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zioni dell’arte della nostra Cattedrale, e alle espressioni dell’umano dolore e dei ricordi lieti e pietosi, gioverà notare come egli avesse da tempo iniziato studî sui migliori scrittori dialettali milanesi.

Sino dal 1885 aveva pubblicato un saggio critico su Carlo Maria Maggi tanto popolare a Milano due secoli or sono; lavoro molto apprezzato per l’arguzia delle osservazioni, per le note filologiche e la storia del nostro dialetto. Dal Maggi, come risulta da frammenti e note lasciate, sarebbe passato al Balestrieri, al Porta che considerava come il Dante della letteratura dialettale milanese, al Grossi e al Ventura, del quale possedeva la squisita delicatezza del sentimento. Ed è a dolersi ch’egli, osservatore così fine e critico arguto, non ci abbia lasciato uno studio completo della letteratura milanese dialettale del-