Memorie inutili/Parte seconda/Capitolo XIV

Capitolo XIV

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CAPITOLO XIV

Seguo ad essere amico della Ricci in un modo da far ridere una moltitudine

alienissima da’ miei sistemi.

Le circostanze della Ricci che con l’allontanamento del marito mi parvero differenti da quelle di prima, m’indussero a farle un amichevole discorso.

Le mie visite giornaliere, mentr’ella aveva il marito appresso, e la mia palese parzialitá erano tanto da lei desiderate e coltivate che, se passavano due giorni senza la mia visita alla sua abitazione, me la vedeva comparire col marito alla casa mia, a lagnarsi e a chiedermi la causa d’una tal privazione e perdono s’ella per avventura avesse dati motivi per qualche innocente inavvertenza.

Proccurai dunque col mio discorso di farle comprendere che una giovine comica maritata, coll’assenza del marito entrava in una maggiore necessitá d’una condotta riservata.

Le rammemorai ch’ella aveva de’ nimici nella sua compagnia che avrebbero ritentato di lacerare la sua riputazione al piú picciolo indizio, dipinto per fatto vero la piú minuta apparenza, e ch’io medesimo averei rese rare le mie visite, senza però perdere di vista i di lei vantaggi; che siccome io poteva avere la sua conversazione ogni sera pubblicamente ne’ stanzini del palco scenario, non v’era bisogno ch’io le facessi ogni giorno visite famigliari nella sua abitazione, per suscitar nel caso suo sulle lingue perverse mal disposte, massime di comici e comiche abilissime nella mormorazione, de’ giudizi piú che indiscreti sopra a lei e sopra me.

Chiunque avesse veduta la sfortunata giovine a questo mio annunzio, riderebbe con qualche parsimonia della compassione ch’ella poté destare nell’animo mio.

Dimagrata, pallida, di salute non ferma, abbassò gli occhi alla terra con qualche lagrima trattenuta, e dopo alquanto di [p. 318 modifica]taciturnitá che sembrava cagionata da un intenso dolore, non disse che con voce moderata le seguenti parole: — Nel mezzo a’ nimici, priva del marito, vicina a rimaner vedova con due figli, senza alcun appoggio! Sono abbandonata da tutti. — Ricadde in una profonda mestizia.

Quantunque tutte le sue parole non contenessero veritá, nella sua circostanza la sua immaginazione poteva vedere in tutte quelle un’afflittiva innegabile veritá.

I successi dell’avvenire faranno conoscere che, per una compiassione e una credulitá imbecilli verso un’attrice teatrale, discesi a confortarla.

Le promisi che non averei alterate le mie consuete visite e la mia palese predilezione per lei, quando però ella col suo contegno non facesse scomparire agli occhi del mondo la mia parzialitá.

Affidai in ciò al titolo di compare, all’etá mia, alla mia indifferenza e disinteressatezza. Chi sa che l’affetto non sia stato il piú forte argomentatore a convincermi? Qual vergogna mi potrebbe venire a confessarlo?

Non sono mallevadore che internamente ella sentisse l’afflizione che dimostrava per le sue circostanze. Doveva sentirla o sapeva dimostrarla comicamente, e credei dovere di buon amico e compare il proccurarle e concederle que’ mezzi che potessero sollevarla e confortarla.

Quanto al suo stipendio, ella aveva allora per se sola cinquecentotrenta ducati all’anno, essendo il marito mantenuto a Bologna a spese della compagnia comica; ma senza dar retta ella a’ patti firmati da lei di servire la compagnia per alcuni anni ancora e d’esser contenta d’un tale onorario, gridava e strepitava di nuovo di non voler servire per cosí scarso stipendio.

Benché sapessi io che l’onorario di cinquecentotrenta ducati era de’ maggiori che una comica compagnia italiana nella sua naturale scarsa ricolta potesse dare a un’attrice, vedeva bene che un tal onorario non era una ricchezza, e m’infastidiva solo la facilitá con cui quella giovine calpestava la sua parola data e firmata. [p. 319 modifica]

Nulla ostante commiserai il di lei stato e i di lei pesi colla compagnia tutta, efficacemente. Proccurai di farle amici la maggior parte de’ sozi.

Il Sacchi capocomico, per i miei stimoli veniva meco a visitarla, a ricrearla con molte facezie e a dimostrare della considerazione della di lei comica abilitá. Non mancava dal canto mio di renderla coll’opere mie sceniche ognor piú applaudita dal pubblico e piú necessaria alla sua comica societá, unico onesto mezzo per far aumentare il di lei comico stipendio.

