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Anno di guerra 1918

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Anno di guerra 1918.

Ho detto altrove che il maggiore sforzo della guerra, nell’anno 1918, fu sostenuto dagli Arditi.

Il peso più grave è senza dubbio quello offensivo: e in esso che si esplica l’energia vera di un esercito, è in esso che si subiscono perdite e danni d’ogni sorta, è con esso che si conclude e si risolve un’azione.

I bollettini del nostro Comando Supremo parlano ripetutamente delle azioni compiute dai Reparti d’Assalto nello scorcio dell’inverno e nella primavera. Nel gennaio, il 20° al Col del Rosso e il 22° a M. Valbella; nel marzo, l’8º a Cavazuccherina, il 10° a Val Posina; nell’aprile, il 13° a M. Melaghetto; nel maggio, il 13° ancora a Stoccaredo; ed altri a giugno sul Piave, nei giorni che hanno preceduto la vana offensiva austriaca.

La relazione del Comando Supremo sulla battaglia del giugno, mentre tratta ampiamente della resistenza delle valorose fanterie all’offensiva austriaca, attribuisce in gran parte il merito dei contrattacchi e della riconquista delle posizioni perdute ai Reparti d’Assalto. [p. 31 modifica]Il 52°, sul Col del Rosso, riconquistava in aspra lotta il ridotto di Costalunga.

Il saliente dei Solaroli fu ripreso con attacchi reiterati durati dal 16 al 24 giugno dal 18° Reparto, che lasciò sul terreno i suoi più belli ufficiali e i suoi più epici Arditi.

Il 27° Reparto, sul Montello, collaborò con le autoblindate al contrattacco di Giavera, e coi bersaglieri assaliva il nemico tra il Piave e Casa Carpanedo, respingendolo e catturando prigionieri, e l’indomani (giorno 16) tornava all’attacco con la fanteria.

La 1° Divisione d’Assalto, formatasi in quei giorni, agì sul Piave, e precisamente nelle località Fossalta, Fossetta, Croce, Zenson (17-18-19 giugno).

Sono inoltre segnalati dalla relazione i Reparti 11°, 23°, 25° e 26°, distintisi per ardore e spirito di sacrificio.

Ma per tutti può essere citato, campione d’ardimento, il 9° reparto che, al comando dell’intrepidissimo maggiore Messe, compì prodigi di valore nella regione del Grappa.

Nei giorni 15-16 il nemico aveva travolto le difese di Col Moschin, del Fenilon, del Fagheron e occupava Palazzo Negri, Casa dei Pastori e Cà dei Briganti. Il Reparto riceve l’ordine [p. 32 modifica]di portarsi a Col del Gallo per procedere poi alla riconquista della linea marginale Col Moschin-Col Fagheron. Sono le 12.15 quando le Fiamme, con celere marcia, raggiungono le posizioni dalle quali dovranno scattare.

L’azione è iniziata da una compagnia, che attacca decisamente gli austriaci di Palazzo Negri, Casa dei Pastori, Cà dei Briganti.

La lotta è asprissima perchè il nemico impiega numerose mitragliatrici che cantano inesorabilmente il loro de profundis; ma in meno di una mezz’ora, a furia di bombe e di pugnali, i nostri sloggiano il nemico da quelle posizioni e attaccano con furore il ridotto di q. 1318 che pure viene occupato.

Durante l’azione, in testa al Reparto, muore da prode il capitano Umberto Pinca, sulla cui salma le Fiamme giurano vendetta. Intanto una seconda colonna, che punta dal Fagheron, fuga bravamente gli austriaci che occupano la chiesa di S. Giovanni e si precipita nel bosco, della chiesa stessa, per ripulirlo.

Nelle caverne del bosco nuclei nemici cercano di resistere, ma i nostri seppelliscono quelle difese con getti di liquido infiammato.

Numerosi prigionieri e 5 mitragliatrici restano nelle mani dei vincitori, che hanno riportato la linea a q. 1318 Fagheron-Col Piazzoli. [p. 33 modifica]Pattuglie che si spingono intanto verso il Fenilon e il Col Moschin per tastare il nemico, informano che le due posizioni sono fortemente presidiate.

Dovendo attaccare in Fenilon, le fiamme, protette dall’artiglieria, si rotolano da q. 1318 e serrano — sotto la posizione da conquistare.

