Monete del Piemonte inedite o rare - supplemento/Albera
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ALBERA.
Nell’Appennino ligure sul torrente Borbera, che presso Serravalle gettasi nella Scrivia, è sita la piccola terra d’Albera. Compresa nella diocesi di Tortona formava già con varie altre castella un complesso di feudi da quel vescovo totalmente dipendenti, e conosciuti col nome di Vescovato; da quando però dati il loro acquisto non mi venne fatto d’accertarlo, quantunque storici tortonesi dicano che donatori ne furono i Carolingi1, però nessuna prova se ne adduce; solamente citasi un diploma dell’imperatore Ottone I del 973, col quale dicono che a questa chiesa molti cospicui feudi concesse. Non avendo altro potuto conoscere di questo documento, ignoro se in esso Albera sia nominata; però da quanto si esporrà credo di poter dimostrare che in tempo ben più vicino a noi questa terra a detta mensa pervenne.
Il vescovo Gisebrando, volendo provvedere ai servizio religioso dell’abbandonata abazia di S. Pietro di Vendercio, con atto del 946, dell’anno 20 di Ugo re d’Italia2, le concesse vari favori, dicendo che essa per esser rimasta quasi deserta era stata da questo re annessa a quella di S. Marziano di Tortona dallo stesso vescovo fondata. A questo monastero, il quale da breve di papa Adriano IV del 1157 e da altro di Alessandro III del 11613 compare che quantunque retto da un abate era però sempre sotto il dominio vescovile, troviamo che per atto del 12104 l’imperatore Ottone IV diede varie terre et podere quod Albaram dicitur.
Il Casalis5 dice che quest’abazia venne nel secolo XIV intieramente consunta da un incendio; ma se ciò cosi avvenisse e quando, o se per altra cagione sia stata distrutta ben non consta, il fatto è che le sue rovine scomparvero quando Tortona fu regolarmente fortificata, ed allora fu che le terre possedute in feudo da S. Marziano dovettero essere suite unite alla mensa vescovile, restando i beni allodiali, almeno in parte, annessi all’arcipretura della cattedrale, il cui titolare li godè sino alla fine dello scorso secolo.
Come poi ad Albera fosse dato il titolo di marchesato l’ignoro, mi consta soltanto che, annessa alle altre terre formanti il vescovato, fu da quei vescovi posseduta sino al 1784, quando da monsignor Peiretti venne esso ceduto al governo sardo, ricevendo in corrispettivo con titolo di principato la terra di Cambiò.
Ora da nessun documento appare che i vescovi di Tortona, quantunque di moltissimi diritti godessero in quei loro feudi, giammai però avessero quello della zecca, che quantunque creduto esso esistere da varii storici di quella città per aver veduto monete col nome e stemma d’un loro vescovo, ciò venne riconosciuto erroneo dal critico Botazzi6, il quale recando di uno di tali pezzi il disegno7, erasi prima a lai opinione per troppo locale pure accostato.
In qual tempo questi prelati abbiano usato di questa regalia, credo di poterlo con sicurezza affermare, cioè che ciò fu quando, essendo stato eletto nel 1653 a reggere questa chiesa Carlo Settala patrizio milanese, caldo cultore come egli era degli studi storici ed archeologici, avendo esaminato i documenti onde andava ricco quell’archivio, e da essi riconosciuto quanti privilegi godeva la sua mensa, si credè che fra essi questo fosse pure compreso, epperciò pensando di essere in diritto di usarne, incaricò un Cristoforo Aicholzo, probabilmente tedesco, intagliatore di conii residente a Genova, di formarne mettendovi il suo nome, stemma e titolo di marchese d’Albera, forse perchè a questo solo de’ suoi feudi era annesso un titolo speciale, e la figura di S. Marziano protettore della diocesi e titolare dell’abazia dalla quale gli proveniva il possesso di questa terra.
In seguito allo commissione datagli l’Aicholzo, fatti diversi conii del diritto ed un solo del rovescio, ottenne che nella zecca di Genova venissero queste monete battute, però, da quanto risulta, in piccolissima quantità; onde vedesi aver esso ciò fatto solamente per constatare che intendeva far uso di un diritto che pretendeva avere (Documento I).
