Monumenti storici ed artistici degli Abruzzi/Capitolo II
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CAPITOLO II.
Antico Tempio di S. Flaviano.
S. Maria a Mare e le sue sculture simboliche.
Dopo Interamnia, la città più illustre e potente dell'agro Pretuziano, della quale ci restano copiose memorie presso gli antichi scrittori, fu senza dubbio Castrum Novum, importantissima colonia de’ Romani. Situata a 18 miglia da Castro Truentino sulla Via Salaria, come leggesi nella tavola Peutingcriana, o, con maggiore verità, a 12 miglia, secondo l’itinerario di Antonino ed i calcoli del Cluverio, i quali rispondono alla topografia de’ luoghi, godeva di una posizione amena in prossimità del mare, con un porto capace, strumento principalissimo del commercio di tutta la regione Pretuziana. L’importanza di questo porto, superiore di gran lunga a quello costruito sulla foce del Matrino, di cui ci ha lasciato memoria Plinio nella descrizione del Piceno.... Matriniis flnvius ab Hadrianorum urbe. defluens, et navale Hadriae, nomine secum conveniens... ci vien dimostrata da un documento del 956 pubblicato dall'Ughelli 1, in cui si fa ricordo di una donazione che l’Imperatore Ottone fece a S. Massimo ed al Vescovato Forconiano... Insuper trado supradictae Ecclesiae in Comitato Aprutii, in loco qui SANCTUS FLAVIANUS vocatur, unum portum, qui reddat centum pondera inter aurum et argentum et etiam ferrum et sal; qui portus continet infra se quinque milia modiola inter terram et aquam intra mare2. Troviamo una seconda menzione di questo porto nella celebre bolla che Papa Anastasio IV spedì al Vescovo Aprutino Guido addì 27 Novembre 1153, conservataci dal Muzi3, nella quale, determinandosi i confini della Diocesi Aprutina, si ricorda la Chiesa di San Flaviano cum castro, portu et omnibus pertinentiis suis: e finalmente un terzo ricordo ce lo fornisce il Camera4, il quale pubblica un Diploma del 22 Marzo 1328, XI Indizione, XIX anno del regno di Roberto, col quale costui autorizza Bentevegne, Bensustegna e Bulcatius (padre forse di Giovanni Boccaccio) ad estrarre dalla Puglia un carico di 400 tomoli di cereali, che spedivano al porto di Pescara — et Sancii Flaviani de aprutii provincia — Da cotali documenti chiaro apparisce l’importanza di questo porto, appartenuto all’antico Castrum Novum, fiorente fino al 1328; mentre, e in quest’epoca e negli anni precedenti, noi non troviamo menzione alcuna degli altri porti costruiti sul Vemano, ov’era anche un emporio de’ Pretuziani, e sul Matrino, di cui più sopra abbiamo tenuto parola, pur essi celebri a’ tempi di Roma.
Il nome di Castrum Novum accenna senza dubbio alcuno ad altra città, di più remota antichità, innalzata nel medesimo luogo; e gli avanzi di alcune opere embriciate, sottoposte ai musaici Romani nell’istesso suolo di Castro, ed altri antichi edifizii sono chiara prova dell’esistenza di un fabbricato anteriore. Ed a questo fatto, a cui i nostri scrittori non han dato peso di sorta, a me sembra doversi attribuire somma importanza, imperocchè esso proverebbe, se non altro, che il nostro Castrum ebbe vita e civiltà più antica della stessa capitale del Pretuzio Interamnia. Ma a quale de’ popoli, che in tempi diversi signoreggiarono nelle nostre contrade, debba attribuirsi la gloria di aver fondata questa Città anteriore a Castro, noi non possiamo, neppure con probabilità, accertare. Furono i Siculi, i Liburni, gli Umbri, gli Etruschi, ovvero i Galli? Non i Liburni, de’ quali non rimaneva ai tempi di Plinio che la sola Truentum: quod solum Liburnorum in Italia reliquum est: non forse gli Umbri, del resto grandi edificatori di città, e de’ quali trecenta oppida Tusci debellasse reperiuntur: queste parole di Plinio provano che gli Etruschi distrussero quasi tutte le città edificate dagli Umbri, innalzandone in luogo delle altre. Adria nel Piceno fu di origine Etrusca, se vogliamo prestar fede agli storici ed alle stesse leggende, e considerando sopra tutto l’eccellenza che in essa toccò l’arte di lavorare la figulina, che tanto squisito magistero raggiunse presso gli Etruschi, figulina che meritò le somme lodi di Plinio: Cois maxima laus, Hadrianis firmitas.... Haec quoque per maria ultro citroque portantur insignibiis rotae officinis5. E della civiltà di questi popoli rimangono fra noi splendidissime vestigia: monete, le più antiche d’Italia; pietre sculte; sepolcri di un’epoca anteriore di assai alla conquista Romana; iscrizioni lapidarie. Dunque, furono gli Etruschi i fondatori di questo Castrum? È una congettura che affidiamo alla discussione de’ dotti.
