Noi arditi/Tipi di Arditi

Tipi di Arditi

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Anno di guerra 1918 Noi teppisti
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Tipi di Arditi.

Poiché riassumeva le più vive caratteristiche del temperamento italiano, il Corpo degli Arditi era composta di tipi svariatissimi e contradittorî. [p. 53 modifica]

C’era l’apostolo invasato, da un’idealità superiore, che nel Reparto d’Assalto trovava il mezzo più completo e più eroico per raggiungere la sua idealità; e c’era il dilettante del coltello, che vedeva portato a dignità d’arme nazionale il suo tanto perseguitato e calunniato «compagno di ventura».

C’era il sentimento idealista che vedeva in questi Battaglioni della Morte un rinnovato garibaldinismo; e lo scavezzacollo dall’energia straripante, che aveva bisogno d’uscire dal monotono grigiore dei pesanti reggimenti di fanteria.

C’era — perchè no? — qualche reduce dalle patrie galere, che chiedeva alla Patria il modo di riabilitarsi; ma c’era anche l’italiano purissimo, consapevole e geniale, che non aveva deviato un istante dalla sua divina missione di pattugliere avanzatissimo di ogni marcia ideale o reale.

Tutti spinti da una sola volontà: uccidere quanti più austriaci era possibile; tutti ispirati da una stessa religione: la Vittoria; tutti muniti di una magnifica arma comune: il coraggio.

Il coraggio era il segno di riconoscimento che affratellava il pallido sognatore all’ex-accoltellatore, l’aristocratico senza l’r al futurista, il ginnasta all’idealista. [p. 54 modifica]

Ne ho visti tanti, nell’atmosfera dell’eroismo, avventarsi con un bel grido, cadere con un bel gesto, figure potenti, degne di uno scalpello diabolico; ma quanti pochi nomi ricordo!

Qualcuno, tuttavia, sopravvive nella mia memoria.

Chi non ha sentito il nome di Ciro Scianna? Siciliano, anima e sangue di fuoco, semplice soldato, porta-stendardo, incitava le compagnie all’assalto, correndo e agitando il vessillo nei punti più tempestati, con urli, ruggiti, comandi imperiosi; esempio affascinante di bellezza e di fede, cade falciato dalla mitraglia, chiama il suo maggiore (l’eroico Messe), gli consegna la bandiera, poi la chiede ancora, la bacia tre volte, la chiazza del suo sangue, e muore sulla trincea conquistata gridando « Viva l’Italia! ».

Lo scugnizzo Padovani, dolce e fiero analfabeta partenopeo, mio portaordini sul Soloralo, fa per tutta la notte la spola da q. 1671, dove in cinque tenevamo la posizione, al Comando di Battaglione, portando notizie, mitragliatrici austriache e prigionieri, sotto un fuoco incessante d’interdizione che impediva ai rincalzi di accorrere.

Il caporal maggiore Lindo Andreani, con [p. 55 modifica]soli due uomini, nella conquista di Col Moschin, affrontava un pattuglione di ventisei austriaci, comandati da un ufficiale, e li costringeva alla resa.

Il sottotenente Ponzio di San Sebastiano, aiutante maggiore del mio Reparto, disobbedisce all’ordine ricevuto dal Comandante di non prender parte al combattimento, si slancia con la prima ondata d’assalto, è ferito alle gambe, mentre un caro compagno gli muore vicino; lo portano via piangente per quella morte e per non poter più restare sul campo, e trova anche il modo di mandare al Comandante un biglietto in cui si scusa di avergli disobbedito e si dice pronto ad accettare una punizione disciplinare. Un fanciullo del 900!

Ottone Rosai, fiorentino magnifico, motteggiatore terribile di austriaci, temerario anche prima della guerra, colosso dai pugni di bronzo, sulla Bainsizza, con 4 compagni a cui aveva gridato: « Chi non viene con me è un vigliacco! » catturò una mitragliatrice e 32 cecchini, e tornò alla testa del plotone di prigionieri cantando: « Lassatece passà, semo romani... ».

