Misteri di polizia/V. Il Gabinetto Nero
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CAPITOLO V.
Il Gabinetto Nero.
Importanza d’istituzione aveva presso i governi assoluti il Gabinetto Nero. Era il Gabinetto Nero un ufficio circondato del più fitto ed impenetrabile segreto, ed aveva per missione quella di violare il segreto delle lettere, che i codici penali dei medesimi governi dichiaravano inviolabile, ma che si violava impunemente, sotto il pretesto dell’interesse generale o di quello dello Stato.
In Firenze, il Gabinetto Nero non funzionava presso il dipartimento del Buon Governo. I ministri non credevano che quel servivio, che si circondava di tanto mistero, fosse abbastanza al coperto delle indiscrezioni nelle mani dello stesso capo supremo della polizia del granducato. Il Gabinetto Nero era installato presso la Segreteria di Stato, in comunicazione diretta colla Segreteria intima del Granduca. Così il principe, che vegliava con occhio paterno sui sudditi che la divina provvidenza aveva affidato alle sue cure, poteva, giorno per giorno, mercè una semplice rottura di suggelli, leggere sin nelle più intime latebre del loro cuore.
Le lettere in partenza, come quelle in arrivo, se dirette a persone sospette, si arrestavano dagli uffici postali ed erano consegnate al Gabinetto Nero, dove funzionari speciali le aprivano con cura, e dopo d’averne presa copia le risuggellavano, perchè fossero ricapitate ai destinatari per mezzo degli stessi uffici di Posta. La operazione era condotta con tanto artificio, i suggelli erano tolti e rimessi con tale sopraffino accorgimento, che era difficile che i destinatari si accorgessero del tiro che il Gabinetto Nero aveva loro giuocato.
Naturalmente, in un governo che ha per base lo spionaggio e la violazione del segreto epistolare, l’esistenza di un Gabinetto Nero non poteva passare inosservata. I cittadini se non vedevano il Gabinetto Nero, ne fiutavano l’esistenza. Laonde la necessità per gli affiliati alle sètte d’adoperare la cifra o gl’inchiostri simpatici. Ma nè l’una, nè gli altri impedivano al Gabinetto Nero di leggere le corrispondenze settarie, perocchè con esercizi pazienti si riusciva quasi sempre ad afferrare la chiave della cifra, mentre coi reagenti si vinceva il segreto confidato agl’inchiostri simpatici.
A questo proposito non riuscirà del tutto inutile, aggiungere come il Gabinetto Nero toscano godesse, fra tutti i Gabinetti Neri d’Italia, d’una riputazione che dai documenti da noi esaminati possiamo dire di non avere scroccato a buon mercato. La Toscana se non aveva nè forche nè galere pei liberali, se i suoi ministri erano di pasta frolla, se per salvare le istituzioni questi limitavansi, di tanto in tanto, ad adoperare decotti di papavero e di lattuga atti ad addormentare i cittadini e trasformare lo Stato in un immenso dormitorio, — quanto alla violazione del segreto epistolare, la Toscana, diciamo, teneva un primato di cui i suoi governanti erano orgogliosi. Il Gabinetto Nero di Firenze aveva tradizioni, conosceva segreti chimici, che gli altri potevano invidiare ma non imitare. La parte tecnica, insomma, aveva toccato coi poliziotti toscani l’apice, concorrendo forse a ciò qualche rimasuglio, qualche reminiscenza di quei segreti laboratori dove i principi di casa Medici (a meno che la fama non menta) maneggiando storte e lambicchi, preparavano veleni potenti e misteriosi per isbarazzarsi senza rumore d’una moglie che fosse divenuta noiosa, di un fratello che s’ostinasse a non lasciar vuoto il trono, o d’un suddito, a cui i ricordi della vecchia libertà repubblicana s’affollassero troppo disordinatamente nel petto, per potersi rassegnare senza proteste al giogo dei nuovi signori.
L’Austria stessa, che nelle sue provincie italiane doveva tener dietro a tante congiure, a tante sètte, non aveva che un Gabinetto Nero per così dire di secondo ordine; e più d’una volta l’orgogliosa dominatrice fu costretta a ricorrere al Gabinetto toscano, se volle leggere il carteggio fra Giuseppe Mazzini e gli affiliati alla Giovine Italia disseminati nelle provincie lombardo-venete. Nel 1833, alla vigilia della spedizione di Savoja, quando la cancelleria di Vienna stava sulle spine in seguito alle comunicazioni dei suoi segreti informatori, che annunciavano imminente un moto insurrezionale nella penisola, arrivò alla posta di Milano una lettera che il Gabinetto Nero aulico riteneva del Mazzini, e scritta in parte con inchiostro simpatico. I chimici della polizia milanese, adoperati inutilmente i loro reagenti, non arrossirono di confessare la loro ignoranza e spedirono la lettera a Firenze, ove il famoso Gabinetto riuscì senza fatica a leggerla; la qual cosa, probabilmente, avrà dovuto strappare un sorriso, tra il ghigno di Mefistofele e il cachinno d’un dannato, allo scettico Fossombroni, il quale poco tenero dell’Austria, benchè dalle sue convinzioni politiche e dal suo ufficio fosse condannato a muoversi nell’orbita di lei, poteva così mostrarle come anche la piccola Toscana, a somiglianza del topo della favola, potesse di tanto in tanto prestarle qualche piccolo servigio.
