Memorie di Carlo Goldoni/Parte prima/XXVI

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Carlo Goldoni - Memorie (1787)
Traduzione dal francese di Francesco Costero (1888)
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CAPITOLO XXVI.

Seguito del capitolo precedente.

Mia madre nulla sapeva di ciò che seguiva in una casa ove ella non andava troppo spesso, ma la signorina Mar*** si valse maliziosamente delle cerimonie d’uso per informarla: le mandò un biglietto di matrimonio. Mia madre ne fu sommamente maravigliata, me ne tenne proposito, ed io fui obbligato a confessar tutto; procurando però di render meno reprensibile la sciocchezza da me fatta, con dire d’aver fatte valer per buone promesse, ch’erano sottoposte a cauzione, e finalmente aggiungendo, che nella mia età una donna di quarant’anni non mi conveniva. Quest’ultima ragione acquietò mia madre più che le altre. Mi domandò se il tempo del mio matrimonio era stato fissato, ed io le dissi di sì, come pure che vi erano ancora tre buoni mesi di tempo. In Venezia per maritarsi in buona regola, e con tutte le follie [p. 74 modifica] del costume, abbisognano molte più cerimonie che in qualunque altro luogo.

Prima cerimonia. La firma del contratto con l’intervento dei parenti e degli amici; formalità che noi avevamo evitata avendo firmato il nostro alla chetichella. — Seconda cerimonia. La presentazione dell’anello. Non è già questo l’anello nuziale, ma una gioia, o un solitario, che il futuro sposo deve regalare alla sua bella. Sono invitati in quel giorno parenti e amici; grand’apparato in casa, molto fasto, la massima gala, nè si fa mai veruna adunanza in Venezia, senza che vi siano rinfreschi costosissimi. Non avevamo potuto evitarlo; il nostro matrimonio, benchè ridicolo, doveva far dello strepito; bisognava fare come gli altri, e andare fino in fondo. — Terza cerimonia. La presentazione delle perle. Alcuni giorni precedenti a quello della benedizione nuziale, la madre o la parente più prossima dello sposo, si porta a casa della signorina, le presenta un vezzo di perle fini, che ella porta regolarmente al collo da quel giorno fino al termine dell’anno del suo matrimonio. Vi sono poche famiglie, che abbiano di proprio questi vezzi di perle, o che vogliano farne la spesa; si prendono bensì a nolo, e se sono punto belli, il nolo è carissimo. Questa presentazione porta seco balli, banchetti, abiti, e per conseguenza molte spese. Non farò parola dell’altre cerimonie successive, che sono a un dipresso simili a quelle che si fanno dappertutto. Mi fermo unicamente su quella delle perle, che avrei dovuto fare, e che non feci per cento ragioni, la prima delle quali era di non aver più danaro.

Quando vidi avvicinarsi quest’ultimo preliminare di nozze, feci far parola alla mia pretesa suocera, affinchè ella mi assicurasse le tre condizioni del nostro contratto. Si trattava di rendite, delle quali bisognava darmi i titoli; di diamanti, che la madre doveva rimetter nelle mani della sua figliuola o nelle mie avanti il giorno della presentazione delle perle, e di farmi passare in tutto o in parte quella somma considerabile, che il protettore incognito le aveva promessa. Ecco il risultato del colloquio, di cui si era incaricato uno de’ miei cugini. Le rendite della signorina consistevano in una di quelle pensioni vitalizie, che la Repubblica aveva destinate a un certo numero di zitelle; è necessario però che ognuna aspetti la vacanza del posto, e dovevan morire quattro prima che la signorina St*** ne potesse godere; ella stessa poteva morire avanti di giungere a conseguire il primo posto. I diamanti poi, erano decisamente destinati per la figlia; ma la madre, che era ancor giovine, non voleva privarsene in vita, nè gli avrebbe dati che dopo morte. Riguardo poi a quel signore, il quale, non si sa perchè, doveva dar del danaro, aveva intrapreso un viaggio, nè era per tornar così presto. Eccomi pertanto molto bene accomodato e contento. Non avevo assegnamenti bastanti per sostenere un mantenimento costoso, e molto meno per eguagliare il lusso delle due coppie fortunate; il mio Studio non rendeva quasi nulla, avevo contratti dei debiti, mi vedevo sull’orlo del precipizio, ed ero amante. Ruminai, riflettei, e sostenni l’atroce guerra dell’amore e della ragione; quest’ultima facoltà dell’anima la vinse sopra l’impero dei sensi. Partecipai a mia madre la mia condizione, ed ella convenne meco con le lacrime agli occhi, che, per evitare la mia rovina, era necessario un violento partito. Impegnò i suoi capitali per pagare i miei debiti di Venezia; io le cedei i miei propri di Modena per il suo mantenimento, e presi la risoluzione di partire.

Nel momento più seducente per me, dopo il felice mio primo [p. 75 modifica] saggio dato al palazzo in mezzo ancora alle acclamazioni della curia, lascio patria, parenti, amici, amori, speranze, professione. Parto, e metto piede a terra in Padova. Il primo passo era fatto, gli altri non mi costarono più nulla; grazie al mio buon temperamento; eccettuata mia madre, mi scordai di tutto il resto, e il piacere della libertà mi consolò della perdita della mia signorina. Scrissi, partendo da Venezia, una lettera alla madre della sventurata, attribuendo a lei sola la causa immediata del partito al quale ero stato ridotto; rassicurai, che quando fossero state mantenute le tre condizioni, non avrei tardato a ritornare; ma nell’aspettar la risposta seguitavo sempre il mio viaggio. Portai meco il mio tesoro: era l’Amalasunta, che avevo composta nei momenti del mio ozio; e sopra la quale avevo delle speranze, che credevo ben fondate, sapendo che l’Opera di Milano era una delle più considerabili d’Italia e d’Europa.

Mi ero proposto di presentare il mio dramma alla Direzione, che era in mano della nobiltà di Milano, ed avevo fatto il conto, che la mia opera sarebbe stata bene accolta, e che non mi sarebbero mancati cento zecchini; ma a chi fa i conti senza l’oste convien farli due volte.