Memorie autobiografiche/Primo Periodo/VIII

Primo Periodo - VIII

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Capitolo VIII.


Dopo d’aver fatto circa quattro miglia tra le commoventissime descritte scene, io giunsi alla casetta [p. 23 modifica]ch’io avevo scoperta dal bordo, ed in essa io ebbi un piacevolissimo incontro: una giovane e ben graziosa donna, che mi accolse del modo il più ospitale. Non era forse una bellezza raffaellesca, ma era bella, educata e di più poetessa; ma guardate combinazione! in quella solitudine, a tanta distanza dalla capitale, io trasognavo.

Da essa seppi esser la moglie del capataz (maggiordomo) della estancia,1 che trovavasi a molte miglia lontana, e di cui la casa da lei abitata era un semplice posto. Mi fece gli onori di casa con una gentilezza di cui serberò grata memoria tutta la vita; mi offrì il classico mate,2 un buon arrosto, come solo si mangia in quei siti ove la carne è il solo alimento. Seduto e confortato, essa mi parlò di Dante, di Petrarca e dei massimi nostri poeti. Volle farmi accettare come memoria le belle poesie di Quintana, e finalmente mi contò la storia della sua vita. Essa, di agiata famiglia montevideana, era stata obbligata da certe peripezie commerciali di relegarsi nella campagna, ove avea conosciuto il presente suo sposo, con cui era felicissima, e colle sue propensioni romantiche nemmen per sogno essa avrebbe cambiato la condizione presente colla brillante vita della capitale. Alla mia richiesta d’un animale vaccino, per provvista di bordo, essa mi assicurò che suo marito sarebbe felice di contentarmi, e convenne quindi aspettarlo.

Comunque, era già tardi ed impossibile d’aver l’animale alla marina prima del giorno seguente. Il marito stette un pezzo a giungere, ed io, poco conoscitore della lingua spagnola a queir epoca, parlai poco, ed ebbi tempo a meditare sulle vicissitudini della vita. Vi sono delle circostanze nella vita, la di cui memoria è incancellabile. Io dovevo incontrare in quel deserto, moglie d’un uomo forse semi-selvaggio, una bella giovine con [p. 24 modifica]regolare educazione e poetessa. Nell’età mia certo si compiace uno a trovare della poesia ovunque, e si crederebbe la circostanza narrata un parto della fantasia, anziché realtà. Dopo d’avermi presentato le poesie di Quintana, ciò che servì di materia a conversazione, la graziosa mia ospite volle recitarmi alcune composizioni sue, e confesso ne fui ammirato! Mi si obbietterà: Come ammirato, se quasi nulla conoscevi di spagnolo, e pochissimo di poesia? Poco o nulla so di poesia veramente; il bello però della poesia sembrami anche capace di commovere i sordi. La lingua spagnola poi ha tanta affinità colla nostra, ch’io non ebbi molta difficoltà a capirla, nemmeno al principio del mio soggiorno ove si parlava. Io godetti la compagnia dell’amabile padrona di casa sino all’arrivo dello sposo, non sgarbato abbenchè di ruvido aspetto, e col quale restammo convenuti di farmi trovare una rex3 alla spiaggia, nella mattina seguente. All’alba mi congedai dall’interessante poetessa del campo, e tornai ove mi aspettava Maurizio, non senza timore, poiché, piìi pratico di me di quella parte d’America, sapeva esistervi tigri men trattevoli certamente del toro e del cavallo. Poco dopo apparve il capatax con un bue nel laccio, ed in breve tempo lo ebbe mòrto, scorticato e macellato: tale è la destrezza di quella gente in codesti esercizi di sangue. Ora si trattava di portare un bue in pezzi dalla costa al legno, distante circa mille passi, attraverso’ i frangenti del mare arrabbiato, ch’era una consolazione per chi doveva attuarne l’impresa. Eccoci, Maurizio ed io, all’arduo travaglio. I due barili vuoti erano già fissati alle estremità del gastronomico vascello, con molta cura legati i quarti del bue all’albero improvvisato e con molta cura tenuti fuori del mare; una pertica in mano a ciascuno serviva di remo e di buttafuori. L’equipaggio poi, alleggerito di panni il più possibile, trovavasi, al galleggiare del barco, coll’acqua sino alla cintura. E [p. 25 modifica]voga la barca! allegrissimi del nuovo modo di navigare, e fieri del pericolo alla vista dell’Americano che ci applaudiva, e de’ compagni che pregavano forse più per la salvezza della carne che per la nostra, noi ci avventurammo nell’onda. Per un tratto non andava male, ma giunti ai più lontani e più forti frangenti, eravamo alcune volte sommersi da quelli, e rigettati verso la costa, ch’era il peggio. Passammo con serie difficoltà tutti i frangenti, quindi una non minore, e per noi invincibile trovavasi fuori de’ frangenti, ove in una profondità di quattro braccia4 la corrente del fiume era assai forte, e ci trasportava a scirocco lungi dalla Luisa. Altro rimedio non vi fu se non quello di mettersi alla vela la sumaca e venire in traccia nostra sino a poterai gittare una cima. Fummo salvi allora e con noi la carne tutta, a cui gli affamati nostri compagni diedero dentro maravigliosamente.

Nell’altro giorno, passando una palandra (piccolo barco da fiume), immaginai comprare da quella la lancia che si vedeva su coperta. E realmente mettemmo alla vela, abbordammo la palandra che donò di buon grado il richiesto palischermo col cambio di trenta scudi.

Passammo quel giorno ancora alla vista della punta di Jesus Maria, aspettando vanamente intelligenze da Montevideo.



Note

  1. Estancia, che corrisponde allo stazzo sardo, cioè stabilimento pastorizio.
  2. Infusione di foglie d’albero dello stesso nome che supplisce nell’America meridionale il caffè e thè.
  3. Rex, vaccina ammazzata per macellare.
  4. Si ricordi il lettore che il Rio do la Plata ha un’imboccatura di cento miglia di largo.