Non solo a Plinio andiamo debitori del ricordo di Castrum Novum, ma a Strabone altresì, a Patercolo, Tolomeo, al Geografo di Ravenna ed alle Tavole itinerarie. Strabone lasciò scritto il Piceno distendersi fino a Castrum Novum: Longitudo Piceni ab Aesi flumine ad Castrum stadia juxta litus DCCC6; ne fa in altro luogo altra menzione (Lib. 5)... Tum Truentinus amnis, ejusdem uominis urbs. Castrum Novum, inde Matrinus fluvius; e lo stesso Plinio, nel determinare la larghezza d’Italia, dice: Latitudo ejus varia est. CCCCX millium inter duo maria, inferum et superam, amnesque Varum atque Arsiam: mediae atque ferme circa urbem Romam, ab ostio Alerni amnis in Adriaticum mare influentis, ad tiberina ostia, CXXXVI, et paulo minus a Castro Novo Adriatici maris Alsium ad Tuscum aequor7.
Sebbene la parola Castrum valga ad indicare un Castello o luogo fortificato, pure fu città considerevole e potentissima al tempo de’ Romani, come ne fa fede la tavola Peutingeriana, più volte ricordata, nella quale questo Castello vien rappresentato sotto forma di città, e chiamato Castrum Civitas: e Cluverio affermava che anche ai tempi suoi — ad hostium (Tordini) dextero amne visuntur antiquae urbis magna vestigia8. Castrum venne rifabbricato probabilmente al tempo delle colonie che vi dedussero i Romani, la prima nel 463 (e non 60 come alcuni scrittori pretendono) sotto Curio Dentato, e la seconda nel 489 sul principio della guerra Cartaginese. E forse questo luogo,già per sua natura importantissimo, venne fortificato, perchè potesse meglio resistere agli Africani, se mai avessero tentato uno sbarco sulle coste dell’Adriatico, ovvero per tenere in freno i domati Piceni. Dell’uno e dell’altro avvenimento ci lasciarono notizia gli antichi storici. Leggiamo in Tito Livio 9: Curius Dentatus Consul, Sainnìtibus caesis et Sabinis, Coloniae deductae sunt Castrum, Sena, Adria: (se non piuttosto quella di Atri fu dedotta 25 anni prima di quella di Castro); ed in Vellejo Patercolo sta scritto: 10 initio primi belli Punici, Firmut et Castrum coloniis occupati. Cluverio sostiene le due occupazioni doversi ridurre ad una 11; ma non ne assegna la ragione. Questa città venne di bel nuovo munita a’tempi di Silla: Castrimonium oppidum lege Sillana est munitum; iter populo Romano non debetur; ager ejus ex occupatione tenebatur; postea vero Nero Caesar tribunis et militibus eum assignavit 12; ma anche prima che Nerone assegnasse ai Tribuni ed a’ militi l’Agro Castrano, Augusto, che, al dire di Svetonio, popolò l'Italia di 32 colonie 13, ne mandò anche a Castro, costringendo i poveri cittadini ad emigrare lungi della terra natia, allorché ebbero ad udire dal milite imperiale quelle superbe parole:
Haec mea sunt, veteres migrate coloni!
Ager Cuprensis, Truentinus, Castranus.... lege Augustea est assignatus 14; ed altrove ((Castranus ager lege Augustea est assignatus. Dalle quali citazioni chiaro apparisce che il Castranus ager sia il nostro Castrum Novum, dandocene garenzia la semplice disposizione geografica de’ luoghi, perchè Castrum si trova ricordato subito dopo di Truentum. Un’iscrizione rinvenuta nel 1771 ne’ giardini del Palazzo Ducale di Atri, commentata da Alessio Tulli e dall’illustre Monsignor Antinori, rende sempre più manifesta l’importanza di questa città, la quale era sottoposta ad un Prefetto speciale. Di essa non fa menzione G. B. Delfico; ed il Palma si contenta di riportarne i due primi versi. Noi crediamo rendere un servigio alla storia patria trascrivendola qui per intera, secondo la lezione del Cherubini, che è la vera, avendo noi avuto cura di esaminare la pietra originale:
C. CA. FI. VEL. VITALI.
E DEC. COLL.
