Memorie di Carlo Goldoni/Parte seconda/XL

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Carlo Goldoni - Memorie (1787)
Traduzione dal francese di Francesco Costero (1888)
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Parte seconda - XXXIX Parte seconda - XLI

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CAPITOLO XL.

Mie nuove commedie esposte in Venezia nel tempo della mia assenza. — La Sposa sagace, commedia di cinque atti, in versi. — Suo felice successo. — Lo Spirito di contraddizione, commedia di cinque atti in versi. — Alcune parole sul medesimo soggetto già trattato dal Dufreny. — La Donna sola, di cinque atti, in versi. — Il segreto di questa commedia. — Suo buon successo. — La buona Madre, commedia di tre atti, in prosa. — Suo poco incontro. — Le Morbinose, commedia di gusto veneziano di cinque atti, in versi. — Suo magnifico successo.

Ritornando alla mia patria, presi la strada della Toscana, attraversando con infinito piacere quel delizioso paese, ove per quattro anni consecutivi mi ero dilettevolmente occupato. Rividi quasi tutti i miei antichi amici, e mi discostai un poco dal mio cammino per dar di nuovo un’occhiata a Pisa, Livorno e Lucca. Incominciavo già a fare le mie dipartenze coll’Italia, senza ancor sapere di doverla abbandonare per sempre. Arrivato a Venezia, la mia maggior premura fu d’informarmi subito dell’incontro riportato dalle mie nuove commedie, recitate nel tempo della mia essenza. Ne avevo già ricevuto alcune notizie a Roma, ma tra queste ve n’erano delle contradditorie, e nessuna coi particolari. La prima ad esservi esposta fu La Sposa sagace, commedia lavorata da me con cura; ed ebbi molto caro di intendere ch’essa aveva corrisposto al mio desiderio. Sposa in italiano non vuol sempre dire donna maritata. Infatti anche una ragazza promessa in matrimonio, e che in Francia direbbesi la prétendue, o la future, in Venezia si chiama sposa. La donna adunque che ha parte nella mia commedia non è, a dir vero, nè sposa, nè maritata. Ella stessa bensì si figura di essere e l’una e l’altra, per causa di un impegno clandestino da lei contratto. Donna Barbara pertanto, che è la signorina in questione, ha la disgrazia di dover trattare con un padre di carattere debole, e con una matrigna ingiusta. Il primo non dà mai retta alle lagnanze della figlia, la seconda la mette in disperazione. Questa giovane ha per amante un uffiziale, che deve partir subito. Temendo di perderlo, accetta un contratto di matrimonio segreto, ch’ella pure soscrive di proprio pugno, insieme a due servitori che servono di testimoni, ed in virtù di tale atto ella si crede maritata. Non è qui questione di sapere se questo impegno sia valido o insussistente: la sostanza, è che il militare, come persona della conversazione della matrigna, deve frequentare la casa di lei, occultare per conseguenza la propria inclinazione ed il suo titolo, e mantenersi ad un tempo amante dell’una, e cicisbeo della seconda. Un soggetto di tal sorte comparirà forse un poco pericoloso, ma di fatto non è tale: poichè tutte quante le scene sono convenientemente condotte, e la signorina sostiene la sua parte in modo da non comprometter punto nè il proprio decoro, nè la propria delicatezza. Finalmente [p. 251 modifica] ella giunge a vincere il padre; la commedia adunque termina col matrimonio dei due amanti e con la desolazione della matrigna, che diviene perciò lo scherno di tutta la conversazione. Questa commedia riuscì molto allegra e molto divertevole; infatti venni assicurato che il suo incontro non poteva essere più bello. L’altra che le successe fu Lo Spirito di contraddizione. In Venezia non avevo quella collezione di autori francesi che adesso sono il più prezioso ornamento della mia piccola libreria, nè avevo contezza alcuna dello Spirito di contraddizione del Dufreny; ma siccome questo vizio è uno dei più incomodi per la civile società, non poteva certamente obliarlo. Ho veduto rappresentare in Parigi la composizione dell’autore francese, l’ho letta e confrontata anche in sèguito con la mia, perciò posso francamente dire che abbiamo trattato ambedue un soggetto istesso, ma che i nostri metodi non han fra loro somiglianza alcuna. Infatti, quella del Dufreny non è che un solo atto in prosa, e la mia è di cinque, e in versi: e credo, se non erro, che in quella siavi più arte che natura, e nella mia più natura che arte: dimodochè se il mio lettore fosse in istato di confrontarle, vedrebbe forse che non ho torto. Frattanto passiamo alla terza commedia esposta in Venezia nel tempo della mia permanenza in Roma, cioè La Donna sola. La signora Bresciani, che recitava sempre le prime parti, e che godeva una stima della quale era ben meritevole per tutti i titoli, non tralasciava d’avere anch’essa i suoi difetti. Aveva fra l’altre cose un’estrema gelosia delle sue compagne, nè poteva soffrire che verun’altra attrice riportasse applausi. Mi era grave, e dispiacevami all’estremo una ridicolezza di tal sorte nella signora Bresciani; onde ricorsi al mio costume di punire con dolcezza i miei attori quando mi recavano dispiacere. Composi perciò una commedia, nella quale non era che una sola donna, poichè tanto nel titolo come nel soggetto dir volevo alla signora Bresciani: Volevi esser sola; eccoti contenta. A dir vero, ella aveva molto ingegno, onde non fu burlata; anzi trovò la commedia di molto suo genio, e vi si prestò con buona grazia e con affetto. In una parola l’attrice piacque molto, e la commedia ebbe grandissimo incontro.