Alle ore 22 il Reparto scatta con impeto travolgente. Risale di slancio il Fenilon, lo avvolge, lo stringe in una morsa di fuoco con un infernale lancio di petardi e di liquido infiammato.

La nebbia è tanto densa che neppure i lanciafiamme riescono ad illuminare la lotta. Il nemico resiste tenacemente, reagisce anche, con disperazione. Ma la foga degli Arditi è irresistibile; è come una fiamma che tutto corrode ed abbrucia.

Non v’è scampo per nessuno; chi non si arrende muore sul posto. I nostri urlano di nome del loro duce: « Messe, Messe ». Tutto schiantano, tutto travolgono e se una Fiamma cade, dieci compagni si precipitano a vendicarla. Sul Fenilon è quella battaglia fantastica pensata dagli Arditi per battezzare lo stendardo delle dame di Potenza. Un’ora dura l’inferno; dopo di che gli Arditi restano padroni del campo ed il Fenilon ritorna nelle nostre mani. Cinque ufficiali, oltre [p. 34 modifica]un centinaio di soldati e numerose mitragliatrici catturate testimoniano della tragicità dell’urto.

Durante la notte, gli Arditi ricevono il cambio e vanno ad ammassarsi sulla selletta del Col Moschin per attaccarlo.

Alle sette tutto è pronto e mentre ancora l’artiglieria nostra spara, le Fiamme, che nessuno può più frenare, si precipitano all’assalto. Il loro slancio è magnifico, un entusiasmo fremente ed indescrivibile ha preso tutti.

Le Fiamme si son date a cacciare l’austriaco come si caccia la belva nella foresta, scovandolo, aizzandolo, sopraffacendolo, scompigliandolo senza preoccuparsi di essere tagliati fuori e soverchiati.

Nulla li può fermare; nè la grandine di proiettili nè le mitragliatrici che tormentano gli assaltatori sui fianchi; anche qui chi non si arrende è ammazzato. «Fate presto!», urla un sardo, piccolo, nervoso, la cui voce non si perde nella battaglia ma è raccolta da tutti. I pugnali hanno allora baleni più brevi ma squarciano con maggiore furore, quasi con fretta; e i caratteristici laceranti scoppi delle bombe si fondono in un unico tramultuoso e spaventevole furore.

Dieci minuti dopo il segnale dell’attacco, gli Arditi hanno raggiunto la quota e la tengono [p. 35 modifica]saldamente. Restano in nostre mani 27 ufficiali, 400 uomini di truppa, 17 mitragliatrici, un cannone da trincea; e vengono riconquistate due batterie da montagna con l’intero munizionamento e prezioso materiale di ogni genere.

Quando il Reparto sostituito sul Moschin da altre truppe ritorna ad ammassarsi sul rovescio di q. 1318, gli artiglieri delle batterie riconquistate sparano a salve in onore delle instancabili ed arditissime Fiamme nere.

Nella stessa giornata del prodigio, S. E. il Comandante l’Armata del Grappa, Generale Giardino, indirizzava a tutte le altre Armate il seguente fonogramma:

«Con meraviglioso slancio il 9º Reparto d’Assalto ha in dieci minuti riconquistato il Col Moschin, catturando oltre 400 prigionieri con 25 ufficiali e numerosissime mitragliatrici».

Il 24 giugno il 9º Reparto riceve l’ordine di portarsi in Val d’Amoro per partecipare all’attacco di M. Asolone. Il settore assegnato agli Arditi è, come sempre, il più fortemente difeso dal nemico. Le Fiamme lo sanno ed i loro cuori, nell’attesa, pulsano con ritmo più accelerato.

Dieci minuti prima dello scatto del Reparto, alle 15,50, l’artiglieria nostra intensifica il fuoco. [p. 36 modifica]L’avversario controbatte con raffiche serrate e radiose. Alle ore 16 gli Arditi balzano come fiere dagli abbancamenti di q. 1473 e si avventano verso l’Asolone.

Le artiglierie nemiche accelerano ancora il tiro, mentre mitragliatrici, postate favorevolmente, scaraventano sugli assalitori scariche furiose.