HAD. ED. III. PREF. CAS. NOV.
II VIRO.
CVRATORI KAL. AVEIA PAET. TER. Q. Q.
CVRAT. MUNER. PVBLIC. BIS OPTIMO ET
AMABILI SVIS VIRO MARCIA RVFINA
MARITO EN C. APIVS V. C. M. VITALIS ET
VITALIS ANPLIATVS RVFINVS FILI
ET EREDES PATRI PIENTISSIMO B. M.
FECE.... RVNT15
Che questa colonia dovesse avere grandissima importanza politica e commerciale, ce lo provano altresì quelle grandi strade militari o consolari che attraversavano la regione Pretuziana, passando per Castrum Novum.
Dice Isidoro che i Romani, avendo appreso dai Cartaginesi l’utilità de’ pubblici cammini e delle facili comunicazioni fra città e città, e fra queste e la Capitale, si dettero a costruire comode vie per quasi tutto il mondo da essi soggiogato, a misura che estendevano le loro conquiste — Primum Poeni dicuntur vias lapidibiis stravisse; postea Romani per omnem poene orbem disposuerunt vias propter rectitudinem itinerum et ne plebs esset otiosa — da cui chiaro apparisce i Romani aver fatto costruire le vie, non solo per ottenere dalla rettitudine de’cammini facili trasporti, ma per dar lavoro alla plebe e tenerla occupata.
Dopo la via Appia — regina viarum — la quale da Roma portava a Capua, una delle principali vie era la Salaria. Questa magnifica strada passava lungo la sponda destra del Tronto, e, giunta a Castro Truentino, ripiegava a destra, percorrendo la via dell’Adriatico, e mettendo in comunicazione Castro Truentino e Castro Nuovo con Atri: probabilmente era chiamata Salaria, perchè i Sabini trasportavano per essa il sale dall’agro Palmense, Pretuziano ed Atriano, ove erano importantissime saline: Salaria via, dice Festo, Romae est appellata, quia per eam Sabini sal a mare deferebant.
Le altre due vie, che passavano per Castrum Novum, erano la Metella e la Raussa, strumento principalissimo della ricchezza e del commercio di tutta la Regione Pretuziana. La prima, costruita o restaurata nel 563 di Roma dal Console Lucio Cecilio Metello, uscendo dalla Metropoli saliva su per gli Appennini orientali, e metteva capo in quelle gole che si aprono fra le montagne di Campli e di Civitella, penetrando poscia nel Pretuzio pel luogo detto Rocca Santa Maria: essa terminava nella Salaria presso Castrum Novum. La seconda è a noi nota per una iscrizione, scolpita
su tavola di bronzo, rinvenuta da non molti anni nel piano della Guardia: essa è del seguente tenore:
..... IL .....
..... OL ..... ET ....
..... PRAETORE
TVM..... QVO...... DE..... EA.....
..... DICTATORE ..... CONSVLE. I.....
VIAE RAVSSAE ...... NON ..... POST .....
O. FVII.
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tegico, perchè serviva a tenere in freno i detti popoli, ed offriva
a’ Romani un breve e diretto passaggio per l’Adriatico. Avanzi di una traversa di questa strada, che probabilmente conduceva ad Interamnia, potrebbero ravvisarsi nel ponte a due ordini di mattoni, che anche oggi si osserva nel luogo stesso, dove forse un piccolo torrente imboccavasi a Castro.
