Memorie sulla dimora del sig. Cagliostro in Roveredo/XII
Questo testo è stato riletto e controllato. |
Traduzione dal latino di anonimo (1789)
◄ | XI | XIII | ► |
XII.
Ed in uno di quei giorni interrogò uno, se egli volesse unirsi con quelli, che si chiamano Illuminati. E quell’uomo negò, dicendo: io voglio piuttosto restare in queste tenebre, vedendo poco, che in tale splendore, e divenire del tutto cieco. Ed altri discorsi teneva pieni di sale. Alcuni poi, che ascoltavano queste cose, dicevan tra loro: questo è del Sinedrio dei Confratelli Murali, (ciò, che fu interpretato dei Franchi Muratori), e forse da essi mandato a curare gli infermi, che vi sono nel mondo, e dispensa i beni della cassa, e tesoro della loro setta. Imperocchè dicono, che il primo loro instituto sia di far bene a tutti. Altri poi rispondevano: se per verità vi è tanta carità in costoro, non ci manderebbero costui, ma qualcuno, che non ingannasse gli uomini con false lusinghe. E di nuovo altri dicevano: quel furbo fa anche elemosine, e non riceve mercede dal popolo, ma aspetta per contrattempi qualche ricchissimo signore per fare in lui il complicato guadagno. Quando viene in qualche città, si ferma in essa fino a tanto che è portato dal popolo; e quando la virtù degli istantanei di lui medicamenti è svanita, e svelò la vanità delle sue promesse, parte da questa; e così passa da paese in paese, e non vi è termine all’impostura di lui. Questa è poi la mania e l’ardore della sua volontà d’esser riputato il braccio della virtù, che vien dall’alto, e per questo gira e mari, e terre, e si rende medico d’ogni malore. Ma se in verità estirpasse tutti i languori, i Re, ed i Signori della terra prima d’ora l’avrebbero sforzato ad abitare fra i Ministri alle loro Corti? Ma molti, più giusti, resistevano a quei, che così parlavano. Si arrabbiavano poi con quello, che scriveva questi racconti, e credevano, che li scrivesse beffandosi. E chi scriveva queste cose, non lo disprezzava già, ma fedelemente narrava quanto aveva fatto in Roveredo, rendendone conto colla maggior semplicità del discorso. E il di lui discorso va secondo l’usanza degli Orientali nelle scritture Greche, le quali tradussero i Romani di parola in parola. Ed accadde, che un certo Prete essendosi accostato a Cagliostro disse a lui: ho questo e questo male, insegnami cosa far debbo per risanarmi. E gli insegnò. Ma di nuovo disse il Prete a Cagliostro: insegnami anche il rimedio per le malattie future: rispose Cagliostro disse a lui: se io ti avrò confessato i peccati, che feci, tu assoltomi mi licenziarai; se poi ti cercherò, che mi perdoni i peccati, che sono per fare, mi assolverai tu forse? il qual disse no; cui Cagliostro: ed io farò teco lo stesso. Ed ecco una nobil donna, la quale era venuta da Trento, e questa era sorda; e lo pregava, che la facesse sentire. Ed era insieme con essa il suo marito, ed udendo esso, disse Cagliostro alla donna: adempi questa condizione, e ti curerò. La condizione si è poi, che se ti risanerai facci palese per mezzo degli atti, che in tutte le settimane si pubblicano tra voi, in qual modo ti risanai: se poi non ti libererai dalla tua infermità, per mezzo degli stessi atti, pubblichi ad ogni vivente, che io sono un Ciarlatano. E stava ancora assistendo a Festo, e gustando le cose che lui venivan poste avanti, con ogni benignità.