Memorie di un pulcino (1918)/Conclusione
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CONCLUSIONE
Le feste del Natale passarono lietamente, e Masino si mostrò sempre meco tale quale mi era apparso fin dal primo istante che lo conobbi, cioè buono e manieroso.
Mi angustiava però il pensiero de’ miei padroni, e chi sa quel che avrei pagato a saperne qualcosa. Il buon Dio si degnò di esaudirmi più presto di quel che credevo; ed ecco come:
Il giorno di Capo d’anno c’era stato in casa un gran via vai di persone, e verso le sei, allorchè i miei padroni stavano per mettersi a tavola, il rumore d’una solenne scampanellata ci annunziò una nuova visita.
La serva andò ad aprire, e in capo a due minuti indovinate, bambini miei, chi vidi entrar nella stanza!
Niente meno che la signora Clotilde ed Alberto, proprio Alberto in carne e in ossa. Sul primo non badarono a me, intenti com’erano a dirsi fra tutti le cose più affettuose del mondo; ma quando si furono messi a sedere e che io andai a dare una timida beccata su lo stivaletto del caro Albertino, egli cacciò un grido di sorpresa, e volgendosi alla signora Clotilde, esclamò con vivacità:
― Mamma, guarda! Non è esso il nostro povero gallettino?
― Davvero! ― rispose subito la signora chinandosi e prendendomi in grembo ― è proprio lui, lo riconosco. —
Rivolgendosi quindi ai genitori di Masino, che la guardavano meravigliati:
— Da chi avete avuto questa bestiòla, amici miei?
― L’ho comprata la vigilia di Natale, in mercato, ― rispose il padrone.
― E da chi l’ha comprata, scusi?
― Ma! Da una specie di contadino che aveva, a dirla schietta, una gran faccia di birbone.
― Ho capito tutto, ora! ― esclamò la signora giungendo le mani ― era il ladro!
― Il ladro? ― domandò sorpreso il babbo di Masino ― o come va questa faccenda?
― Sappia, ― soggiunse la signora ― che l’antivigilia di Ceppo mi vennero rubati cinque polli, fra i quali cotesto gallettino; i ladri li avranno certamente venduti, ed ecco come si spiega la cosa.
— Me ne dispiace proprio di cuore; — disse tutta afflitta la signora Carolina — fortuna che almeno potremo restituirgliene uno!
— Ma le pare? — interruppe prontamente Alberto — il galletto lo hanno comprato e appartiene a loro; mi accorgo, anzi, che Masino gli vuol molto bene; si figuri se vorrei toglierglielo! —
Masino, infatti, mi guardava con affetto; ma, consultati con una rapida occhiata i suoi genitori, rispose garbatamente:
— Alberto, il galletto è tuo, e lo riprenderai.
— Io non lo voglio; — soggiunse Alberto con amabile ostinatezza.
Chi sa quanto sarebbe durata quella gara di buon cuore e di cortesia, se la signora Clotilde non l’avesse troncata con questa bella sentenza:
— Il gallettino resterà a Masino; ma Masino dovrà fare un bel regalo a me e ad Alberto; e questo regalo consisterà nel venire a passar da noi il giorno dell’Epifania. —
A queste parole batterono tutti allegramente le mani, e parlaron d’altro.
Dopo una mezz’oretta, allorchè Alberto e la sua cara mamma stavano per prender commiato, la signora Carolina domandò loro:
— O de’ vostri contadini di Vespignano che ne è stato? Stanno tutti bene?
― Benone; — rispose la signora Clotilde ― anzi, ieri ricevei una graziosa letterina della Marietta; la cara bambina si conserva sempre buona e affettuosa; siccome fu lei che regalò cotesto galletto al mio Alberto, così, quando le scriveremo, le diremo in quali mani è capitato, e son persuasa che questa notizia le farà molto piacere. Ora, cari miei, vi saluto proprio davvero e me ne vado, che è tardi. ―
E scambiata una stretta di mano co’ miei padroni, la signora e il signorino uscirono.