Seppi da lei improvvisamente che, nulla ostante la scrittura da lei firmata di ducati cinquecentotrenta all’anno per tre anni, il Sacchi le aveva accresciuto uno spesato di due lire al giorno, vale a dire cento e piú ducati all’anno in aggiunta.

Non dirò che le mie commiserazioni e i miei riflessi fatti al capocomico e a’ di lui compagni abbiano cagionato quell’aumento. Il Sacchi giustificava co’ suoi sozi questa sua disposizione in vantaggio della Ricci, sul bisogno ch’ella aveva di accrescersi un equipaggio che decorasse la compagnia. Ogni volta che mi passa per la mente quella sua giustificazione, rido. Dirò la causa delle mie risa. Gli osservatori trovano in tutto qualche cosa da imparare.

La Ricci senza il compagno marito aveva bisogno d’un amico e compagno di assistenza nelle cose sue domestiche e di confidenza, tanto in Venezia quanto ne’ sei mesi che stava con la compagnia fuori di Venezia. Ella scelse un giovine comico appellato Carlo Coralli, della compagnia, uomo piú educato degli altri suoi compagni, ma bolognese raggiratore e imprudente per quanto dirò.

Io voleva bene al Coralli per le sue educate maniere e per la sua comica abilitá. La gioventú è scusabile. Non mi sono mai sognato d’aver dispiacere di quella tale amicizia, e anzi la difesi contro coloro che la malignavano e la tragiversavano. Trovava con frequenza da quella mia comare molte visite mascoline, di comici, di mercanti onorati, di procacci di Firenze, di Bologna, di Modena e d’altre simili persone da lei conosciute. Vedeva tutte le visite di questa spezie volentieri. [p. 320 modifica]

Le ricordava soltanto con costanza, risolutezza e frequenza che pretendendo ella le mie visite e la mia pubblica parzialitá palese a tutti, come s’ingegnava di fare, si guardasse con del rigore dalle visite di que’ maschi, massime nobili, conosciuti dalla cittá tutta splendidi passeggeri pirati di Venere, che farebbero lampeggiare il suo disonore e contaminerebbero la mia dimostrata parzialitá e le mie visite; ch’ella tenesse a freno la sua ambizione donnesca di falso sistema e non accettasse doni di conseguenza da’ dissoluti, per non imbrogliarsi; ch’ella non tentasse garbugli con la vana speranza di secretezza; e infine la pregava ad essere meco sincera, perch’io potessi salvar me medesimo con un pacifico e prudente allontanamento, lasciandola in balía di quella libertá di cui era assoluta padrona.

Tuttoché le dicessi queste cose con un’amichevole dolcezza, terminando le mie ammonizioni con de’ scherzi e delle lepidezze, esse non contenevano però nessuna di quelle adulazioni che tanto a lei piacevano.

Parevami di scorgere nel suo interno de’ fremiti contrari ai miei sistemi ed a’ miei ricordi; ma ella sapeva costringerli, e il bene che le voleva e la sua etá giovanile rinverdivano le mie lusinghe di poterla indurre con un poco di tempo a pensare con della moderazione e della virtú.

Fui uno stolido, e mi rincresce di dover confessare la mia stolidezza soltanto perché la mia confessione riesce a discapito di quella povera femmina, rovinata e resa insanabile da de’ principi di antimorale d’una falsa filosofia.

Convien dire che l’amor suo proprio, ch’era l’unico suo consigliere obbedito, mi dipingesse agli occhi suoi un appassionato d’amore geloso; che i miei ragionamenti, i miei ricordi non le apparissero che come le stolte voci della gelosia; e convien dire che la mia amicizia, il mio comparatico, le mie visite giornaliere, la mia parzialitá palese a tutti, da lei proccurate e coltivate, non fossero da lei cercate che per tenere in soggezione la sua compagnia comica, per tenermi obbligato a farla comparire in sul teatro colle opere sceniche mie a di lei vantaggio e perch’io servissi d’ombrello a que’ trapassi a’ quali la sua [p. 321 modifica]ambizione, la sua aviditá e la prima sua educazione la strascinavano. Si vedrá nel séguito di queste frivole ma ingenue memorie questo mio giudizio verificato.

Averei dovuto fare un tal giudizio fin da quel tempo e allontanarmi da quella comare. L’impegno in cui era io di sostenere non meno lei che i passi ch’io aveva fatti a fronte aperta a risarcimento della di lei abilitá comica, del di lei onore lacerato; le testimonianze ch’io aveva fatte della di lei regolaritá di costume non solo colla comica compagnia ma con mollissime onorate famiglie nelle quali l’aveva introdotta, e infine la mia dabbenaggine non m’avranno lasciato fare in quel tempo né previsioni né risoluzioni.