Invano. I nostri, pure subendo perdite gravi, non sostano, anzi accelerano la corsa e irrompono con furia sfrenata nei primi elementi delle trincee avversarie, dove impegnano coraggiosi corpo a corpo. La lotta è a colpi di pugnale e di bombe. Ad un tratto, dove la mischia è più pazza, si alza lo stendardo da combattimento degli Arditi. Le Fiamme si elettrizzano. I nidi di mitragliatrici vengono affrontati apertamente. Tutto deve cedere sotto l’urto tremendo di quei valorosissimi. I mitraglieri che non si vogliono arrendere sono finiti sul posto e le armi catturate vengono, con prodigiosa velocità, rivolte contro gli austriaci.

Rincalzi nemici alimentano di continuo la resistenza e la lotta, ma l’opera sgretolatrice degli Arditi, abituati a battersi uno contro dieci, si intensifica: la qualità vince il numero. I lanciafiamme lavorano efficacemente alla pulizia di qualche caverna illuminando con bagliori sinistri la tragica lotta. [p. 37 modifica]

Il nemico, stretto alla gola da pugni di ferro, sussulta disperatamente ma resiste.

Le Fiamme si irrigidiscono allora in uno sforzo supremo che tutto travolge, annienta e distrugge. Con un altro sbalzo la cresta dell’Asolone è finalmente raggiunta e la bandiera delle signore di Potenza sventola audacemente agitata dall’eroico maggiore Messe che l’ha raccolta nel sangue di Ciro Scianna, un purissimo figlio della Sicilia, porta-stendardo del Reparto, caduto pochi momenti prima.

Un attimo di tregua, poi la lotta riprende con maggiore intensità. Le artiglierie nemiche tormentano atrocemente le posizioni conquistate e nuove mitragliatrici sgranano i loro funebri rosari.

Le schiere delle Fiamme si assottigliano sempre più. Rimanere sulla quota in quelle condizioni è impossibile assolutamente, ma occorre tutta la energia del maggiore Messe per evitare l’inutile sacrificio a riportare gli Arditi alla nostra primissima linea dove ripiegano fieramente combattendo ancora e distruggendo chi osa seguirli.

All’indomani di quella gloriosissima giornata, fulgido poema di valore che chiude degnamente il periodo della prima epopea — pieni di fango e di sangue, cantando le loro canzoni esuberanti di giovinezza tumultuosa, gli Arditi scendono a riposo. [p. 38 modifica]I vuoti che si contavano erano terribili, ma le volontà dei superstiti si manifestavano più tenaci e scintillavano con più splendore.

E venne l’offensiva dell’ottobre.

Fu detto e divulgato, con la tendenza a screditare l’opera del nostro esercito e a svalutare la grandiosa vittoria, che questa offensiva fu una passeggiata gioconda alle calcagna degli Austriaci, che, fin dal primo colpo di cannone, si posero in fuga.

Effettivamente la massa del nostro esercito non incontrò una resistenza notevole.

Ma bisogna ricordarsi che la massa potè avanzare solo quando le truppe d’assalto, Arditi, ciclisti e le autoblindate, avevano sfondato il fronte nemico.

Il generale Zoppi, comandante la 1ª Divisione d’assalto, così si esprimeva nell’ordine del giorno 1° novembre 1918 ai suoi Arditi:

« ....foste voi ad aprire la porta più importante e grandiosa delle odierne vittorie. Quando nella notte del 26 traghettando il Piave con l’anima anelante e con le tasche piene di petardi e coi cassoni colmi di munizioni, voi muovevate risoluti al nemico, tutto dipendeva da voi. L’Italia con [p. 39 modifica]l’anima fidente, ma tesa, seguiva la scia delle vostre barche e tendeva l’udito, sospirando il primo fragore delle vostre armi al di là.

« Lo scoppio del vostro primo petardo nell’oscurità insidiosa dell’altra sponda fu immenso, santo e solenne come la voce di Dio e fu il primo principio della nuova Storia d’Italia ».

E a dimostrare quanto sia stata tremenda e sanguinosa la lotta sul Piave e sul Grappa, stralcerò dalle relazioni dei vari Comandanti dei Reparti i passi più significativi:

Il piano Napoleonico della grande battaglia che prese il nome di Vittorio Veneto non era stato accolto favorevolmente dai Comandi Supremi degli eserciti alleati perchè presentava pericoli gravi ed in caso d’insuccesso avrebbe compromesso le sorti della guerra, da due mesi propizia sul fronte occidentale.