Dunque; comode vie ed un porto capacissimo furono i due mezzi principali, che resero fiorenti il commercio e le industri c de’Pretuziani, i quali avevano in Castrum Novum il loro principale emporio. Le due stupende e fertilissime vallate, irrigate dall'Elvino e dal Batino, producevano biade, frumento e derrate di ogni sorta: le colline circostanti, squisitissimi vini, da Plinio, Dioscoride e Strabone ricordati fra i più famosi d’Italia.... vini autem ac frugum uberrima: l) il Collegio de’Centonari 2) rendeva fra noi fiorente l'industria della lana, la quale poi, tinta in porpora nella vicina Truento 3), era inviata ne^ più lontani paesi, a testimonianza della progredita arte nostra; le deliziose rive dell’Adriatico, le di cui acque davano alimento a saporosi pesci, richiamavano nella stagione estiva gran numero di gente, che da ogni parte del Pre-
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tuzio accorreva festante a deliziarsi nell’incanto dello splendido cielo, e nel sorriso della circostante natura. E pubbliche terme (delle quali anche oggidì si veggono ruderi) in prossimità del mare rendevano più gradito e salutare a’ Pretuziani il soggiorno di Castro: quivi si riscuoteva un pubblico dazio a profitto della Capitale Interamnia, come da iscrizione riportata dal Delfico prima, dal Palma e da Teodoro Mommsen poi; quivi gl’Interamniti avevano i loro palagi e le loro ville sontuose. Ed a testimonianza della ricchezza, della coltura avanzatissima e della prosperità di Castrum Novum rimangono ancora, rispettati dall’ingiuria del tempo, e più dalla mano spesso vandalica degli uomini, iscrizioni lapidarie, fusti di colonne, avanzi maestosi di fabbriche, capitelli di colore turchino con finezza di magistero intagliati, raccolti con amorosa ed intelligente cura dal Ch. Angelo Antonio de’ Bartolomei; lastre di marmo adorne di arabeschi, una grotta che si vede nella proprietà detta il Concio del compianto Conte di Conversano, di cui la volta,! pilastri e le pareti appartengono a quella specie di costruzione, che i Romani chiamavano — opus signinum; pavimenti di bagni lavorati a musaico, armi, urne cinerarie, casse mortuarie, le quali appartenevano forse a sepolcri^ che gli antichi, con pia costumanza, solevano collocare sulle pubbliche vie; avanzi delle mura, che circondavano Castro e di una pubblica fontana; anfore, lucerne, monete dell’epoca Romana e medioevale, in parte disperse, e parte dall’ingorda avarizia vendute.
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Scrivere di storia patria in tanta povertà di documenti e di notizie, è pur troppo non agevole impresa. Durante il tempo dell’occupazione militare, i nostri archivi municipali vennero distrutti; le biblioteche, appartenenti a famiglie cospicue, saccheggiate e date alle fiamme; le opere pregevoli di lettere e di arte, rubacchiate e disperse; e così la ricca suppellettile di carte, diplomi, pergamene, memorie manoscritte, che, salvate nelle scorrerie de’ barbari, fra rivolgimenti civili e politici, tanta luce avrebbero potuto spargere sugli avvenimenti, di cui gli Abruzzi furono campo durante il Medio-Evo, miseramente perirono. In tale condizione di cose, oggi che la critica storica, mercè lo studio degli archivi, ha fatto davvero meravigliosi progressi, in guisa che nulla si afferma che non sia prima provato con l’appoggio di validi documenti, riesce difficile lo sceverare il vero dal falso, il ragionare di uomini e di avvenimenti, con quella sicurezza di giudizii, che deve essere la prima dote in uno storico; l’illustrare i nostri monumenti, che appartengono all’età di mezzo, in buona parte pressochè ignorati dalla generalità, monumenti i quali farebbero viva e chiara testimonianza che in ogni angolo di queste nobilissime Provincie del Mezzogiorno non è mai venuto meno, anche in tempi barbari, il divino culto dell’arte. In guisa che, sarei per affermare, riesce più facile il mettere assieme una storia antica degli Abruzzi, e principalmente della nostra Provincia, con le notizie forniteci dagli scrittori dell’antichità, che lo scriverne la storia moderna.
