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ragione per l’attribuzione di quel sesino alla zecca dei Mazzetti, mi faccio lecito di produrre qui altro consimile, il quale mostra lo scudetto attraversato obbliquamente da tre semplici linee (Numero 10 della tavola). Ora, se si riflette che l’arme de’ Fieschi, la quale entrò a comporre quella dei Ferrero signori di Messerano, quasi simbolo di questa città o dell’intiero Marchesato, era uno scudo d’argento caricato di tre bande d’azzurro, il presente nostro sesino viene a qualificarsi da se stesso e colla massima evidenza per un prodotto della zecca di Messerano. Vero è bensì che l’aspetto dell’accennato scudetto non corrisponde perfettamente all’arme dei Fieschi, perchè invece di tre bande mostra tre sbarre, ma sono d’avviso che ciò debba riporsi unicamente a carico dell’incisore del conio, e che qui si ripeta uno sbaglio consimile a quello già osservato in un esemplare del mezzanino di Dalmazia.

Da questo fatto stimo ora poter avere conferma l’attribuzione a Messerano di tutti i sesini col motto: Non nobis domine sed nomini tuo da gloriam, con riserva per la varietà palesata dal chiarissimo signor Morel-Fatio, la quale resterebbe alla serie numerosa dei sesini di Frinco.

Che in Messerano si contraffacessero monete veneziane è provato da ordine trasmesso al residente veneto in Milano, in seguito a decreto del Senato di data 3 marzo 1671, affinchè movesse lagni che li zecchieri di Casale passavano a Messerano e nelle zecche delle Langhe (Tassarolo, Ronco e Morzasco) per battervi zecchini ed altre monete adulterate. Ciò risulta dalle Deliberazioni del Senato (secrete), di quell’anno, conservate nel R. Archivio ai Frari, e sono debitore di tale notizia al chiarissimo signor cav. Nicolò Barozzi, mentissimo direttore della Civica Raccolta Correr. Qui si tratterebbe bensì di epoca posteriore a quella dei sesini, ma è molto probabile che quello non sia stato il primo caso di adulterazioni di monete venete eseguite nella zecca di Messerano.

Quanto all’epoca in cui furono battuti i sesini di Messerano, credo non discostarmi troppo dal vero, fissandola al tempo del principe Francesco Filiberto Ferrero, il quale fu contemporaneo dei dogi Pasquale Cicogna e Marino Grimano, che ultimi improntarono legalmente col proprio nome cotale moneta.