Ma il nostro Comando Supremo volle applicarlo sapendo di poter disporre di truppe provate; e queste erano le due Divisioni d’Assalto e vari gloriosi Reggimenti di ogni arma che in tutte le occasioni avevano fatto sacrifici inauditi per l’onore e la gloria d’Italia.

Dopo quasi due mesi d'intensa preparazione e di attesa, il 23 ottobre 1918 fu iniziata l’azione dimostrativa dagli Altipiani, al Piave ed il 26 il [p. 40 modifica]Comandante dell’VIII Armata ordinava alle sue truppe di passare il fiume (ordine del giorno del generale Caviglia in data 26 ottobre 1918).

Il passaggio fu eseguito nella notte del 26, malgrado il tempo perverso e la piena del fiume, dal XXII Corpo d’Armata e dalla 1ª Divisione d’Assalto (ordine del giorno del generale Caviglia in data 4 novembre 1918) parte a guado e parte su passerelle le quali vennero asportate dalla corrente o demolite dall’artiglieria nemica, di modo che le truppe passate al di là rimasero isolate, mancanti di viveri e munizioni.

Se esse non avessero corrisposto alla fiducia del Comando Supremo, l’audace impresa sarebbe finita come l’offensiva nemica del giugno 1918, e forse il nostro esercito non avrebbe più potuto frenare l’avversario rapace sulla linea del Piave, ma i valorosi assaltatori pugnarono due giorni e tre notti con tenacia ammirevole, strappando al nemico armi, munizioni e viveri per continuare a combattere in attesa dell’aiuto che non doveva mancare.

Ed il Comandante dell’VIII Armata, vivamente preoccupato per la sorte di quelle truppe, il 28 ordinava di gettare nuovi ponti sul Piave per dare ad esse aiuto e permettere loro di raggiungere gli obbiettivi stabiliti (ordine del [p. 41 modifica]giorno del generale Caviglia in data 28 ottobre 1918).

Così nella notte del 28 passarono il fiume l'VIII ed il XXVII Corpo d’Armata, e nel giorno successivo la 1ª Divisione d’Assalto, sentendosi appoggiata, potè continuare la sua azione vittoriosa, spingersi per più vie su Vittorio Veneto ed aprire in tal modo il varco alle fanterie della X Armata che dilagarono a tergo della linea nemica portando al crollo di quello che fu il potente esercito austriaco (ordine del giorno del generale Caviglia in data 4 novembre 1918).

Uno dei gruppi d’Assalto che passarono il Piave la notte del 26 ebbe il còmpito di costituire la testa di ponte sopra Moriago, Fonsigo, Sernaglia, e ciò fece dopo strenui combattimenti sostenuti per tre notti e due giorni, dei quali fanno cenno anche i comunicati austriaci del 28 e 29 ottobre, comunicati ancora baldanzosi, perchè il nemico sperava sempre di aver ragione delle truppe italiane che trovavansi isolate a Moriago e Sernaglia; le quali seppero invece resistere e vincere, perchè animate da spirito di sacrificio e da vero amor patrio e non dalla brama di preda che era l’unica forza di coesione del multilingue esercito austriaco. [p. 42 modifica] Gli altri due gruppi della linea Sernaglia-Villamatta procedevano decisamente verso est, facendo cadere le difese di Falsè di Piave, varcavano il torrente Soligo, attaccavano le alture di Laguizza, Coltalto, e quindi con una conversione a sinistra volgevano verso nord per tendere la mano alla 2ª Divisione di Assalto la quale, operando coll’8° Corpo, doveva attraversare il Piave a Nervesa e mirare agli obbiettivi di Colle Guardia e Monte Cucco.

