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correre al Gabinetto toscano, se volle leggere il carteggio fra Giuseppe Mazzini e gli affiliati alla Giovine Italia disseminati nelle provincie lombardo-venete. Nel 1833, alla vigilia della spedizione di Savoja, quando la cancelleria di Vienna stava sulle spine in seguito alle comunicazioni dei suoi segreti informatori, che annunciavano imminente un moto insurrezionale nella penisola, arrivò alla posta di Milano una lettera che il Gabinetto Nero aulico riteneva del Mazzini, e scritta in parte con inchiostro simpatico. I chimici della polizia milanese, adoperati inutilmente i loro reagenti, non arrossirono di confessare la loro ignoranza e spedirono la lettera a Firenze, ove il famoso Gabinetto riuscì senza fatica a leggerla; la qual cosa, probabilmente, avrà dovuto strappare un sorriso, tra il ghigno di Mefistofele e il cachinno d’un dannato, allo scettico Fossombroni, il quale poco tenero dell’Austria, benchè dalle sue convinzioni politiche e dal suo ufficio fosse condannato a muoversi nell’orbita di lei, poteva così mostrarle come anche la piccola Toscana, a somiglianza del topo della favola, potesse di tanto in tanto prestarle qualche piccolo servigio.

Quasi nello stesso tempo il Gabinetto Nero toscano leggeva nel fondo del pensiero e del cuore del Mazzini, aprendo e leggendo le lettere che il grande agitatore genovese per circa un anno spedì, dalla Svizzera, a quella Giuditta Bellerio, da noi già ricordata.

Era questa la vedova di Giovanni Sidoli, un profugo modenese morto a Parigi; bellissima, bionda, colta, ella aveva saputo innamorare pazzamente di sè il Mazzini, il quale, cospiratore anche quando amava, l’aveva segretamente inviata, sotto il nome di Paolina Gérard, di Marsiglia, a Firenze, per diffondervi i principi della Giovine Italia e raccogliere fra i liberali adesioni e denari per la spedizione di Savoja che allora egli meditava. Le lettere della Bellerio, come quelle del Mazzini, erano regolarmente lette, copiate e poscia spedite al loro destino, senza che la bionda cospiratrice e il suo grande amico sospettassero del giuoco della Polizia. La Bellerio, anzi, il 18 marzo 1834, scriveva al Maz-