Memorie di Carlo Goldoni/Parte terza/II

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Carlo Goldoni - Memorie (1787)
Traduzione dal francese di Francesco Costero (1888)
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Parte terza - I Parte terza - III

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CAPITOLO II.

Mia prima occhiata sulla città di Parigi. — Prime visite. — Delizioso pranzo. — Veduta dell’opera buffa. — Alcune parole sopra questo spettacolo e i suoi attori.

Stanco dal viaggio e ristorato alquanto da quel nettare gratissimo per cui può chiamarsi meritamente la Borgogna terra di promissione, passai una notte dolce e tranquilla. Lo svegliarmi fu per me piacevole nel modo istesso che erano stati piacevoli i sogni della notte. Mi trovavo a Parigi, ero contento, ma nulla aveva ancor veduto, e morivo di voglia di vedere. Ne tengo discorso al mio amico ed ospite; ed egli: — È necessario (mi dice) incominciare dal far le visite; aspettiamo perciò la carrozza. — Oh! no davvero (risposi): in una carrozza non vedrei nulla; esciamo a piedi. — Ma la gita è lunga. — Non importa. — Ma fa caldo. — Pazienza. — Infatti in quell’anno il caldo era grande quanto in Italia, ma per me era l’istesso; allora non avevo che cinquantatrè anni, ero forte, sano, vigoroso, e l’impazienza e la curiosità mi facevano volare.

Nel traversare i baluardi, osservai un piccolo tratto di quella vasta passeggiata che circonda la città, che offre ai viandanti il fresco dell’ombra nell’estate, ed il caldo del sole nell’inverno. Entro nel Palazzo Reale. Quanta gente! che riunione di persone d’ogni specie! che dilettevole ritrovo! che delizioso passeggio! Ma qual colpo d’occhio maraviglioso colpì i miei sensi e la mia mente alla vista delle Tuileries! Mi si presenta al guardo quel giardino immenso: quel giardino unico nell’inverno mi si presenta in tutta la sua lunghezza, nè i miei occhi possono misurarne l’estensione. Ne percorro in fretta i viali, i boschetti, gli anfiteatri, le vasche, i parterri: ho veduti molti giardini ricchissimi, bellissimi fabbricati, monumenti preziosi, ma nulla può uguagliare la magnificenza delle Tuileries. Esco da questo luogo incantato, ed ecco subito un altro stupendo spettacolo. Un fiume maestoso, ponti frequenti e comodissimi, corsi spaziosi sulle sue sponde, tumultuoso moto di carrozze, perpetua folla di gente: ero stordito dallo strepito, stanco dal passeggio, spossato dall’eccessivo caldo, ero in un mare di sudore, nè me n’accorgevo. Traversammo il Ponte Reale, ed entriamo nel palazzo d’Aumont. Il duca si trovava in casa. Questo primo [p. 270 modifica] gentiluomo di camera del re, ch’era allora nel suo anno di esercìzio, è quegli appunto da cui ero stato chiamato. Mi ricevè con bontà e mi onorò sempre della sua benevolenza. Era già tardi, nè ci restava tempo per compire le visite che ci eravamo proposti di fare; prendemmo dunque una carrozza, e andammo dalla signorina Cammilla veronese, dalla quale eravamo aspettati a pranzo. Non è possibile trovare persona più allegra ad amabile della signorina Cammilla. Ella recitava sempre le parti di servetta nelle commedie italiane, ed era la delizia di Parigi sulla scena, non meno che nelle conversazioni, ovunque si avesse la fortuna d’incontrarla.

Entrammo a pranzo. I commensali erano in gran numero, il trattamento delicato, la compagnia sommamente dilettevole. Il caffè fu preso a tavola, nè ci alzammo che per andare alla commedia. Il teatro degl’Italiani restava allora in via Mauconseille all’antico palazzo di Borgogna, ove il Molière aveva dato prove del suo ingegno e della sua arte. Era appunto giorno d’opera buffa, e si rappresentava Il Pittore innamorato del suo modello, e Sancio Panza. Fu questa la prima volta ch’io vidi quel singolar mescuglio di prosa e ariette, e conobbi subito, che se il dramma in musica era per sè stesso un’opera imperfetta, questa novità lo rendeva certamente anche più mostruoso. Nonostante feci dopo alcune considerazioni. Non mi trovavo contento del recitativo italiano, e molto meno di quello dei Francesi; e siccome nell’opera buffa devesi passare sopra alla regola ed alla verisimiglianza, è meglio, senza dubbio alcuno, sentire un dialogo ben recitato, che soffrire la monotonia di un recitativo noioso. Fui bensì contentissimo degli attori di questo spettacolo. La maniera di recitare della signora La Ruette uguagliava la bellezza della sua voce, ed il signor Clerval, attore eccellente, piacevolissimo nel buffo, e commovente nelle scene patetiche, pieno di brio, di intelligenza e di gusto non dava allora che i primi segni di quei pregi intellettuali, che da lui stesso furono dipoi condotti all’ultimo grado di perfezione, e che gli fecero sempre godere il medesimo credito e gli stessi applausi dal pubblico.

Il signor Caillot era esso pure uno di quei soggetti rari, ai quali nulla manca per farsi applaudire. Il signor La Ruette, superiore a tutti nelle parti caricate, sempre vero, sempre esatto, si faceva stimare per l’azione, malgrado la pochezza della sua voce. La signora Bérard, e la signorina Desglands, la prima per la sua vivacità, e la seconda per la sua bella voce, figuravano egualmente nelle parti di governante. Tutti questi soggetti, degni di stima e di riputazione, non era possibile che non mi piacessero; contuttociò io non era nel caso di profittare dei loro pregi, poichè l’esame al quale ero destinato, non li riguardava in alcun modo. Ora per esser meglio a portata di conoscere i miei attori italiani, presi a pigione un quartiere vicino al teatro, ove incontrai una graziosa pigionale, la cui conversazione mi fu utilissima e del massimo divertimento. Questa era la signora Riccoboni, la quale, avendo già lasciato il teatro, formava la delizia di Parigi per i suoi romanzi, che per la purezza di stile, delicatezza d’immagini, verità di passioni, e arte di commuovere e divertire, nel tempo istesso, la mettevano alla pari di quanto havvi di stimabile nella letteratura francese. Alla signora Riccoboni appunto io m’indirizzai per avere qualche notizia preliminare riguardante i miei attori italiani. Essa li conosceva già a fondo, e me ne diede un’esatta informazione ch’io trovai in séguito giustissima, e degna della sua cortesia e sincerità.