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capitolo xxxvi | 241 |
questa commedia incontrò moltissimo, e fino dalla prima recita aveva due o trecento persone intente ad applaudirla, onde non poteva mancare di ottenere un ottimo effetto. Con essa appunto restò chiuso il teatro di quell’istesso anno.
Nella quaresima poi, mi pervenne una lettera di Roma. Il conte*** si trovava nell’impegno di sostenere in quella capitale il teatro Tordinona. Egli aveva posto gli occhi sopra di me; mi richiedeva commedie per i suoi comici, e m’invitava di più a portarmivi personalmente per dirigerli. Non ero per anche stato mai a Roma, e le condizioni che mi si proponevano erano onorevolissime: potevo io ricusare un’occasione così favorevole e sì vantaggiosa? Ciò non ostante non potevo accettare senza il consenso del patrizio, da cui mi era stata affidata l’intera direzione del suo teatro di Venezia. Gli partecipai adunque la proposta, e lo assicurai, che non avrei mai lasciato mancare composizioni nuove ai suoi comici. Egli acconsentì senza la menoma difficoltà, e ne dimostrò anzi molta compiacenza. Accettai dunque l’invito, e mi rifeci subito dal chiedere notizie relativamente al locale del teatro Tordinona ed agli attori. La persona incaricata della mia corrispondenza non mi disse nulla sopra questi due articoli, che mi parevano della maggiore importanza. Costui si figurava, che io, giunto a Roma, fossi in grado di soffiar commedie come si soffia il vetro per fare i bicchieri, e solo mi diè contezza della sua premura per trovarmi a pigione un bell’appartamento, posto nel miglior quartiere di Roma, in casa di un abate molto civile e cortese che per le sue relazioni era anche in grado di rendermi il soggiorno di Roma più piacevole. Accettai la proposizione, nè potendo far cosa alcuna per gli attori di Roma, che non conoscevo, impiegai tutto il tempo per i comici di Venezia.
CAPITOLO XXXVI.
- Seconda lettera da Roma. — Mia partenza per quella città con mia moglie. — Visita di Loreto. — Alcune osservazioni sopra questo santuario e le sue ricchezze. — Mio arrivo a Roma. — Colloquio col signor conte*** e i suoi comici.
Erami già noto che da qualche tempo le mie commedie si recitavano in Roma al teatro Capranica, e che vi erano applaudite in egual modo che a Venezia. Andavo adunque a lottare contro me medesimo, e volevo fare in modo, che la mia presenza e le mie cure facessero dare la preferenza al nuovo spettacolo che doveva aprirsi sotto la mia direzione. Io non aveva mai arrischiato alcuna delle mie commedie senza aver prima cognizione degli attori che dovevano eseguirle; onde scrissi di nuovo a Roma affine di essere informato del carattere e della attitudine dei comici destinatimi. La risposta fu, che neppure il signor conte*** conosceva i suoi attori, la maggior parte dei quali erano Napoletani, e non si recavano a Roma se non se alla fine del mese di novembre. Mi si faceva inoltre notare in quella lettera, che il signor conte*** non chiedeva commedie nuove; che però poteva portar meco tutte quelle da me composte ultimamente per Venezia; come pure che avrei veduto ed esaminato la compagnia da me medesimo; e che finalmente in un mese di tempo si potevano benissimo metterci in istato di far l’apertura del nuovo spettacolo. Al principio del mese di ottobre