Memorie sulla dimora del sig. Cagliostro in Roveredo/XI
Questo testo è stato riletto e controllato. |
Traduzione dal latino di anonimo (1789)
◄ | X | XII | ► |
XI.
Non passava poi giorno, che non si facesse da lui nuovo concorso di ammalati, i quali lasciavano le loro città desiderando di farsi conoscere da lui. Quelli poi, che non potevano venire, mandavano i loro medici ad ascoltare le parole di lui. E venne anche una ragazza figlia di un certo Pompeo, il quale fu Pretore nella città, e questa cadeva frequentemente, e si percuoteva fremendo, e mandava schiuma, e il nome della ragazza era Elisabetta. E gli prescrisse di prendere un vomitorio, e la licenziò. Similmente fece poi con un’altra nobil Donna isterica, la quale dalla Germania era a lui venuta, persuasa da certa Donzella sua amica. Imperocchè questa riferì alla Signora le cose fatte da lui in Argentina, e in qual modo di repente risanasse suo fratello, cui i medici volevano tagliare un braccio per una cancrena, e ricuperasse col figlio una puerpera, cui preparavano di tagliare l’utero (poichè stava morendo) col solo instillare dell’elixir. Per la qual cosa, e per molte altre virtù gli Strasburghesi fecero fare il suo ritratto, sottoscrivendo in lingua francese alcuni versi in sua lode. Ed essendo entrata da lui la Donna Principessa di rango fra i Tedeschi, la quale era assai bella e saggia, alzandosi Cagliostro le diede una copia del suo ritratto, che gli avevano fatto gli Strasburghesi, dicendo: ecco io sono teco dovunque, per tutti i giorni. E con nessun altra fece questo. Mormorava dunque in quel giorno tutto il popolo, e gridava: gran cose di lontano vengono annunciate a noi, dove non siamo stati, e che noi non abbiamo veduto cogli occhi nostri. Faccia ora anche quì qualche prodigio, ma non può. Questo poi dicevano, sapendo; che avea anche promesso a un medico sordo, che dandogli una forte bevanda e fischiando fortemente all’orecchio, in tre giorni sarebbero libere le sue orecchie, e sentirebbe benissimo questo sibilo: e quel medico dopo tutte queste cose era ancor sordo, e intendeva gli altrui discorsi a forza di cenni. Ma anche quel vecchio personaggio, che pativa i calcoli, esortato dagli amici, che girasse la città a cavallo, e desse a vedere al pubblico, che Cagliostro il risanò, rispondendo disse: ritiratevi da me voi, che mi beffate, poichè mi è avvenuto peggio di prima; e se mi fossi curato in tal modo da prima, già da molti anni riposerei con gli miei antenati. Lo stesso ancora dicevano altri, e cominciavano a disprezzarsi le sue ordinazioni. Alcuni ancora avevano sostenuta una voce, che i medici e gli speziali per invidia lo tradivano, ed alteravano le sue medicine, o ne surrogavano altre, affinchè non si trovasse in lui verità. Ma il popolo maggiormente si riscaldava dicendo: è questa una voce della bugia per mendicar scuse alle imposture di lui. Ed ecco questa donna, ch’egli tiene, non è moglie di lui (era poi Romana, e chiamavasi Serafina), ma solamente compagna de suoi prestigi; che non va nei giorni di festa al divin sacrificio, affinchè i ladri non vengano, ed aprendo la casa, le rubino le magnifiche sue gioje. Ma nemmeno egli si presenta alla cena del Signore, perchè la sua mente non può riposarsi in lui per pensare alle cose, che sono di Dio, e dice di averne privilegio dal sommo Pontefice. Guai all’uomo, che non crede, o antepone le cose secolari alle celestiali! Ora poi mandò via un servitore, ch’egli teneva da quindeci anni, buono ed abile, perchè riceveva denaro da quelli, che venivano. Ma abbia fiducia, poichè in qualche luogo lo aspetterà, e lo riceverà presso di se. E tali cose si scagliavano dal volgo in modo di contumelie, e vi era gran divisione tra loro. Cagliostro poi, mosso dalla corrispondenza, andò da uno, che era creduto della setta de’ Franchi Muratori, per desinare, e con lui sua moglie; ed essendo egli, per verità, dei Corifei di quella Società, Maestro della scuola di quelli che si chiaman Illuminati, aveva alcuni aderenti a se, che volevano essere Proseliti, od anche sembrar di battere la medesima strada. Ecco poi un certo personaggio nobile e straniero, che domandava di essere iniziato, recandogli una somma di quasi trecento zecchini, e stava con lui e con un altro confratello, che era venuto fin dal mare, viaggiando giorno e notte. Cagliostro poi rispose, e disse a lui: se non vi avrà l’unione almeno di tre, nessuno può essere ricevuto in questa compagnia. Scrissero dunque ad un certo discepolo, che era anch’esso assai distante, perchè s’affrettasse a venire, e subito si pose in cammino. Ma essi pieni di zelo stavano vegliando, ed aspettandolo. E molti pensieri insorgevano ad occupare i loro petti, e consimili si ravvolgevano nella mente di coloro, che erano rimasti percossi nel tirso, e che piangevano i loro organi perduti sul monte Dindimo nella Frigia. Essendo poi venuto, preso in compagnia l’altro discepolo, accettò il Catecumeno, ed avendolo diligentemente istruito negli elementi della loro filosofia, lo iniziò ne’ misteri della libertà, e gli concesse di sedere in mezzo ai Fratelli, e di conoscere i segreti della comunione estesa dai deserti della Scizia fino ai fiumi dell’Etiopia. E fecero nella casa di Cagliostro una grandiosa cena, e si adagiarono. Eranvi poi pendenti nella sala molte lampane, e la moglie di lui mangiava con essi. Mangiando essi adunque a notte avvanzata, vi era molta paura nel popolo, e molti procuravano di veder entro dalle finestre e dalle porte, e di spiare le loro cerimonie. Ed alcuni raccontarono di aver veduto diverse cose, cioè il sangue tracannato ed i candelieri incrocicchiati, e le spade sguainate; e confondevano il popolo con favole. Imperocchè Cagliostro era riputato istruito nei riti degli Egizi, e nei misteri ancora della madre Eleusina. Ed essendosi levati dalle mense un certo Neofito rimase con essi, e l’altro poi dei discepoli stranieri ritornò frettolosamente alla sua patria. Ma quel servitore che era stato da lui licenziato andò dal locandiere, e gli disse: non sia la pace di Dio con me, se io non farò gli medesimi prodigi, che fa il mio padrone. E cominciò a vendere dei cerotti, e degli impiastri; ma occultamente, per timore del suo padrone. Cagliostro poi non andava in luogo alcuno, finchè Festo, che era venuto ammalato da Trento, non fosse risanato: e lo stava curando.