Ecco tre composizioni che ebbero un buonissimo successo: ma la quarta, cioè La buona madre, non ebbe l’istessa fortuna. Negli anni antecedenti avevo fatto La buona figlia, La buona moglie, La buona famiglia; onde, benchè sia vero che la bontà non possa mai dispiacere, il pubblico però annoiasi presto di tutto, e ancorchè sia vario il soggetto, non ama la ripetizione dei medesimi motivi o la somiglianza dei caratteri. La buona madre non fu nè disprezzata nè applaudita; fu bensì ricevuta freddamente, e non ebbe che sole quattro rappresentazioni. Ecco adunque una commedia onesta andata a terra onestissimamente. L’ultima poi con cui restò chiuso il carnevale dell’anno 1758 riuscì in modo, che venni colmato di lettere di elogi e di racconti particolareggiati che non finivano mai; ebbi di che leggere e di che divertirmi per tre poste consecutive. Le Morbinose era il titolo di questa felice commedia. Avevo già l’anno precedente esposti in Venezia I Morbinosi, dei quali ho già reso conto di sopra nel capitolo XXXV, dove ho spiegato il vocabolo veneziano Morbinosi. Nel nostro caso si adopera femminino, che può essere sostantivo e adiettivo, e le Morbinose nel linguaggio veneziano altra cosa non significa, se non se donne di bel tempo. Il luogo della scena è a Venezia, e i personaggi sono tutti Veneziani, fuorchè un solo forestiero, che per il suo linguaggio [p. 252 modifica] toscano e per le abitudini contratte nel suo paese fa contrapposto all’idioma e ai costumi della nazione veneziana. Questo forestiero chiamato Ferdinando, essendo raccomandato a buoni cittadini di Venezia, aveva fatto moltissime conoscenze. Infatti, è benissimo ricevuto in molte conversazioni, ma le donne di questo paese che formano la principal delizia del brio nazionale, trovano il toscano affettato, lezioso e lo deridono; profittano del carnevale per fare a lui delle burle al solo scopo di raddolcire alquanto la sua naturale rustichezza, e dargli il tono e l’affabilità veneziana, e giungono sì abilmente al loro intento, che il signor Ferdinando s’innamora d’una di queste signorine, la sposa, e si stabilisce in Venezia per sempre. Facevo la corte alle donne del mio paese, ma nello stesso tempo procuravo il mio vantaggio; giacchè per incontrare il genio del pubblico è necessario rifarsi dal lusingare il bel sesso.