Memorie storiche della città e marchesato di Ceva/Capo LVI - Il Generale Miollis.

Capo LVI - Il Generale Miollis.

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Capo LV - Vittorio Amedeo III, ed il suo Ministro Marchese di Cravanzana. Capo LVII - Simulacro di M. V. Addolorata, trasportato dal Forte alla Collegiata.
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CAPO LVI.


Il Generale Miollis.


Il Generale Miollis portator degli ordini e Regio e Napoleonico della resa del forte fu pure destinato a comandante della città, e prese alloggio in casa Pallavicini.

Diede mano a stabilire il buon ordine in città, e poco favorì il partito dei Giacobini, i quali l’accusarono presso il Direttorio di Parigi come avverso al partito repubblicano e fautore dell’aristocrazia. Venutone a notizia si scolpò delle fattegli accuse, e i Giacobini si tacquero pel momento.

[p. 280 modifica]Non cessarono però dal mover guerra ai Branda che erano quei del partito monarchico ed affetto a casa Savoia. Ricorsero al commissariato francese stabilito in Mondovì. Accusarono la civica amministrazione di malversazione ed ottennero che si fosse spedito a Ceva un giovane commissario di cui non si conservò il nome.

Chiamò questi a consiglio la civica amministrazione. Luigi Carrara uomo di talento, ma di sentimenti esaltati e caldo partigiano della repubblica, seduto a fianchi del commissario lesse un lungo discorso in cui incolpò la civica amministrazione di parzialità, d’ingiustizia nel fissare le tasse, e di dilapidazione del pubblico erario.

L’amministrazione si giustificò pienamente dalle fattele accuse. Il commissario se ne dimostrò soddisfatto e terminò la seduta con un discorso enfatico in favor della repubblica. Nel far l’enumerazione dei doveri d’un buon repubblicano arrivò a dire che quando si tratta del ben pubblico il fratello non deve perdonarla al fratello, l’amico all’amico, il padre al figlio, ed il figlio al padre, ed ebbe l’impudenza di asserire che lui stesso pel bene della repubblica aveva fatto ghigliottinare suo padre; ne inorridì l’assemblea, e si sciolse sull’istante.

Sentendo i Giacobini che s’erano in Francia ed in alcune citta del Piemonte innalzati sulle piazze alberi detti di libertà, tanto s’agitarono e tanto dissero che il comandante Miollis ordinò che quest’albero sormontato dal bonetto frigio e dal vessillo tricolore fosse innalzalo solennemente avanti il palazzo civico.

Fra grida incessanti, forsennate acclamazioni e canti patriotici si incominciò a festeggiare questo fantasma di sognata libertà. Il comandante Miollis colla civica amministrazione diede principio alle danze attorno all’albero.

Furono invitati a suon di tromba a goder di questa festa preti, frati, nobili e plebei.

Il più vile mascalzone invitava la più nobile e rispettabile [p. 281 modifica]dama a danzare, e conveniva cedere. Si ricordano ancora non pochi cittadini di Ceva che un brentatore per nome Brunetto si portò vicino alla signora marchesa Pallavicini e la prese per mano dicendole: cittadina Gabriella, volete fare una danza con me? E fu prudenza accettare l’invito.

Il generale Miollis ad un certo punto invitò i circostanti a trarsi di scarsella il fazzoletto, e prendendolo dall’un capo all’altro dai due vicini formandosi come una lunga catena a simbolo di fratellanza. Si percorsero tutte le vie della città intuonando canti patriotici, e gridando, viva la repubblica! viva la liberta!

Per ordine di Bonaparte si piantò pur anche nella fortezza un albero di libertà, colla bandiera tricolore il che fu eseguito nel bastione reale a vista della città.