Memorie storiche della città e marchesato di Ceva/Capo XXXVII - Cappella e Confreria dello Spirito Santo.

Capo XXXVII - Cappella e Confreria dello Spirito Santo.

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Capo XXXVII - Cappella e Confreria dello Spirito Santo.
Capo XXXVI - Chiesa dell’Arciconfraternita di S. Maria e S. Catterina. Capo XXXVIII - Cappella di S. Carlo, del Crocifisso e di S. Libera.
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CAPO XXXVII.


Cappella e Confreria dello Spirito Santo.


Le più sicure memorie di questa Cappella e Confreria si conservarono nella già altre volte citata visita pastorale di monsignor Peruzzi e da alcuni autentici documenti che si trovano nell’archivio parrocchiale.

Si legge nella relazione della suddetta visita pastorale che li 5 maggio 1585: « Visitò (Monsignore) la Confreria dello Spirito Santo del Borgo sottano (confratriam S. Spiritus de burgo sottano) della quale sette anni prima il vescovo di Famagosta 1, visitatore apostolico eresse un monte di [p. 202 modifica]pietà con abolire la consuetudine o piuttosto l’abuso di distribuire i ceci nella festa di Pentescoste e decretò che tutti i redditi, e proventi di questa confreria fossero convertiti in fromento e castagne, da darsi a mutuo a persone povere, però sotto certe cautele e condizioni, come si praticò, di modo che si diedero ad imprestito 300 stara tra grano e castagne che furono registrati su d’apposito registro; questo fu portato via dall’impeto delle acque in un colla casa dove si custodiva, nel diluvio dell’anno scorso 1584 addì 6 di luglio, di modo che la maggior parte dei poveri che presero ad imprestito grano e castagne, non temendo la taccia d’ingrati, niegarono in tutto od in parte il loro debito e sino al giorno d’oggi non consegnarono che centocinquanta stara all’incirca, ed il restante si perde a grave danno della Confreria.

Decretò perciò (monsignor Peruzzi) che si avvertissero pubblicamente tutti quelli che avevano ricevuto a mutuo grano o castagne o che sapessero che altri avessero ricevuto di propalarlo fedelmente sotto pena della scomunica, da cui non potessero venir assolti, se non dopo un’integrale rivelazione.

Quindi pel buon regime della casa di detta Confreria o Monte di Pietà, decretò che per mano d’un pubblico Notaio, siano descritti in un libro mastro tutti i redditi di detto Monte, e gli aumenti qualunque; ma prima di tutto che si descrivesse ciò che possedeva in allora lo stesso Monte, non solo in beni stabili, ed in censi perpetui, ma ancora nella quantità di grano, e di castagne che trovavasi raccolta.

Il Monte di Pietà, possiedeva molti beni stabili che erano affittati per trentasei scudi. »

Finalmente decretò che i mutui si dovessero descrivere da un pubblico Notaio alla presenza di due testimoni colla debita cauzione, che infine d’ogni anno si dovesse rendere il conto all’autorità ecclesiastica, e che i proventi dei mutui [p. 203 modifica]si dovessero distribuire ai poveri nel giorno di Pentecoste, absque spe aliquid recipiendi per eos.

Addì 9 giugno 1589, si congregarono nanti il podestà Bernardino Giogia, 35 capi di casa di questo borgo e con istromento rogato Gio. Angiolo Notaio ducale di Ceva, deliberarono d’impiegar tutti i redditi della Confreria dello Spirito Santo in maritar le povere figlie di detto borgo «alle quali, e ognuna d’esse se ne distribuiranno gradatamente secondo che s’andranno maritando lire duecentocinquanta per caduna, dichiarando, che in tali redditi non vi abbino a partecipare salvo dalla casa di Luigi Matteo Arino in giù, sino alle porte di detto borgo dell’Arenata e Cattalana, solamente tutti coloro che vi avranno habitabil casa, sebbene non vi habbitano, et quelli i quali vi saranno stati, et habitati in casa loro propria quattro anni passati al tempo che intenderanno golder di tali ellemosine e redditi, volendo anche che li nativi, et fin adesso partecipanti in detta confratria di detto borgo ancorchè non vi havessero case, men persone che in esse habitino, dichiarando anche che li cappi delle case state rovinate dal diluvio non habitandovi goldino di tale elemosine, e redditi, sua vita durante solamente.»

Con istrumento delli 29 maggio 1621, la città di Ceva e per essa il signor Sindaco Francesco Dalmazzone si dichiarò debitrice a questa Confreria di 54 ducatoni, di 335 talleri a fiorini dieci l’uno, di fiorini sei, e di scuti novecento ottantatre ragguagliati a fiorini otto l’uno e grossi dodeci, e si obbligò di pagarne l’interesse al sei per cento.

Addì sei decembre 1739, si obbligò la città a pagar gl’interessi dei suddetti capitali, da impiegarsi nel fare uno stipendio ad un medico e ad un chirurgo che servissero gli ammalati abitanti nei borgo sottano, e si distribuissero doti alle figlie, nate in casa propria, di lire dieci caduna.

Al giorno d’oggi la civica amministrazione paga a questa Cappella un’annualità di lire centotre centesimi trenta che [p. 204 modifica]s’impiegano nello stipendio d’un medico in ll. 44, ed in quello d’un chirurgo in lire trenta, ed il restante s’impiega in doti ed in manutenzione della chiesa.

Certo Giacomo Antonio Morretti, con suo testamento delli 25 gennaio 1638, legò a questa chiesa due censi l’uno sulla comunità di Priola del capitale di tremila fiorini e l’altro sulla comunità di Lisio del capitale di crosoni cinquecento coll’obbligo in perpetuo d’una messa quotidiana nell’aurora in questa chiesa in suffragio dell’anima sua.

Quello sulla comunità di Priola, si è perduto, e la comunità di Lisio paga tuttora lire cinquantacinque e cent. 13 e si celebrano messe in proporzione.

Questa chiesa trovasi ai fianchi della strada provinciale in mezzo alla piazza del borgo inferiore, non ha che un altare ed una piccola orchestra sovra la porta d’entrata, tanto la chiesa che il campanile non presentano alcun carattere d’antichità.

Si fa a questa chiesa la processione per la benedizione delle campagne, la prima o seconda domenica dopo Pasqua, come pure la terza delle Rogazioni, e quella del Corpo del Signore.



Note

  1. Fama―augusta città forte dell’Isola di Cipro sulla sua Costa Orientale chiamata altre volte Arsinoe.

    L’ultimo vescovo di Famagosta fu monsignor Gerolamo Ragazzoni di Venezia che trovossi al concilio di Trento, fu a quest’epoca che i turchi assediarono Famagosta.

    Il vescovo Gerolamo però ebbe il coraggio di passare a traverso la flotta turca per portarsi a Venezia e chiedere da quella repubblica i necessarii soccorsi, ma tutto inutilmente; che quando i Veneziani ebbero in pronto una flotta per soccorrere Famagosta, i turchi si resero padroni di tutta l’isola di Cipro.            Bibl. Sacra tom. VIII.

    Non vi sembra luogo a dubitare che il qui citato Visitatore apostolico non sia il Gerolamo Ragazzoni ultimo vescovo di Famagosta.