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capitolo ii 269


risentire! credevo anzi che i miei compatriotti per punto d’onore fossero per profittare dell’emulazione dei loro novi compagni e fossero in grado di sostenere la lotta. Animato da questa fiducia, con la solita mia letizia e col mio consueto coraggio, m’incamminai verso la capitale. Intanto l’amenità del viaggio, e le ubertose pianure che traversavo, altro non mi ispiravano se non idee bizzarre e le più dolci speranze. A Villejuif trovai il signor Zannuzzi e la signora Savi, prima attrice dell’opera italiana, che fecero salire mia moglie e me nella loro carrozza, seguitandoci il nipote nella nostra: in questa maniera andammo a smontare nel sobborgo San Dionisio, luogo ove questi due attori avevano, nella casa medesima, i loro alloggi. Il giorno stesso fu festeggiato il nostro arrivo con una cena molto galante ed allegra, alla quale fu invitata buona parte dei comici italiani. Noi, benchè stanchi, ci trattenemmo con piacere fra le delizie di una elegante brigata, che alle grazie francesi accoppiava lo strepito delle conversazioni italiane.

CAPITOLO II.

Mia prima occhiata sulla città di Parigi. — Prime visite. — Delizioso pranzo. — Veduta dell’opera buffa. — Alcune parole sopra questo spettacolo e i suoi attori.

Stanco dal viaggio e ristorato alquanto da quel nettare gratissimo per cui può chiamarsi meritamente la Borgogna terra di promissione, passai una notte dolce e tranquilla. Lo svegliarmi fu per me piacevole nel modo istesso che erano stati piacevoli i sogni della notte. Mi trovavo a Parigi, ero contento, ma nulla aveva ancor veduto, e morivo di voglia di vedere. Ne tengo discorso al mio amico ed ospite; ed egli: — È necessario (mi dice) incominciare dal far le visite; aspettiamo perciò la carrozza. — Oh! no davvero (risposi): in una carrozza non vedrei nulla; esciamo a piedi. — Ma la gita è lunga. — Non importa. — Ma fa caldo. — Pazienza. — Infatti in quell’anno il caldo era grande quanto in Italia, ma per me era l’istesso; allora non avevo che cinquantatrè anni, ero forte, sano, vigoroso, e l’impazienza e la curiosità mi facevano volare.

Nel traversare i baluardi, osservai un piccolo tratto di quella vasta passeggiata che circonda la città, che offre ai viandanti il fresco dell’ombra nell’estate, ed il caldo del sole nell’inverno. Entro nel Palazzo Reale. Quanta gente! che riunione di persone d’ogni specie! che dilettevole ritrovo! che delizioso passeggio! Ma qual colpo d’occhio maraviglioso colpì i miei sensi e la mia mente alla vista delle Tuileries! Mi si presenta al guardo quel giardino immenso: quel giardino unico nell’inverno mi si presenta in tutta la sua lunghezza, nè i miei occhi possono misurarne l’estensione. Ne percorro in fretta i viali, i boschetti, gli anfiteatri, le vasche, i parterri: ho veduti molti giardini ricchissimi, bellissimi fabbricati, monumenti preziosi, ma nulla può uguagliare la magnificenza delle Tuileries. Esco da questo luogo incantato, ed ecco subito un altro stupendo spettacolo. Un fiume maestoso, ponti frequenti e comodissimi, corsi spaziosi sulle sue sponde, tumultuoso moto di carrozze, perpetua folla di gente: ero stordito dallo strepito, stanco dal passeggio, spossato dall’eccessivo caldo, ero in un mare di sudore, nè me n’accorgevo. Traversammo il Ponte Reale, ed entriamo nel palazzo d’Aumont. Il duca si trovava in casa. Questo primo genti-