Io rimasi un po’ triste; ma il piacere d’averli rivisti e d’aver saputo le nuove della Marietta, dissiparono presto la mia malinconia, e mi ritornarono quel vispo gallettino che ero sempre stato.
Il pensiero però che non mi ha lasciato mai e che non sarà per lasciarmi finchè vivo, è quello della povera madre mia, che non rivedrò più. Quando penso che alcune volte l’ho fatta star male, quando penso a tutte le inquietudini che le ho date, mi si serra il cuore dal dolore e dal pentimento.
Povera mamma! Mi par sempre di vederla e di ascoltare la sua dolce e cara voce; certo, in questa casa non mi manca nulla, tutti mi vogliono bene e non ho da stare in guardia contro le persecuzioni di cani o di gatti; ma ve la devo dire, proprio come la sento, lettori miei? Vorrei patire ogni disagio e anche la fame, pur di rivedere le mie compagne, il mio pollaio, la mia mamma!
― Cara mamma, vorrei dirle, eccomi di ritorno, ma mutato assai da quello di prima, sa? Non dubiti che l’ho avuta la vita cittadina! Ne’ palazzi de’ signori ci si mangerà forse meglio e saremo alloggiati con più lusso; ma la pace che si gode fra’ campi, lì non c’è dicerto, e lei, quando mi raccontava del topo campagnuolo, avea mille ragioni; ora però che i dispiaceri mi hanno mostrato il vero aspetto delle cose, e mi hanno anche insegnato ad esser buono, modesto e senza superbia, stia tranquilla, mamma, che gli errori di una volta non li commetterei più.
Ecco quel che vorrei dire a mia madre. Ma ahimè non posso!
Quel che sta in me si è di pregare il buon Dio acciocchè me la tenga sana, e faccia sì che ella pensi talvolta con tenerezza al suo figlioletto lontano!
Lettori e lettrici, il mio ufficio è finito.
Avanti però di lasciarvi, voglio porgervi alcuni avvertimenti che forse vi potranno esser utili. Vogliate quel bene che potete maggiore a’ vostri genitori, e pensate che non troverete mai migliori amici di loro. Obbediteli in tutto e per tutto, e se vi proibiscono di stringere intrinsichezza col tale o tal altro bambino, date loro retta, non cercate d’investigare la ragione che li guida ad operare in tal modo, e persuadetevi che essi non hanno di mira che il vostro bene.
Ricordatevi di quel che mi successe per detto e fatto del galletto della Lena. Se qualcuno vi offende ingiustamente non pensate mai a vendicarvi, chè la vendetta è la cosa più brutta di questo mondo; anzi, se vi si offre occasione di fare una garbatezza a quella stessa persona che vi ha offeso, fategliela subito con gioia, e il Signore vi benedirà.
Non molestate le bestie, nè prendete gusto a vederle soffrire; il cuore diventa insensibile, crudele; e il bambino che ha ammazzato un piccione o ha bucato gli occhi a un uccellino, sarà capacissimo, una volta cresciuto, delle maggiori cattiverie.
Non siate vani; contentatevi dello stato in cui vi ha posto il Signore, e pensate che è ricco chi si appaga di ciò che possiede. Siate caritatevoli; per esser tali non è necessario essere provvisti ampiamente dei beni di fortuna; un centesimo dato con amore, una buona parola o un consiglio affettuoso, valgono spesso le più abbondanti elemosine e possono far lieti chi li riceve.
E ora addio, cari fanciulli. Chi sa se sentirete più parlar di me; ma per non tenervi in pensiero sul mio avvenire, vi dirò che ho la certezza di morir di vecchiaia, e che questa certezza l’ho acquistata ascoltando le seguenti parole di Masino rivolte ad Alberto:
— Sì, amico mio, il tuo gallettino non sarà ammazzato mai, e finirà i suoi giorni in pace. ―
Non mi resta dunque altro che farvi una bella riverenza, accompagnata da un lungo e rumoroso chicchirichì.