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240 | parte seconda |
me ne sbrigherò con la maggior celerità. Intanto ecco un altro mucchietto di soggetti, i cui estratti però non saranno lunghissimi.
Il Ricco insidiato. Il conte Orazio di limitatissime sostanze trovasi tutto a un tratto, per la morte di un suo zio, ricco di cinquantamila lire di rendita, e padrone d’uno scrigno ragguardevolissimo. Il conte è da tutti carezzato, adulato; tutti cercano di guadagnare l’affezione di lui; tutti gli sono amici. Si accorge per altro di essere ingannato; e con animo di assicurarsene, fa comparire un falso testamento di suo zio, che lo priva della successione. Resta allora abbandonato da tutti: onde apre gli occhi, tien conto de’ buoni amici, si toglie tosto d’attorno gli adulatori; e sposa inoltre una signorina, della costanza e dell’affetto della quale aveva già tutte le prove immaginabili. Eccolo perciò ricco più di prima, e ricco realmente, poichè accomoda i suoi affari in modo da conservare intatti i suoi fondi, e goderne tranquillamente.
Questa commedia piacque sommamente, e riportò grand’applauso; ora vediamo l’altra che le successe subito dopo. Essendo in Parma, avevo letto Il Mercurio di Francia, di cui in quel tempo era estensore il signor Marmontel. Questo autore conosciutissimo nella repubblica delle lettere, e segretario perpetuo dell’Accademia francese, rendeva un tal foglio estremamente divertevole per l’importanza de’ suoi racconti morali, pieni di buon gusto ed immaginazione. Lo scrupolo o l’Amore scontento di sè stesso, era uno de’ suoi racconti che più mi piacesse; onde trovando questo tema benissimo adattato al teatro, ne feci una commedia, ch’ebbe per titolo La vedova spiritosa, e che ottenne un incontro felicissimo e costante. Ne ometto perciò l’estratto, perchè i racconti morali del Marmontel sono per le mani di tutti, anzi Lo scrupolo trovasi appunto nel primo volume di tal preziosa raccolta. Non mi diffonderò poi di più sulla commedia che succede a questa perchè non ne merita conto per la sua debolezza, ed è La Donna di governo. Nulla vi è di sì comune e di meno importante, che questa razza di serve padrone; le quali ingannano i loro principali ad oggetto di trattare i propri amanti. La servetta, che per verità era un personaggio molto buono, si mise in capo di rappresentar sè stessa nella parte che le apparteneva; nè aveva tutti i torti: onde il suo cattivo umore la rese goffa e ridicola; perlochè, o fosse per difetto fondamentale della commedia, ovvero per quello dell’esecuzione, essa andò a terra alla prima recita, e fu ritirata immediatamente. Ma una commedia veneziana rianimò subito dopo il teatro; fu questa I Morbinosi: Morbin nel linguaggio veneto significa allegria, passatempo, divertimento; onde I Morbinosi possono addirittura chiamarsi persone di buon umore, e partigiani dell’allegria. Il fondo della commedia era isterico. Uno di questi uomini briosi propone una refezione a bocca e borsa in un giardino dell’isola della Zueca, pochissimo distante da Venezia. Mise insieme una conversazione di cento venti compagni ed io pure era del numero. Eravamo tutti all’istessa tavola benissimo serviti, con un ordine mirabile e con maravigliosa precisione. A desinare non vi furono donne, ma ne sopraggiunsero molte nel tempo delle frutte e del caffè; quindi fu dato principio ad un grazioso ballo, e così passammo piacevolissimamente la notte. Il soggetto di questa commedia non era in sostanza che una festa, conseguentemente era necessario abbellirlo con piacevoli aneddoti e con caratteri comici: ne trovai a sufficienza nella nostra brigata medesima, e procurai di profittarne senza portar offesa a chicchessia. In somma