fuoco, in agguato come essi sono per cogliere ogni germe di dissidio suscettibile di essere fecondato alla rovina d’Italia.

Affinchè gl’Italiani non si facciano illusioni di nessun genere sull’arduo problema delle federazioni che sotto forme ingannevoli e seducenti di tratto in tratto viene lanciato sull’arena del giornalismo europeo al nostro indirizzo, talvolta con puerile ingenuità, e tal altra come dissi per opera di nemici invidi o di amici gelosi, non posso astenermi dal trascrivere il severo giudizio che ne fece il nostro insigne e poco studiato Romagnosi: «Forse taluno si avviserà di progettare federazioni nazionali contro le aggressioni degli esteri potentati e lasciare così che tutti comandino sulla loro parte di territorio. Ma questo divisamento quanto è volgare altrettanto è illusorio per la comune difesa. È una vera puerilità il contrapporre i fragili vincoli del federalismo ad un potentato che ti assale con forze unite ed improvvise. È una vera dabbenaggine che fa ridere i forti il ripromettersi con unanime buona fede, zelo e cooperazione da molti principi, ad un solo dei quali, se il nemico prometta [p. 8 modifica]vantaggi e riesca di corromperlo, rompe tutta la lega tessuta con tante fatiche e con tanti sacrifizi. È un ignorare il testimonio costante della storia delli Stati federativi, il voler confidare su di un aggregato di capi sovrani, tanto più gelosi di figurare, quanto sono più privi di mezzi di farlo; tanto più difficili a confidare ad un capo la comune difesa, quanto più diffidenti fra di loro; tanto più impotenti a cooperare con prestezza e con vigore, quanto meno regolati nella loro amministrazione. In breve, volete voi adormentare un popolo sopra un vulcano coperto? Volete voi tenere la porta aperta agli assassini? Stabilite la federazione e voi riescirete nel vostro intento. Questa è una verità anche troppo nota a chiunque ha delibato la politica degli Stati, talchè alla fine siamo costretti a conchiudere non trovarsi sicurezza che nella potenza elevata all’unità nazionale, regolata da un sol principato2.» Tutto ciò tengano bene a mente gli Italiani e la storia non che d’Italia ma di tutta Europa dal 1848 al 1859 è il più stupendo attestato del profetico e acuto criterio del moderno Macchiavelli.

Nè si adduca in contrario l’esempio dell’America, mentre coloro che hanno letto e meditata la storia della rivoluzione degli Stati Uniti di America, od anche solo la vita di Washington, si persuaderanno di leggieri che il miglior ausilio che avessero quei confederati era l’immenso Oceano che li separava dall’Inghilterra, senza cui sarebbero stati probabilmente vinti per le interne dissenzioni, ad onta del senno dei Morris dei Francklin e dei Washington.

Note

  1. De la démocratie en Amérique, pag. 177.
  2. Teoria costituzionale, parte II, pag. 15.