Non mancarono ingegni nobilissimi, i quali, in ogni tempo, spinti dalla carità del luogo natio, dettero alacre opera ad illustrare con pazienti ricerche la storia nostra; e ricorderò, prima di ogni altro, Gian Berardino Delfico, che col dotto libro «Interamnia Praetutia» scritto con molto discernimanto, con abbondanza di notizie e sicurezza di storici giudizi, rese facile e chiara la storia di Teramo, già per se stessa oscura, povera e meschina, ed innalzò con l’opera sua a sè ed alla Patria un monumento, che
nec lovis ira, nec ignes, |
D. Nicola Palma, Canonico della Cattedrale Aprutina, attese con pari amore e diligenza a’ sacri uffici del suo ministerio ed alla coltura delle lettere. Pio, dotto, probo ed integerrimo cittadino, vide che non era possibile lo scrivere una storia esatta ed imparziale, senza prima attingere alle fonti originali: molto egli si giovò nella sua — Storia Civile ed Ecclesiastica di Teramo16 — dell’opera manoscritta del Muzi, del libro, già pubblicato, da G. B. Delfico, e delle Schede, anch’esse manoscritte, del Brunetti di Campli; ma molto più egli ebbe a studiare sui documenti originali, sulle memorie autentiche, cui ebbe agio di consultare, d’interpetrare, d’illustrare. Con una costanza, rara nei tempi in cui visse, non risparmiò cure e sacrifizii per raggiungere lo scopo desiderato; ed avvalendosi del suo ufficio di sacerdote, potè penetrare ne’ monasteri, ne’ cenobii, nelle Abazie, in tutti quei luoghi insomma ove sguardo profano non avrebbe potuto giungere in tempi tristissimi di basse paure e di feroci sospetti; e rovistando tra i diplomi, le pergamene e gli antichi cartolari, ebbe in mano documenti preziosissimi, che si erano conservati ancora attraverso tanta barbarie di secoli, tanta furia di avvenimenti. Il suo lavoro perciò, dettato con nobilissimo fine, più che una storia imparziale della Provincia, (difficile a scriversi nel 1834), fornisce buona parte del materiale a chi in appresso, avvalendosi de’lumi della critica tanto progredita, de’nuovi documenti scoperti e pubblicati, volesse con animo sereno e scevro da passione scrivere la storia nostra.
L’illustre storico e filosofo Melchiorre Delfico17, il quale già col libro — Pensieri sulla storia e sull’incertezza ed inutilità della me-39
desima — aveva precorso il Niebhür nello scetticismo rispetto alla leggenda dei tempi primitivi di Roma, ripetendo quella sentenza di G. B. Vico — che i Romani fino alla 2^ guerra punica non avevano altr’arte, all’infuori di quella di zappare la terra e tagliare la gola a’ vicini — si occupò altresì dell’archeologia abruzzese, illustrando con molta erudizione e dottrina le monete Atriane18. Ma se la interpetrazione da lui data alle monete dell’antica Hadria, le quali, al dire dell’insigne Mazzocchi, sono le più antiche d’Italia19, non reggono a’ principi della novella scuola archeologica, oggidì tanto progredita, è innegabile però che a quest'uomo illustre noi dobbiamo essere riconoscenti, perchè egli fu il primo a richiamare l’attenzione degli studiosi e de’ dotti sulla importanza delle monete di una fra le più antiche città del Piceno.
Nemesio Ricci di Carropoli, modesto ma infatigabile cultore degli studi archeologici, scrisse erudite monografie ad illustrare la storia antica della nostra regione20; Panfilo Serafini compose un «Saggio mitico storico degli Abruzzi primitivi» dando prova di rara erudizione e di ottimo discernimento; Michele Catalani fece diligenti e dotte ricerche intorno alla origine de’ Piceni, mettendo in rilievo la grandezza di questo popolo, che fu tra i primi abitatori delle nostre contrade; e ne studiò l’indole, i costumi, il carattere, la religione e la civiltà; Gaspare Monti parlò del commercio e delle industrie degli Abruzzi; il Toppi, Patrizio Chietino, nella sua — Biblioteca Napoletana — stampata a Napoli nel 1678, Pagina:Monumenti storici ed artistici degli Abruzzi V1.pdf/82 Pagina:Monumenti storici ed artistici degli Abruzzi V1.pdf/83 Pagina:Monumenti storici ed artistici degli Abruzzi V1.pdf/84 Pagina:Monumenti storici ed artistici degli Abruzzi V1.pdf/85 Pagina:Monumenti storici ed 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- ↑ Ughelli, Ital. Sacr. in Aquil. Epis.
- ↑ Questo documento, creduto apocrifo da alcuni critici, è stato valevolmente e vittoriosamente difeso da Monsignor Coppola (v. Dissertazione sopra gli atti di S. Massimo).
- ↑ Storia di Teramo di Mutio Mutii, ms.
- ↑ Annali delle Due Sicilie — Vol. 2°.
- ↑ Libro XXXIV, 34, 47.