Gli Arditi della 1ª Divisione eseguirono mirabilmente tutte le diversioni audaci del piano generale dell’operazione che si scatenava dal Brenta al mare e tutti i loro còmpiti furono assolti con valore, audacia e precisione, unitamente alle valorose truppe dell’VIII Armata, con le quali combatterono e vinsero la battaglia di Vittorio Veneto, meritando così, secondo la frase d’encomio largita dal Comando Supremo, « la riconoscenza nazionale ». Per il Grappa, può servire anche in questo caso come modello il 9° Reparto, che ebbe l’onore di una citazione speciale, insieme al 18° e al 23° Reparto, sul comunicato Diaz del 26 ottobre. [p. 43 modifica] Ecco come si svolse la battaglia:

Gli Arditi non ignorano che la battaglia che sta per iniziarsi è la più aspra di tutte le altre combattute perchè il còmpito affidato alle truppe del Grappa è di attaccare a fondo per far affluire su quella fronte la maggior parte possibile delle riserve nemiche che bivaccano nel Feltrino.

Si conosce che si ritornerà sull’Asolone e si è felici di riprendere la partita interrotta del giugno.

Alle ore 5 le Fiamme giungono in Val Damoro e si schierano nelle prime linee fronteggianti q. 1486 e 1520.

Alle ore 8 le artiglierie e le bombarde iniziano il tiro di distruzione ed alle ore 8,15 pattuglie del Reparto scavalcano le trincee e passano i reticolati per essere pronte a balzare in avanti appena l’artiglieria allungherà il tiro.

Il morale, è inutile dirlo, è altissimo. Alle ore 8,28 il Reparto scatta fulmineo. Una compagnia punta su q. 1486 e le altre due si dirigono decisamente verso q. 1520. Si avanza di corsa. Il nemico sorpreso, travolto, distrutto, catturato. Nulla vale a fermare l’irruenza delle Fiamme che raggiungono in una corsa pazza il costone di Casera Stra; occupano la parte più [p. 44 modifica]bassa della Val delle Saline, attaccano q. 1471 e q. 1476, ne schiantano le difese e piombano con slancio irresistibile su Col della Berretta che dopo accanita lotta cade nelle nostre mani. I prigionieri sommano già a oltre 600 e le mitragliatrici catturate sono numerosissime. Il nemico rovesciato da Col della Berretta si ritira verso Col Bonato inseguito dai nostri che raggiungono anche q. 1127.

Il successo ha del prodigioso. Lo sbalzo fulmineo degli Arditi ha portato una grave minaccia al sistema difensivo del nemico che, passata a prima sorpresa, reagisce disperatamente.

I rincalzi accorrono da tutte le parti. Le artiglierie battono rabbiosamente Col della Berretta e le altre posizioni occupate dai nostri che sono pure martellati da numerosissime mitragliatrici postate sulle quote vicine. La lotta assume proporzioni tragiche: si combatte venti contro uno; ma le Fiamme non cedono. I pugnali si affondano rabbiosamente nei corpi di chi osa avvicinarsi e per ben tre volte gli Arditi, che hanno assunto la formazione circolare per fronteggiare qualunque attacco, ributtano con fantastici getti di bombe le orde austriache. La situazione è quasi disperata. Il nemico che si è reso conto che di fronte ha pochissime truppe, sempre con [p. 45 modifica]elementi freschi, contrattacca con ostinazione e con valore, ma i nostri resistono sempre ed ancora stroncano l’impeto degli assalitori.

Con mitragliatrici postate audacemente allo scoperto e manovrate con perizia vengono inflitte perdite sanguinosissime all’avversario, che però non dà tregua e rinnova di continuo una dopo l'altra le proprie ondate. Allora, sempre combattendo, viene iniziato il ripiegamento che si compie nel massimo ordine malgrado un violentissimo fuoco di sbarramento.

L’ultimo scaglione che deve ritirarsi da Col della Berretta formato dal Comandante del Reparto, dall'ufficiale porta-stendardo e da una ventina di Arditi si trova improvvisamente la ritirata tagliata da un reparto nemico.

Si inizia allora una lotta micidiale a colpi di moschetto e bombe a mano. Gli Arditi vogliono passare ad ogni costo e cercano intanto di abbattere il maggior numero di nemici, per tentare poi di spezzarne la linea.

Ad un tratto, questa lotta angosciosa durava da oltre mezz’ora, pochi Arditi di quelli che già avevano ripiegato, venuti in cerca del loro maggiore, piombano di sorpresa sul reparto nemico, e, unitamente ai pochi rimasti del drappello tagliato fuori, obbligano il nemico ad [p. 46 modifica]abbassare le armi. Il ripiegamento può così essere ultimato malgrado l'intensissimo fuoco delle artiglierie nemiche e di numerose mitragliatrici.