Ambidue questi pezzi hanno nel diritto in uno scudo accartocciato, sormontalo da mitra, e colla spada (in segno di sovranità) ed il pastorale accollati dietro ad esso, lo stemma del rasato Settala, che è di sette ali d’oro in campo rosso col capo dell’impero, con attorno CAROLVS. SEPTALA. EPVS. DHERTON. MAR. ALBERI colla varietà che lo scudo in uno è oblungo, coi lati paralelli (T. III, N° 30), e nell’altro ha la forma di un cuore (T. III, N° 31), ed un po’ diverso negli ornati che lo circondano. Nel rovescio dì ambidue è figurato un vescovo in piedi, in abito pontificale e mitra in testa, nell’atto di benedire colla destra e tenente colla sinistra il pastorale, colla leggenda S. MARTIANVS . MARTI . PRIMVS . EPISCOPV . DERT . nel primo, e nel secondo S. MARTIANVS . MARTIR . PRIMVS . EPISCOPVS . DERTH ., che in allora voleva la tradizione fosse stato questo Santo il primo vescovo di tale città, quantunque adesso la critica abbia fatto conoscere che nessuno vi sia esistito prima di S. Esuperanzio discepolo del celebre S. Eusebio vescovo di Vercelli.
E questo in quanto al carattere estrinseco, che in quanto alla legge a tenor della quale furono lavorali questi due pezzi, secondo leggesi in memoria presso di me, fu riconosciuto un esemplare del primo tipo a millesimi 940, ossia denari 11.7 incirca, e del peso di denari 10.18, pari a grammi 13.767, ed altro del secondo di soli denari 6.3, o grammi 7.844, e a millesimi 760, o a denari 9. 3 incirca di fine.
Ora, secondo il citato documento l’Aicholzo, mandando al Settala li 10 marzo 1678 il conto della spesa fatta per 45 di queste monete, vi unì un certificato di due saggiatori genovesi qualmente le trovarono nel saggio ad oncie 11.1 ossia millesimi 920, e del peso totale di oncie 23. 6 . 12, le quali divise per 45 danno denari 11. 1/16 per ciascheduna, o grammi 14.670 incirca; dal che scorgesi che esse erano delle prime sopra descritte col N° 3 o, non dovendosi tener gran conto della diversità esistente tra questi 45 pezzi e quello sopracitato di soli grammi 13.767, che scorgesi non essersi lavorando molto atteso all’esattezza nei tenerli tutti di peso uguale, loro bastando che si compensasse sul numero, ed appunto paragonato l’esemplare esistente nel medagliere di S. M., che è degli inferiori, cioè di quelli col N° 31, quantunque ben conservato si riconobbe pesare otto grani meno dell’altro che era di denari 6. 3. Paragonando poi il fine contenuto nel principal pezzo coll’altro inferiore, scorgesi quello averne denari 10, e questo solamente cinque, epperciò esserne la metà, e siccome il maggiore è detto valere soldi 54 di Milano, il minore ne segue aver valsuto soldi 27.
Questi sono per quanto mi consta le due sole monete battute da questo vescovo nella persuasione di avere tal diritto; ma, o che esso da’ suoi successori siasi riconosciuto insussistente, o che gli sia stata fatta opposizione per parte del governo spagnuolo signore della Lombardia, nella quale Tortona era compresa, il fatto è che siccome prima del Settala non trovasi un minimo indizio che quei vescovi abbiano mai nè avuto nè usato del diritto di batter moneta, così nemmeno dopo di lui si ha notizia che alcun suo successore abbia manifestata alcuna pretesa a tale riguardo.
Note
- ↑ Carnevale. Notizie per servire alla storia della chiesa di Tortona. Voghera. 1844, pag. 19.
Idem. Notizie storiche dell’antico e moderno tortonese. Voghera 1845. Tom. I, pag. 114. - ↑ Historiae patriae monumenta. Chartarum, T. I, col. 158.
- ↑ Botazzi. Monumenti dell’archivio capitolare di Tortona. 1837, p. 29 e 36.
- ↑ Ughelli. Italia sacra. Tom. IV. Venetiis 1719, col. 633.
- ↑ Dizionario geografico storico degli Stati Sardi. Articolo Tortona.
- ↑ Monumenti dell’archivio ecc., pag 30.
- ↑ Le antichità di Tortona, Alessandria 1808. Appendice, pag. 50.