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II. Primo periodo teologico della sua vita

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II. Primo periodo teologico della sua vita
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II.


Primo periodo teologico della sua vita.


Nacque il De Dominis nel 1566 ad Arbe, piccola isola della Dalmazia, da quella famiglia Visconti che tre secoli innanzi avea dato alla sedia pontificia Gregorio X. Il suo casato pare incominci ad affermarsi col nipote di quel pontefice, cioè sin dal 1500; e credo risuoni ancora oggidì in alcune parti dell’lliria1. Anche il Farlati osserva che questa famiglia è antica; illustre nella magistratura, nelle armi e nel sacerdozio; derivata secondo alcuni dalla nobilissima stirpe dei Frangipani, e origine non dubbia di parecchi vescovi: Simone Tragariense, il quale partito per la Spagna, adempì un’ambasciata onorifica di Sigismondo imperatore presso i Padri del Concilio di Costanza e fu ammesso insieme ai vescovi più insigni della nazione germanica ai concilii pontificali; Giovanni Seniense ed Antonio, zio di Marc’Antonio, e il figlio di suo fratello anch’esso vescovo di Segni.

Marc’Antonio De-Dominis, dopo aver trascorsa la fanciullezza nella casa paterna, fu mandato a Loreto nel collegio Illirico, diretto dai Gesuiti. Si recò poscia a Padova per compiere i suoi studi in quella celebre università. I suoi progressi nelle scienze, nelle lettere e nelle arti furono così rapidi che desiarono in tutti la più singolare meraviglia. Aveva rivelato un ingegno forte e pieghevole, un’eloquenza piena di impeto e di [p. vii modifica]tenacia. Perciò, dice il Farlati, gesuita, facilmente si aprì l’adito alla nostra società. Secondo gli autori della Biografia Universale antica e moderna, i gesuiti nulla avrebbero trascurato per determinarlo ad entrarvi, credendosi di aver trovalo in lui chi poteva procacciare gran lustro all’ordine intero2.

Ognuno sa come e quanto fossero potenti allora i Gesuiti. Per essi i papi si argomentavano di estirpare l’eresia e abbattere la Riforma, che poco tempo innanzi aveva sottratto alla Chiesa mezz’Europa. Essi colla rozza eloquenza di uno zelo eccessivo dapprima, e poscia colle attrattive di una erudizione elegantemente accomodata allo spirito del secolo, si erano fatti padroni degli ingegni e delle coscienze. La loro scienza era cortese e brillante, le loro dottrine erano tolleranti, liberali e comprensive. Essi assorbivano la miglior parte degli elementi ancor vivi di quella società italiana ormai corrotta e decrepita, indifferente ad ogni senso di pietà e di onore, già lungamente devastata da un naturalismo petulante su cui era passato stridendo lo scettico riso della rinascenza.

M. A. De Dominis durante il suo noviziato si applicò segnatamente allo studio delle matematiche, nelle quali si fece in breve sì esperto che venne proposto ad insegnarle nel Collegio Romano, ove le sue lezioni traevano costantemente un uditorio colto e numeroso. Non si sa precisamente la data del suo passaggio alla Compagnia di Gesù. Il Farlati osserva che negli archivi dell’Ordine, le cui librerie diligentemente cercò, [p. viii modifica]nè il suo nome, nè l’anno in cui entrò nella Società, o l’abbandonò, nè ciò ch’egli fece, si potè rinvenire. Aggiunge tuttavia che gli venne da Roma trasmesso uno scritto, ove si dice che il De Dominis visse nell’ordine dei gesuiti venti e più anni, e si danno molte notizie sul suo insegnamento. Venti anni mi paiono troppi: poiché gli è certo che, non potendosi acconciare ai vincoli dell’ordine, affrettò la sua secolarizzazione verso il 1596. Il suo spirito inquieto e focoso male si adattava alle consuetudini dei Gesuiti ove la sommissione cieca e la disciplina rigorosa e perfetta doveano formare e formavano veramente il loro carattere più spiccato. Parve ad essi ch’egli volesse mettere a soqquadro la Compagnia, rimutandola da cima a fondo. In breve avvenne, come si esprime il Faldati, che nè la Società potè più sopportare quest’uomo, nè egli la disciplina della Società. Solo in una cosa adunque furono d’accordo: nel desiderio vivissimo di separarsi.

Dopo accettale le dimissioni, dicesi che il De Dominis sia stato inscritto fra i prelati della Curia Romana.

Ma accadde per avventura, proprio nello stesso anno 1596, che suo zio Antonio, vescovo di Segni, mentre con un esercito da Leucorichio, prefetto della Croazia, raccolto a danno dei Turchi, accorreva in aiuto dei Clissani assediati, moriva gloriosamente nel furore della mischia. Questo fatto svegliò nell’animo del nipote il desiderio di acquistare il vescovado rimasto vacante. Si recò egli dall’imperatore Rodolfo II, da cui dipendeva l’elezione di Segni, e seppe così bene cattivarsene l’ammirazione e l’affetto che finalmente ottenne quanto chiedeva. Questa nomina venne approvala nel 1600 da Clemente VIII, non senza molti [p. ix modifica]contrasti da parte dei Gesuiti, che attribuivano a male arti cortigiane la decisione dell’imperatore.

Ciò non ostante due anni dopo, vale a dire nel novembre del 1602, Marco Antonio De Dominis veniva traslato dalla Sedia di Segni a quella arcivescovile di Spalatro (vacante per la morte di Domenico Foconio) e fatto contemporaneamente Primate di Dalmazia e di Croazia. Era suo formidabile competitore Marcio Andreuccio, decano utinense (col quale ebbe poi a sostenere una lunga controversia) e potè vincere allora la difficile prova col valido aiuto del Cardinale Cinzio, già suo allievo al Collegio Romano, ora suo potente e generoso amico.

Lo storico gesuita, già più volte menzionato, ci offre numerosi particolari su questo nuovo importantissimo periodo della vita di Marco Antonio De Dominis. Ci narra il bell’esordio del suo pontificato, le opere lodevoli compiute dapprima in questo suo arcivescovado di Spalatro, le costituzioni ed i privilegi dati al Capitolo, e il modo col quale egli sostenne la giurisdizione della propria chiesa contro l’arcivescovo di Trau.

Ma il suo zelo parve tosto eccessivo. I suoi arditi disegni di riforma si spingevano fino al governo supremo della Chiesa e alla base fondamentale della disciplina ecclesiastica. Egli non intendeva soltanto a dare al Capitolo una nuova costituzione, che fu riveduta, giudicata e corretta dalla Sacra Congregazione (1607); ma voleva altresì ritornare ai vecchi usi democratici della Chiesa primitiva col ristabilire l’intervento del suffragio popolare nel conferimento o nella conferma delle varie dignità ecclesiatiche3. Questo regime, avendo

  1. Due anni or sono ho trovato a Padova un conte De Domini, direttore della Scuola Navale della città di Fiume.
  2. Biographie universelle ancienne et moderne, Paris 1874 — (Opera compilata in Francia da una società di dotti e vôlta in italiano, edizione di Venezia 1824).
  3. Farlati, op.cit., T. vi.