Dopo quella leggendaria giornata costata 13 ufficiali e 250 uomini di truppa, scrivendo ad un amico, il maggiore Messe così esprimevasi:

« Come in tutti i precedenti combattimenti eroico fu il contegno degli ufficiali e delle truppe ».

Noi possiamo aggiungere che anche in quella occasione le Fiamme avevano assolto il loro compito in modo superiore ad ogni elogio. Il 29 ottobre M. Asolone ritorna teatro di combattimenti sanguinosissimi. Gli Arditi che sono stati sostituiti per tre giorni da altre truppe a causa del fortissimo logoramento subìto nella giornata del 25, rientrano in lotta. Nessuno ha voluto restare ai baraccamenti di Pove e i servizi si sono assottigliati tutti.

Lo stesso ufficiale di vettovagliamento del Reparto, il tenente Zanfarino Maurizio di Sassari, morto poi eroicamente sul campo, ottiene di essere sostituito nel suo delicato servizio per partecipare alle operazioni.

Gli obbiettivi dell’azione sono ancora i [p. 47 modifica]medesimi di tre giorni addietro. È necessario che il nemico non sposti dal Grappa alcun Reparto, e perciò gli si deve far temere con attacchi risoluti che il colpo mortale può essergli vibrato su quella fronte.

Le Fiamme si prodigano anche questa volta senza risparmio.

Alle ore 9,34 gli Arditi, impazienti della lunga attesa, scavalcano le trincee, passano i reticolati e puntano energicamente sulle posizioni avversarie. Il tempo è pessimo. Fa freddo e una nebbia densissima, accompagnata da nevi sottile e noioso, copre tutto. Le condizioni di visibilità sono disastrose e ciò favorisce l'avversario più che noi, in quanto i tiri di sbarramento con artiglieria e mitragliatrici sono già calcolati e preparati.

Le prime trincee dell’Asolone sono raggiunte e sorpassate di corsa e la lotta viene portata più avanti possibile. I nidi di mitragliatrici, bene protetti infliggono al Reparto perdite assai gravi, ma gli austriaci ne subiscono di gravissime. Sempre combattendo, distruggendo chi tenta di resistere, aprendosi la strada con pioggie di petardi e con getto di liquidi infiammati catturando uomini e mitragliatrici, gli Arditi avanzano.

Quasi non ci si vede ed i nostri si devono riconoscere gridando il nome del loro maggiore. [p. 48 modifica] Il fianco sinistro della colonna che punta sul Col della Berretta — non essendo caduta nel tempo previsto q. 1486 — è seriamente minacciato dai nemici che affluiscono da Val della Salina e che cercano di aggirare i nostri.

Un grosso pattuglione viene mandato velocemente a rinforzare la sottile colonna che opera alla testata della valle da dove il nemico cerca di sboccare. La lotta divampa furiosa per un quarto d’ora, poi il nemico è anche là travolto e massacrato.

Le Fiamme procedono allora verso Col della Berretta. Casa Spallanzani e Cason delle Fratte sono raggiunti e diventano centri di combattimento furiosissimi. Le mitragliatrici battono tutto il terreno del combattimento. Le file delle Fiamme si assottigliano. L'ufficiale porta-stendardo cade gravemente ferito; ma la bandiera del IX non cessa di sventolare. La raccoglie un altro eroe che la porta come sfida di posta terribile dove c’è più gloria, dove il duello è più tragico.

I continui ritorni di nebbia consentono al nemico qualche infiltrazione e i nostri sono costretti a frazionarsi sempre più per fronteggiare gli attacchi che provengono ormai da tutte le parti. [p. 49 modifica] Mitragliatrici postate allo scoperto e coraggiosamente manovrate infliggono al nemico altre perdite sanguinosissime, ma i vuoti tra le Fiamme si fanno sempre più profondi.

I superstiti sono ormai ridotti a pochi; quasi tutti gli ufficiali sono caduti morti o feriti. Il maggiore Messe è anche lui ferito da una scheggia di bomba a mano, durante un asprissimo e terribile duello con un ufficiale ungherese, ma rifiuta di lasciare il terreno del combattimento e sostenuto da due Arditi continua a dirigere la lotta. Tutti, sull’esempio del maggiore, si moltiplicano e tengono testa ad un nemico venti volte superiore. Lo stendardo delle donne di Potenza è sempre in alto e dove la mischia è più feroce.

