Miscellanea Numismatica/Sesino di Messerano, contraffatto allo stampo veneziano
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IV.
SESINO Di MESSERANO
contraffatto allo stampo veneziano.
Ovvia e notissima moneta veneziana è lo sesino, il quale, come dinota il nome, ebbe valore pari a 6 bagattini o a due quattrini. Introdotto per la prima volta nell’anno 1545, sotto il dogado di Francesco Donà continuò a battersi dai susseguenti dogi, escluso Marcantonio Trevisan, fino all’anno 1603, in cui sotto il doge Marino Grimani, ne cessò la fabbricazione e si bandì dagli Stati della Repubblica, per le innumerevoli contraffazioni ch’eransi introdotte dall’estero.
Codeste contraffazioni, che in passato collocavansi quali varietà fra le monete venete, divennero al nostro tempo oggetto di studio speciale, ed a ragione, poiché per esse viene a spargersi molta luce in altri rami della numismatica. Che se da una parte, colla più giusta loro attribuzione, la serie veneta perde cose che credeva proprie, se ne avvantaggiano altre minori ma interessanti zecche.
Il carattere pila saliente di cotali adulterazioni è la qualità del metallo, poiché invece di essere formate di lega, come i veri sesini veneziani, sono esse di schietto rame.
Le contraffazioni del sesino veneto, fino ad ora conosciute, possono dividersi nelle seguenti categorie:
1. Imitazioni uscite da un gruppo di zecche minori del Piemonte, fra le quali v’hanno numerose varietà di Frinco, ed alcune poche di Passerano e di Messerano. Non è inverosimile che col tempo se ne scoprano altre di qualche zecca poco discosta da quelle.
2. Numerose varietà di coni, i quali, se nelle leggende e nei simboli nulla offrono che li distingua a primo aspetto dai ducali, si palesano per adulterazioni allo schietto rame onde sono formati ed al peso quasi sempre di molto inferiore al normale, che nei genuini di buona conservazione oltrepassa i grammi 1,500. Sono il più spesso di una eleganza di lavoro che palesa la mano di artefici italiani, né dispero che col tempo, coll’aiuto di quei confronti dei quali tanto si giova lo studio dalle antiche monete, possa trovarsi la nicchia per molti di essi in taluna delie minori zecche d’Italia. Che se alla correzione delle leggende, ed al peso più vicino al legale, accoppiano una rimarchevole rozzezza di lavoro, allora sono da ritenersi quali prodotti di volgari falsari, operanti alla macchia.
3. Abbondevoli sono pure certe contraffazioni di fabbrica barbara e con leggende scorrette. dalle quali a stento si ricava il nome del doge, ch’è il più sovente quello di Lorenzo Friuli. La provenienza levantina di esse, e l’uso frequente della delta, in luogo delle lettere latine a e v, offrono argomento di crederle fabbricate da maldestri falsificatori sopra qualche scoglio dell’Arcipelago greco.
4. Pongo ultime due contraffazioni, le quali si distinguono essenzialmente da tutte le altre per le loro iscrizioni. La prima offre dal lato della croce il nome: domenico. tiberti, e intorno al leone del rovescio quello di francesco . tiberti; l’altra ripete quest’ultimo nome su ambo i lati. Chi erano codesti due consanguinei, e dove furono lavorate queste imitazioni? Ogni mio scrutinare in proposito riuscì fino ad ora indarno, ed è perciò che raccomando caldamente questi misteriosi incogniti alle menti acute ed agli amatori delle cose ardue e bizzarre. Aggiungerò, che forse potrà giovare, il lavoro rozzo e stentato di questi mendaci sesini offerire qualche analogia con quelli accennati nella precedente categoria, ed il peso essere superiore al normale nel primo esemplare. di poco inferiore nel secondo1.
Fra le varie vicende delle contraffazioni dello sesino veneto merita essere ricordata la seguente. Girolamo Molin che fu Rettore di Cattaro per la Repubblica Veneta dall’anno 1610 al 1612, e poi nuovamente fra il 1634 ed il 1636, si servì di cotali falsi sesini per improntare i follari segnati colla sua arme e colle sue iniziali. Ciò apparisce chiaramente per molti esemplari di tale moneta, nei quali il conio nuovo di Cattaro non bastò a cancellare le traccia precedenti del sesino: e che qui si tratti di sesini falsi e non dei genuini è prova lo schietto rame onde sono formati cotali pezzi. Non potendosi ammettere che il Rettore di Cattaro abbia operato in tale guisa senza il consenso del governo dal quale era investito, è giocoforza supporre che la Repubblica, effettuando il bando dei sesini nell’anno 1603, ordinasse una separazione dei buoni dai cattivi, e cedesse questi al Molin acciò se ne servisse per improntare le monete onde abbisoghava la provincia da lui governata. Ebbe luogo adunque una vera riabilitazione per questi poveri condannati, i quali, sotto la guarentigia di due sacre immagini poterono nuovamente arrischiarsi nel consorzio degli onesti. In questa vicenda, che dirò drammatica, dei falsi sesini, avvi un insegnamento morale, imperocché non sono essi dissimili da certi messeri i quali, per quanto facciano, non arrivano a cancellare la loro colpevole origine sotto gli orpelli coi quali tentano confondere l’altrui giudizio.
