Milanin Milanon/Prefazione
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Prefazione.
Queste prose cadenzate di Emilio De Marchi che, lui vivente, erano conosciute nella ristretta cerchia di pochi amici, vengono ora per loro desiderio raccolte in queste pagine come un richiamo alla cara memoria del geniale romanziere, del gentile poeta ed educatore valente che per spontaneo concorso di concittadini ed ammiratori vedremo quanto prima onorato nella sua Milano con un ricordo perenne.
A spiegare come a questa forma di componimento dialettale, abbia il nostro autore ricorso per esprimere con efficacia di verità i sentimenti del popolo d’innanzi alle grandi manifestazioni dell’arte della nostra Cattedrale, e alle espressioni dell’umano dolore e dei ricordi lieti e pietosi, gioverà notare come egli avesse da tempo iniziato studî sui migliori scrittori dialettali milanesi.
Sino dal 1885 aveva pubblicato un saggio critico su Carlo Maria Maggi tanto popolare a Milano due secoli or sono; lavoro molto apprezzato per l’arguzia delle osservazioni, per le note filologiche e la storia del nostro dialetto. Dal Maggi, come risulta da frammenti e note lasciate, sarebbe passato al Balestrieri, al Porta che considerava come il Dante della letteratura dialettale milanese, al Grossi e al Ventura, del quale possedeva la squisita delicatezza del sentimento. Ed è a dolersi ch’egli, osservatore così fine e critico arguto, non ci abbia lasciato uno studio completo della letteratura milanese dialettale della quale intuiva non lontano il tramonto, attribuendone le cause al crescere enorme di Milano divenuto centro industriale e forza potente di richiamo di varie favelle.
Questo fatto lo vedeva esplicarsi con un certo senso di mestizia, rammaricandosi nel constatare la scomparsa di quei tipi caratteristici della Milano vecchia di cui seppe ritrarre in modo quasi suggestivo l’ambiente nel Demetrio Pianelli e nell’Arabella, e dove forzando la nostra lingua ad adattarsi alla naturalezza del linguaggio popolare senza stonature di espressioni e con correttezza di forma, seppe portarla ad un grado di verità raggiunto da pochi.
La Milano dei nostri padri e dei nostri nonni egli la sentiva nell’animo e profondamente, quasi come una visione viva. Quelle strade strett in bisœura, dent e foœura sul gust d’ona ragnera; quei quartieri ora sventrati e quelle località fuori di mano gli richiamavano, con un senso quasi di rimpianto, memorie e tempi di abitudini patriarcali e di ideali semplici e tranquilli che pure avevano saputo ispirare il ’48 e il ’59.
A chi sembrasse intonata ad una tinta troppo triste qualcuna di queste prose, occorrerà appena avvertire come al nostro autore ricorressero non indarno gli iniziatori di opere buone perchè colla sua musa gentile e colla efficacia della sua parola toccante aiutasse a raggiungere uno scopo benefico e scuotere il cuore a sensi di pietà.
E così l’inverno del povero, il culto dei nostri morti, la protezione del piccolo spazzacamino accolto fra visi allegri e sorridenti al banchetto natalizio, trovarono nella prosa cadenzata del De Marchi lo spirito animatore del bene.
Agli amici ed ammiratori di lui offriamo queste poche pagine in cui ci pare di sentire come un richiamo della sua parola, sempre buona, animata dalla ispirazione morale e da una rara serenità di arte e di affetti.
Enrico G.