Memorie di un pulcino (1918)/I consigli della Mamma
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III.
I Consigli della mamma.
I primi raggi del sole doravano la cima della casa, e gli uccellini avevano già cominciato il loro allegro cinguettìo, allorché una leggiera beccata sul collo mi svegliò improvvisamente; levai il capo di sotto l’ala con un po’ di stizza, e vidi mia madre che seria e pensierosa stava guardandomi.
— Ti ho destato un po’ più presto del solito, — mi disse con accento piuttosto grave — perchè ho bisogno di parlarti prima che i padroni vengano nel campo, e avanti che quel signorino.... — e accennò il galletto che tuttavia dormiva — cominci a sgambettare.
Ascoltami. Tu sei sempre stato bonino, ti sei meritato l’affetto di tutti; hai dato retta ai miei consigli e non s’è mai dato il caso che io abbia dovuto ricorrere alle gridate e a’ gastighi; ma ora cominci a farti grandicello, non stai più l’intera giornata accanto a me, e godi nel girar qua e là. Nè di ciò ti fo carico, figliuolo mio, giacché so che pur troppo le cose devono andar così.
Le mamme allevano i figliuoli, li custodiscono e gli tengono vicini finché son piccoli; ma una volta cresciuti, è bene anzi che i figliuoli si avvezzino a provveder da sé a’ loro bisogni e a rendersi anche utili a chi tanto fece per loro. Va’ dunque, tìglio mio; ti raccomando però di non allontanarti mai dal podere e soprattutto di non far lega con quel galletto che arrivò qui ieri; non mi piace punto, e sono persuasa che disobbedendomi, potresti incorrere in dispiaceri assai gravi.
Iermattina non era appena finito d’arrivare, che tu, subito, ti sei fatto sua guida e sei andato a girar con lui nei campi. A stringere le amicizie ci vuol grande cautela; prima di accompagnarsi con qualcuno bisogna conoscerlo bene, e saper se è buono, se è persona onorata e mille altre importanti cose. —
E mia madre, dopo queste parole, che mi fecero molto effetto, si allontanò con passo lento e maestoso.
Rimasi per un pezzetto sopra pensiero.
Ero risoluto, risolutissimo di obbedir la mamma in tutto e per tutto; questo s’intende; ma non sapevo darmi ragione della sua antipatia verso il galletto.
Ohe cosa le aveva fatto quella povera bestia? Arrivata solamente da poche ore, e già condannata ad una morte crudelissima, quando e come aveva potuto dispiacere alla mamma? Basta, conchiusi fra me, le mamme ci avvertono sempre per nostro bene, ma finalmente qualche volta possono sbagliare anche loro; sarà così anche della mia; io, dicerto al galletto non gli anderò incontro, ma sgarbi non glie ne voglio usare.
Mala cosa, bambini miei, quando i figliuoli suppongono che le madri si possano ingannare!
Feci come dissi.
Nel corso del giorno badavo al fatto mio, senza curarmi nè punto nè poco dell’ospite; quando mi si avvicinava per attaccar discorso, lo salutavo con garbo, e, pulitamente con una scusa o con l’altra, lo lasciavo solo.
La sera, quando la mamma mi faceva qualche domanda in proposito, com’ero contento di poterle dire:
— Per obbedirti ho fatto questo e quest’altro.... Vedi eh, se ti voglio bene? —
— E quella buona creatura ad accarezzarmi e a farmi mille feste. Sentite, bambini, io ho assaggiato molte cosette buone, perfino i confetti e lo zucchero; ma vi assicuro che le carezze della mamma vincono in dolcezza e i confetti e gli zuccherini.
Così passò del tempo. Il galletto non s’affiatava con nessuno; era scontroso, impertinente e maligno, e tutti naturalmente, lo vedevano di mal occhio; perfino la Marietta che non avrebbe fatto male a una mosca, gli diceva spesso spesso:
— Ti ci vedrò in pentola, cattivacelo!
— Non credo che la padroncina facesse bene a buttar fuori quelle parole, le quali, a chi l’avesse poco conosciuta, non avrebbero certamente offerto una prova molto rassicurante del suo buon cuore, ma quella bestiuola, bisogna esser giusti, glie le strappava proprio dalla bocca con que’ suoi brutti modi.
Qualcuno gli andava incontro o per vederlo o per accarezzarlo? E il galletto subito a impennarsi, ad aprir le ali e a schiamazzar rumorosamente, come se avessero voluto mangiarlo.