Fra le numerose contraffazioni di tal genere, avvene una nella quale le solite rappresentazioni della croce pomata o pisana e del leone in soldo, sono accompagnate dalla leggenda: non nobis domine sed — nomini tvo da gloriam, divisa sui due lati. Usai da lungo tempo di collocare codesta imitazione fra le monete di Messerano, perchè il motto: Non nobis domine non nobis sed nomini tuo da gloriam, era particolare ai Ferrero di Biella che redarono il principato di Messerano dai Fieschi di Genova, accompagna la loro arme e leggesi in molte monete di essi. Restai perplesso vedendo che due illustri autori, in recenti pubblicazioni, abbiano assegnato questo sesino alla zecca di Frinco2. Cresce peso a questa opinione la circostanza che nella varietà recata dal sign. Morel-Fatio, il libro, ovvero scudo, che stringe fra le branche il leone, vedesi caricato di tre mazze poste in palo. Ben lontano da me il pensiero di voler porre in dubbio l’esattezza di quel dettaglio, il quale, essendo tale, dà piena ragione per l’attribuzione di quel sesino alla zecca dei Mazzetti, mi faccio lecito di produrre qui altro consimile, il quale mostra lo scudetto attraversato obbliquamente da tre semplici linee (Numero 10 della tavola). Ora, se si riflette che l’arme de’ Fieschi, la quale entrò a comporre quella dei Ferrero signori di Messerano, quasi simbolo di questa città o dell’intiero Marchesato, era uno scudo d’argento caricato di tre bande d’azzurro, il presente nostro sesino viene a qualificarsi da se stesso e colla massima evidenza per un prodotto della zecca di Messerano. Vero è bensì che l’aspetto dell’accennato scudetto non corrisponde perfettamente all’arme dei Fieschi, perchè invece di tre bande mostra tre sbarre, ma sono d’avviso che ciò debba riporsi unicamente a carico dell’incisore del conio, e che qui si ripeta uno sbaglio consimile a quello già osservato in un esemplare del mezzanino di Dalmazia.
Da questo fatto stimo ora poter avere conferma l’attribuzione a Messerano di tutti i sesini col motto: Non nobis domine sed nomini tuo da gloriam, con riserva per la varietà palesata dal chiarissimo signor Morel-Fatio, la quale resterebbe alla serie numerosa dei sesini di Frinco.
Che in Messerano si contraffacessero monete veneziane è provato da ordine trasmesso al residente veneto in Milano, in seguito a decreto del Senato di data 3 marzo 1671, affinchè movesse lagni che li zecchieri di Casale passavano a Messerano e nelle zecche delle Langhe (Tassarolo, Ronco e Morzasco) per battervi zecchini ed altre monete adulterate. Ciò risulta dalle Deliberazioni del Senato (secrete), di quell’anno, conservate nel R. Archivio ai Frari, e sono debitore di tale notizia al chiarissimo signor cav. Nicolò Barozzi, mentissimo direttore della Civica Raccolta Correr. Qui si tratterebbe bensì di epoca posteriore a quella dei sesini, ma è molto probabile che quello non sia stato il primo caso di adulterazioni di monete venete eseguite nella zecca di Messerano.
Quanto all’epoca in cui furono battuti i sesini di Messerano, credo non discostarmi troppo dal vero, fissandola al tempo del principe Francesco Filiberto Ferrero, il quale fu contemporaneo dei dogi Pasquale Cicogna e Marino Grimano, che ultimi improntarono legalmente col proprio nome cotale moneta.
Note
- ↑ Codesti sesini coi nomi dei Tiberti sono menzionati anche dall’esimio sig. Comm. D. Promis nell’ultima lodatissima sua pubblicazione col titolo: Monete inedite del Piemonte. Torino, 1866, collo stesso fine di eccitare i raccoglitori a studiarli. Onde giovare quanto è da me a tale intento, coglierò la prima occasione che mi si presenti per divulgare le loro immagini.
- ↑ Promis, Monete dei Radicati e dei Mazzetti. — Morel-Fatio, Monnaies inédites de Frinco. — Revue Numismatique N. S. T. X. (1865), pag. 269-284.