L’ardito Viviani, solo, si trascinava sotto una mitragliatrice austriaca in azione, con una bomba [p. 56 modifica]a mano terrorizzava i serventi, s’impadroniva dell'arma e la volgeva immediatamente contro il nemico.

Il sergente Antonio Graceffa, sul Fagheron, riusciva con due soli compagni a mettere in fuga una pattuglia di « arditi » (!) austriaci, a bloccarli in una caverna e a persuaderli alla resa con lancio di petardi all’imboccatura.

Il tenente Feletti, veneto del Piave, si porta avanti con una mitragliatrice austriaca e spara; viene circondato, ma non cede d’un passo, e fa strage di austriaci, finché, sopraffatto, è ucciso vicino al suo paese, alla sua casa, che ha difeso fino all’ultimo, ferocemente.

L’ardito Materno Bonazzo, ferito, combatte con ardore raddoppiato, e si trascina avanti contro un nucleo nemico, assalendolo con tutto il suo impeto e uccidendo rabbiosamente. Alla fine, ferito a morte, cade gridando in un fiotto di sangue: « Viva l’Italia! ».

L’ardito Paolo Mannuzzi, visto che un forte sbarramento di mitragliatrici ostacolava, a Roggia dei Mulini, l’avanzata del suo Reparto, solo, sotto una fitta gragnuola di proiettili, si slanciava contro la linea nemica, e col lanciafiamme distruggeva e catturava le mitragliatrici, impegnando una vivissima mischia con un forte nucleo di ungheresi, che riusciva a far prigionieri. [p. 57 modifica]L’ardito Felice Miglio, adocchiata una mitragliatrice nemica che prendeva d'infilata la sua compagnia, da solo, senza alcun ordine, si scagliò contro l’arma, uccise a pugnalate i serventi, e aprì la via alla vittoria dei suoi.

L’aiutante di battaglia Tommaso Manzi col petto squarciato da una scheggia di bombarda, al suo capitano che voleva farlo trasportare al posto di medicazione, rispondeva: « Gli Arditi d’Italia muoiono guardando in faccia al nemico! ».

Il tenente Trebbiani, incaricato di fare con la sua compagnia un audace colpo di mano, si spingeva arditamente dentro le linee nemiche. Di lui non si seppe più nulla. Quando, alcuni giorni dopo, gli austriaci si ritirarono da Zenson, il suo corpo fu trovato circa 300 metri avanti agli ultimi nostri cadaveri. Attorno gli stavano numerosi nemici morti. Egli ed un suo soldato (Bisesti) giacevano abbracciati in un ultimo fraterno abbraccio.

L’ardito Nicola De Lucia, piccolo portatore di lanciafiamme, classe 1899, durante la mischia si accorge che il suo apparecchio, bagnato dalla pioggia, non funziona. Si dovrebbe rinunciare a un attacco importante. Ma il fanciullo non rinuncia. Il suo comandante gli [p. 58 modifica]aveva ordinato di accendere, ed egli accenderà a qualunque costo. Attraverso la cortina di morte, egli balza nel luogo dove arde ancora una piccola fiamma, la tocca con l'esca, prova: l'apparecchio funziona. Torna di nuovo alla battaglia, s’immerge nella linea nemica, accolto da una scarica di bombe, l’oltrepassa vincendo l'acuto dolore delle schegge conficcate nelle sue carni, s’avventa contro un nido di mitragliatrici appostate in una casa, le investe col sua fuoco diabolico, e le costringe alla resa.

L’ardito Migliovacca, ferito prima a una gamba, poi all’altra, guardò sprezzante il suo sangue, nel quale volle bagnarsi le mani, continuò a portare ordini di corsa, sfuggendo al suo Comandante che con la rivoltella in pugno gli intimava di andare al posto di medicazione, e gridando: « Devo fare ancora quattro passi ». Tornato con due mitragliatrici nemiche, cadde davanti al Comandante con una coscia lacerata da una scheggia, e disse sorridendo: « Questa volta i quattro passi sono andati male ».

Può continuare all’infinito.