Memorie di Carlo Goldoni/Parte seconda/XXXV
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Parte seconda - XXXIV | Parte seconda - XXXVI | ► |
CAPITOLO XXXV.
- Il Ricco insidiato, commedia di tre atti in prosa. — Suo buon successo. — La Vedova spiritosa, commedia in versi, di cinque atti, ricavata dai racconti morali del signor Marmontel. — Alcune parole sopra questo autore. — La Donna di governo, commadia in prosa di tre atti. — I Morbinosi commedia di gusto veneziano, di cinque atti in versi. — Suo bellissimo successo.
Incomincereste voi forse, mio caro lettore, ad annoiarvi di questa immensa raccolta di estratti, di compendi e di argomenti di commedie? Parlando schietto mi sento stanto e affaticato io pure; ma mancherei al mio impegno, quando non rendessi conto di tutte quante le mie opere, nè si distinguerebbero, scorrendo le diverse edizioni del mio Teatro, le commedie che mi appartengono da quelle che male a proposito alcuni editori mi hanno attribuite. Tollerate dunque di grazia il resto di questa lunga nenia, che io me ne sbrigherò con la maggior celerità. Intanto ecco un altro mucchietto di soggetti, i cui estratti però non saranno lunghissimi.
Il Ricco insidiato. Il conte Orazio di limitatissime sostanze trovasi tutto a un tratto, per la morte di un suo zio, ricco di cinquantamila lire di rendita, e padrone d’uno scrigno ragguardevolissimo. Il conte è da tutti carezzato, adulato; tutti cercano di guadagnare l’affezione di lui; tutti gli sono amici. Si accorge per altro di essere ingannato; e con animo di assicurarsene, fa comparire un falso testamento di suo zio, che lo priva della successione. Resta allora abbandonato da tutti: onde apre gli occhi, tien conto de’ buoni amici, si toglie tosto d’attorno gli adulatori; e sposa inoltre una signorina, della costanza e dell’affetto della quale aveva già tutte le prove immaginabili. Eccolo perciò ricco più di prima, e ricco realmente, poichè accomoda i suoi affari in modo da conservare intatti i suoi fondi, e goderne tranquillamente.
Questa commedia piacque sommamente, e riportò grand’applauso; ora vediamo l’altra che le successe subito dopo. Essendo in Parma, avevo letto Il Mercurio di Francia, di cui in quel tempo era estensore il signor Marmontel. Questo autore conosciutissimo nella repubblica delle lettere, e segretario perpetuo dell’Accademia francese, rendeva un tal foglio estremamente divertevole per l’importanza de’ suoi racconti morali, pieni di buon gusto ed immaginazione. Lo scrupolo o l’Amore scontento di sè stesso, era uno de’ suoi racconti che più mi piacesse; onde trovando questo tema benissimo adattato al teatro, ne feci una commedia, ch’ebbe per titolo La vedova spiritosa, e che ottenne un incontro felicissimo e costante. Ne ometto perciò l’estratto, perchè i racconti morali del Marmontel sono per le mani di tutti, anzi Lo scrupolo trovasi appunto nel primo volume di tal preziosa raccolta. Non mi diffonderò poi di più sulla commedia che succede a questa perchè non ne merita conto per la sua debolezza, ed è La Donna di governo. Nulla vi è di sì comune e di meno importante, che questa razza di serve padrone; le quali ingannano i loro principali ad oggetto di trattare i propri amanti. La servetta, che per verità era un personaggio molto buono, si mise in capo di rappresentar sè stessa nella parte che le apparteneva; nè aveva tutti i torti: onde il suo cattivo umore la rese goffa e ridicola; perlochè, o fosse per difetto fondamentale della commedia, ovvero per quello dell’esecuzione, essa andò a terra alla prima recita, e fu ritirata immediatamente. Ma una commedia veneziana rianimò subito dopo il teatro; fu questa I Morbinosi: Morbin nel linguaggio veneto significa allegria, passatempo, divertimento; onde I Morbinosi possono addirittura chiamarsi persone di buon umore, e partigiani dell’allegria. Il fondo della commedia era isterico. Uno di questi uomini briosi propone una refezione a bocca e borsa in un giardino dell’isola della Zueca, pochissimo distante da Venezia. Mise insieme una conversazione di cento venti compagni ed io pure era del numero. Eravamo tutti all’istessa tavola benissimo serviti, con un ordine mirabile e con maravigliosa precisione. A desinare non vi furono donne, ma ne sopraggiunsero molte nel tempo delle frutte e del caffè; quindi fu dato principio ad un grazioso ballo, e così passammo piacevolissimamente la notte. Il soggetto di questa commedia non era in sostanza che una festa, conseguentemente era necessario abbellirlo con piacevoli aneddoti e con caratteri comici: ne trovai a sufficienza nella nostra brigata medesima, e procurai di profittarne senza portar offesa a chicchessia. In somma questa commedia incontrò moltissimo, e fino dalla prima recita aveva due o trecento persone intente ad applaudirla, onde non poteva mancare di ottenere un ottimo effetto. Con essa appunto restò chiuso il teatro di quell’istesso anno.
Nella quaresima poi, mi pervenne una lettera di Roma. Il conte*** si trovava nell’impegno di sostenere in quella capitale il teatro Tordinona. Egli aveva posto gli occhi sopra di me; mi richiedeva commedie per i suoi comici, e m’invitava di più a portarmivi personalmente per dirigerli. Non ero per anche stato mai a Roma, e le condizioni che mi si proponevano erano onorevolissime: potevo io ricusare un’occasione così favorevole e sì vantaggiosa? Ciò non ostante non potevo accettare senza il consenso del patrizio, da cui mi era stata affidata l’intera direzione del suo teatro di Venezia. Gli partecipai adunque la proposta, e lo assicurai, che non avrei mai lasciato mancare composizioni nuove ai suoi comici. Egli acconsentì senza la menoma difficoltà, e ne dimostrò anzi molta compiacenza. Accettai dunque l’invito, e mi rifeci subito dal chiedere notizie relativamente al locale del teatro Tordinona ed agli attori. La persona incaricata della mia corrispondenza non mi disse nulla sopra questi due articoli, che mi parevano della maggiore importanza. Costui si figurava, che io, giunto a Roma, fossi in grado di soffiar commedie come si soffia il vetro per fare i bicchieri, e solo mi diè contezza della sua premura per trovarmi a pigione un bell’appartamento, posto nel miglior quartiere di Roma, in casa di un abate molto civile e cortese che per le sue relazioni era anche in grado di rendermi il soggiorno di Roma più piacevole. Accettai la proposizione, nè potendo far cosa alcuna per gli attori di Roma, che non conoscevo, impiegai tutto il tempo per i comici di Venezia.