- ↑ De Situ Orbis — L. II.
- ↑ Plinio L. III, Cap. VI 5.
- ↑ Cluverio — Italia Antica. Lib. 2, pag. 736.
- ↑ Epitome.
- ↑ Lib. 1. Pater.
- ↑ Lib. I. pag. 647.
- ↑ Frontino de Coloniis.
- ↑ Svetonio. Vita di Cesare XLVI.
- ↑ Frontino, luog. cit.
- ↑ V. Regno delle Due Sicilie descritto ed illustrato etc. pag. 44. Il Mommsen la riporta, (I. R. N. Hadria) ma con alcune varianti. Essa è del tenore seguente:
C. CA. F. VE. VITALI. DEC. COL.
HAD. ED. III. PREF. CAST. NOV. IIVIRO.
CVRATORI. KAL. AVEIA. PAET. TERT. Q. Q.
CVRAT. MVNER. PVBLIC. BIS. OPTIMO.
ET AMABILI. SVIS. VIRO. MARCIA RVFINA.
MARITO. ET. C. APIVS. V. C. M. VITALIS ET
VITALIS. ANPLIATVS. RVFINVS. FILI.
ET. ERED, PATRI. PIENTISSIMO. B. M.
FECE.... RVNT.
- ↑ Vedi pure — Questioni Abruzzesi risolute dal Canonico D. Nicola Palma — nella quale opera si scaglia giustamente contro coloro che credettero gli Abruzzi regioni ricoperte da monti inaccessibili e da foreste, con rigido clima ed infecondo suolo; e non risparmia l’Alberti, il Micàli, l’Olstenin, il Camarra, il Romanelli, il Villani fiorentino, il Berni ed altri.
- ↑ La famiglia Delfico ha dato alla Patria uomini benemeriti ed illustri per patriottismo e per dottrina segnalata. Di Melchiorre e di Gian Berardino, abbiamo già tenuto parola, ed il loro nome è stato più volte ricordato con onore in queste pagine. Gregorio De Filippis Delfico, Conte di Longano, marito della unica figlia di Orazio Delfico (autore delle Osservazioni su di una piccola parte degl’Appennini ecc.) prolungava, come egli scrisse, con la prole numerosa una delle più illustri famiglie di Abruzzo- Fu poeta affettuoso e gentile; e scrisse in versi sciolti — La Valle di Simmental; il Giudizio Universale; la Sventura Europea; l’Epistola al Monti; la Peleide; la Risomania; il Carnevale di Roma, Napoli e Milano; Ricordi e Fantasie su i Bagni di Lucca; Gl’incanti soavi della solitudine e della malinconia; ed alcune lodate tragedie — Dirce — la Madonna del Pianto — la Campana di Quaresima — Egli è anche autore di una proposta della Storia dell’industria e del commercio Italiano, e piccola Storia degli odori, libri divenuti oggi rarissimi. Raffaele d’Ortenzio, terso e polito scrittore, con molto acume critico fece l’esame di alcune delle opere ricordate, ma solo per quanto riguarda la parte filosofica e letteraria: niuno ne ha svolta ancora la ragione estetica. Ma la la carità di patria, che solo da pochi anni innalzava un busto a Melchiorre Delfico, degno di più illustre monumento, a testimoniare a’posteri la riconoscenza verso di un uomo che onora Teramo ed il nome italiano, non ha ancora consacrato un ricordo al Conte di Longano, nè a Francesco Filippi-Pepe!
- ↑ V. Dell’Antica Numismatica della Città di Atri nel Piceno, già citata — Vedi pure — De’ Pelasgi e de’Tirreni etc. Teramo 1824.
- ↑ Gratular Hatrianensibus nostris tantam praestare antiquitatem, quae excedat italica tempora. Mazzocchi. Tav. di Eracl.
- ↑ N. Ricci, pubblicò. 1° Le Antichità dell’Agro Palmense, opera già citata. 2° Sulle prische colonie de’ Sabini nell’Italia Media e Meridionale. Ripatransone 1846. 3° Memoria sull’origine de’Marruccini e di Teate loro Metropoli— Teramo 1842. 40 Sul dipinto Pompeiano interpetrato per Giunione Ipnusia. Teramo 1842. 5° Nuove osservazioni sul dipinto Pompeiano che si conserva nel Real Museo Borbonico ecc. Teramo 1838 — Ed altri scritti di minore importanza.