Quasi nello stesso tempo il Gabinetto Nero toscano leggeva nel fondo del pensiero e del cuore del Mazzini, aprendo e leggendo le lettere che il grande agitatore genovese per circa un anno spedì, dalla Svizzera, a quella Giuditta Bellerio, da noi già ricordata.
Era questa la vedova di Giovanni Sidoli, un profugo modenese morto a Parigi; bellissima, bionda, colta, ella aveva saputo innamorare pazzamente di sè il Mazzini, il quale, cospiratore anche quando amava, l’aveva segretamente inviata, sotto il nome di Paolina Gérard, di Marsiglia, a Firenze, per diffondervi i principi della Giovine Italia e raccogliere fra i liberali adesioni e denari per la spedizione di Savoja che allora egli meditava. Le lettere della Bellerio, come quelle del Mazzini, erano regolarmente lette, copiate e poscia spedite al loro destino, senza che la bionda cospiratrice e il suo grande amico sospettassero del giuoco della Polizia. La Bellerio, anzi, il 18 marzo 1834, scriveva al Mazzini Mazzini. „ Ces lettres me viennent parfaitement, j’oserai presque „ affirmer sans tàche. „
Un’altra operazione compiuta dal Gabinetto Nero e di cui le carte della polizia conservano il ricordo, è quella eseguita in occasione del viaggio a Parigi e della dimora ivi fatta nell’inverno del 1841-42, da Vincenzo Salvagnoli, in cui c’era tutta la stoffa dell’uomo di Stato, e che il governo granducale riteneva sin d’allora come soggetto pericoloso. Le lettere del Salvagnoli trattenute nel Gabinetto Nero erano dirette alla marchesa Eleonora P...i che egli corteggiava, a Giambattista Niccolini, ad Enrico Poggi, che nel 1859, insieme allo stesso Salvagnoli, doveva essere chiamato a far parte del governo inaugurato all’indomani della pacifica rivoluzione del 27 aprile, ad Andrea Odett e a Ferdinando Tartini, segretario dell’Accademia dei Georgofili. Il carteggio, per altro, dal lato politico, non aveva nessun interesse, perchè nessuno di coloro che abbiamo sopra ricordato era un cospiratore. Il Salvagnoli vi parlava molto di sè, dell’impressione eccellente che aveva prodotto nell’animo dei migliori uomini politici che si avesse allora la Francia, come il Thiers, il Salvandy, il Dupin, il Pasquier. La vanità vi trapelava da ogni riga temperata se non nobilitata, di tanto in tanto, da certi scatti di patriottismo e di sincero amore di libertà. Alla P...i scriveva: „ Thiers mi ha mandato un biglietto per la tribuna, Pasquier tre. Dunque, domani alla Camera! Sarà una gioia amarissima! Ancora non voglio desiderare di non essere italiano! Dunque domani alla Camera! Questo pensiero cancella ogni altra idea.... E prego e piango veramente di dolore! „ E ritornato dalla Camera, scriveva sempre alla stessa signora: „ Sono sfinito dalle emozioni e vengo a rinvigorirmi versando il mio dolore in un’anima che comprende e consola la mia.... Ah, ho visto il mio posto; ma come Moisè che prima di morire vide la terra promessa, ma per non poterci entrare! L’ho visto il mio posto.... Dio, cosa mai è un popolo rappresentativo dinanzi ad un re!... Le più alte considerazioni hanno di tanto in tanto sospeso il morso velenoso del serpe che ho in cuore. Sì, la fortuna mi ha tolto il mio posto e poi è venuta a mostrarmelo per maggior dolore!„ Al Poggi, dopo d’avergli detto che il Dupin l’aveva pregato di procurargli i materiali per una storia del diritto penale in Toscana dal 1789 in poi, scriveva: „A te, a te solo dirò grandi cose; non merita la pena di dirle a chi non intende il linguaggio intimo dell’animo che tu sì bene intendi.„
Come si vede, il carteggio del Salvagnoli non era pericoloso; eppure, il Gabinetto Nero, probabilmente per non perdere la vecchia abitudine, lo violava. I signori ministri, però, non che i signori della presidenza del Buon Governo vi apprendevano più d’una cosa assai ghiotta; per esempio, la conferma degli amori del Salvagnoli con una signora del patriziato fiorentino.