L’ufficiale che lo porta, il tenente Zanfarino, è colpito alla gola da una scarica di mitragliatrice che gli recide la carotide. Il maggiore Messe che gli è vicino si fa dare lo stendardo, cerca di fasciare alla meglio il ferito, ma Zanfarino non lo lascia fare: «È inutile», riesce a dire; poi, con uno sforzo, si regge ancora sulle gambe e scaraventa contro il nemico che gli è vicinissimo con l'ultimo sangue l' ultimo grido: «Italia!». Le Fiamme sono ormai un pugno soltanto mentre il nemico spinge sempre più [p. 50 modifica]innanzi i suoi rincalzi; ne vengono da tutte le parti, da Val Cesilla, dai rovesci di Col Caprile, dai Valloni risalenti il Brenta.

Gli Arditissimi resistono sempre contrattaccando tutte le volte che il nemico serra troppo le distanze e per oltre un’ora contengono tutti gli urti. Soltanto a sera, combattendo ancora superbamente, le poche dozzine di rimasti, fra i quali si fa ancora trascinare il maggiore Messe, iniziano il ripiegamento.

La lotta del 29 ottobre, per l'intensità e per le pessime condizioni atmosferiche fra le quali si è svolta, è, senza dubbio, una delle più atroci fra quelle sostenute dal Reparto e la pagina di gloria scritta in quel giorno dalle Fiamme nere è, di certo, una delle più fulgide. Il 2 novembre, giorno di tutti i morti, il IX Reparto, rinsanguato con nuovi elementi, viene lanciato all’inseguimento del nemico. Si opera a cavallo del Brenta, lungo la strada che da Cismon, per Tezze, conduce a Borgo.

Le Fiamme nere hanno le ali ai piedi, travolgono ostinate resistenze di forti retro, guardie, catturano cannoni, mitragliatrici, prigionieri, carreggi. [p. 51 modifica] Il nemico non ha un minuto di tregua. Appena tenta di resistere le Fiamme gli sono sopra e lo stroncano. C'è in tutti il ricordo vivo delle lontane giornate dell’ottobre 1917 e si vuole infliggere al nemico il medesimo strazio patito allora da noi.

Lungo la Val Brenta gli Arditi possono finalmente vedere il risultato dei loro tenacissimi sforzi.

Nella corsa pazza che tutto schianta sono liberati molti nostri prigionieri, adibiti dal nemico a lavori di retrovie. Essi narrano la loro avventura e quelle narrazioni riempiono tutti i cuori di un’acre volontà di vendetta.

L’inseguimento, giunti a Solva, diventa più celere. Nessuno di quei barbari deve sfuggire. I prigionieri catturati sommano a migliaia.

Gli Arditi incontrano ogni tanto nidi di mitragliatrici che affrontano coraggiosamente, come sempre, e che obbligano alla resa con fantastica pioggia di petardi. Il bottino aumenta continuamente. L’inseguimento diventa ancora più veloce.

Un gruppo di audacissimi, montati alcuni cavalli di quelli abbandonati dal nemico, si slancia al galoppo, e, arrivato sopra un grosso reparto in ritirata, lo obbliga con argomenti energici e persuasivi alla resa. [p. 52 modifica] Le Fiamme, che camminano quasi da due giorni, non chiedono alcun riposo; e si fermano soltanto a Borgo dove entrano primi alle ore 15 del 4 novembre.

Il Comando Supremo ha recentemente pubblicato, pel tramite del Giornale d’Italia, la statistica delle perdite nelle ultime due battaglie, divise per armi.

Apprendiamo così che la più alta percentuale di sacrificio è quella dei Reparti d’Assalto. Gli Arditi (scrive Achille Benedetti) magnifici, irruenti, disciplinati contrariamente alle superficiali credenze del paese, perdono nella battaglia il 20 per cento della loro forza; la fanteria il 16 per cento; i bombardieri il 7; i bersaglieri il 6; e le compagnie mitragliatrici autonome il 5 per cento.