Questo era il meno; chè la sua ritrosia e l’indole fiera e sospettosa erano forse da attribuirsi alla cattiva educazione ricevuta, e fors’anco alle sue passate sciagure, le quali, invece di renderlo umile e rassegnato l’avevano probabilmente inasprito più che inai!
Ma quel che non sapevo compatire nè scusare era il suo cattivo cuore.
Per esempio la Tonia ci dava il becchime? Noi pulcini, per rispetto, si aspettava sempre che la mamma fosse la prima ad assaggiarlo e dopo le tenevamo i dietro con moderazione e senza troppa avidità; il galletto invece non faceva discorsi: sceglieva i bocconi migliori e quando era sazio lui, sparpagliava il becchime in un certo modo, che non ci riusciva più di raccapezzarne una porzione.
Mi rammento che una volta la mamma si sentiva male e non poteva buttar giù il solito pastone di pan molle e crusca; la Tonia, da quella pietosa donna che ell’era, le cosse un bel pentolino di riso e glielo scodellò davanti perchè si riavesse un po’; il galletto della Lena, appena ebbe visto la Tonia allontanarsi si slanciò bravamente sul riso e se lo mangiò tutto tutto, senza lasciarne alla mamma neanche un chicco.
Ohe cosa ve ne pare, bambini miei, di questa condotta?
Ah il cattivo cuore! Il cattivo cuore! Non si scusa in nessuno: nè nelle bestie nè nei bambini; anzi, a proposito dei bambini; ecco quel che soleva dire un certo vecchietto, che qualche volta veniva a veglia:
— Ho piacere di vedere i bambini svelti, allegri e anche un tantino chiassoni (purché il chiasso, s'intende, sia fatto alle ore debite, e non già quando la mamma o la maestra s’affaticano, poverine, a insegnar loro tante belle cose); ma quel che non potrei mai vedere con occhio indulgente sono le piccole cattiverie, i dispetti, gli atti maligni e tutto ciò, infine, che rivela nel fanciullo un cuore mal fatto.
Ohe cosa importa che un bambino stia tutto il santo giorno con le braccia incrociate sul petto e col capino basso, se poi, quando esce di scuola non dà al poverello che incontra per la via il pezzetto di pane avanzatogli dalla colazione?
Ohe cosa importa che un bambino stia sempre col libro in mano e col quaderno davanti e si acquisti perciò il nome di assennato e di studioso, se poi, allorché torna a casa trova la mamma malata, si rifiuta di prestarle que’ servizini che fanno tanto piacere a chi gli riceve? o se non fa ad essa quelle attenzioni che si meritano i genitori?
-Degno certamente di lode è il fanciullo che sta contegnoso e composto allorquando i maggiori gli parlano o lo istruiscono; e non minor pregio ha colui che ottiene de’bei punti nella lettura, ne’ conti e nella calligrafìa; ma chi tutti gli sopravanza, ma quegli che merita la lode e l’amore di chi lo conosce, è il bambino buono che è la consolazione del babbo e della mamma, è il bambino caritatevole, che divide la sua merendina co’ poverelli. —
Ma guardate voi che razza di discorsi m’ha fatto fare il gallettino! son proprio saltato di palo in frasca e forse forse, mi avrete dato del ciarlone chi sa quante volte!
Basta, tomo subito all’argomento. Il nostro ospite però con me se l’era sempre detta; onde confesso che questa preferenza mi aveva toccato il cuore, e chi sa quel che avrei pagato a fargli capire che un po’ di bene glie lo volevo io pure; poverino! mi faceva tanta compassione!
O che non sarebbe stata una bella cosa a farlo diventare un po’ più buono? Mi sarei messo all’opera tanto volentieri!
Ma sì! un giorno che mi arrischiai a confidare i miei pensieri alla mamma, mi rispose queste precise parole:
— Figliuol mio, c’era una volta un dabben uomo a cui andarono a male certe belle frutta, ch’ei teneva in serbo per regalare agli amici: il sempliciotto pensò allora di metterle insieme ad altre che per freschezza e bontà erano una delizia; «Così» disse fra sè, «anche le cattive mi diventeranno buone.»
Non l’avesse mai fatto!
Dopo una diecina di giorni andò a vederle, e le trovò tutte bacate e mézze che era una pietà.
Così avviene, figliuol mio, a’ buoni che praticano i cattivi; e’ divengono come loro, e peggio.
Dunque regolati; non ti dico d’essere sgarbato con quella povera bestia che alla fine è disgraziata la sua parte; (ti par poco il non saper farsi benvolere da nessuno?) ma però sta’a te, e a qualunque cosa che ti dica, rispondi cortese, ma breve. —