Meganira (1834)/Atto primo

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Persone della favola Atto secondo
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ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

Aretusa e Meganira.

Aret. Or che m’hai fatta lieta,
     O Meganira della tua presenza,
     Per grazia non t’incresca
     Darmi contezza de’ parenti tuoi;
     Che novelle mi dai del buon Logisto?
     Ei crescea, come giovine arboscello;
     Mantiene ei sua bellezza
     Dal di ch’io non l’ho visto?
     Certo vantar ti puoi
     D’un ben gentil fratello.
Meg. È la nostra famiglia in lieto stato;
     Menalca, ed Anfigene
     Reggono il peso della lor vecchiezza;
     Il mio fratel Logisto
     Si gode il fior della sua giovinezza.
Aret. Diasene lode a Dio; per la sua mano
     Il ben ci s’avvicina,
     E la sua mano istessa
     Il mal ci fa lontano;
     Ma di te, che presente io veggo adorna
     D’una somma beltade
     Che chiederò? Non altro certamente
     Fuor, che tu voglia dire
     La verace cagion del tuo venire
     Per le nostre foreste;
     Chi t’ha fatta secura
     Verginella soletta?
     Non ti prese paura
     Di fiero incontro d’animal selvaggio,
     O d’altro fiero oltraggio?

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Meg. Aretusa, gli strali, e la faretra
     Di qualunque timor ponno sgombrarmi;
     A vergini d’Arcadia
     Non veramente son concesse l’armi;
     Oggi qui son venuta
     I giochi a rimirar della gran festa:
     Ed ancor mi sospinge
     Un possente desire,
     Il qual si mi molesta,
     Che non ha pace il core.
Aret. Questo novo rossore
     O Meganira, che ti copre il viso,
     Mi sveglia nel pensier qualche sospetto;
     Ma sia che vuol, non mi tener secreta
     Tua gioja, o tuo dolore;
     Svelami la cagion, che ti conturba,
     Ancor che fosse amore.
Meg. Ubbidirotti; omai due volte il verno
     Gli alberi ha scossi delle natíe frondi,
     Che se ne venne Alcippo
     Ne’ campi di Liconte a far dimora;
     E venne per cagion, che Menalippo
     Sposò sua figlia al giovine Terillo;
     Or fra le molte schiere ivi raccolte
     D’amorosi pastor, nessuno in danza,
     Siccome ei, destramente i piè movea,
     Ne contra gli animali infra le selve
     Arco più fortemente alcun tendea;
     Di gran lupo cervier vestia la pelle,
     Sua chioma innanellata era fin oro,
     Fresca rosa le guancie, e gli occhi stelle.
Aret. Senza che più tu dica emmi palese,
     Che la beltà d’Alcippo il cor t’accese;
     Ma dimmi tu, da cotesti occhi tuoi
     Usciro fiamme tali,
     Che lasciassero caldi i pensier suoi?
Meg. Ciò, che teco parlo io di sua beltate,
     Ei dicea della mia;
     Ma io parlo di lui veracemente,
     Egli forse di me dicea bugía;
     E tutto il tempo, che ’n Liconte ei visse,
     Ninfa alcuna non fu, s’a’ suoi sembianti
     Massi da prestar fede,
     Che più di me gradisse;
     Sen venne al fine il tempo
     Che qui ne’monti Caffj ei fe’ ritorno;
     E fa più duro il fiel della partita,
     Che non fu dolce il miel del suo soggiorno;
     Dissemi sul partir, che non mai meno
     Verrebbe nel suo cor la mia memoria;
     Fece preghiera al Ciel, che se giammai
     Vedesse un solo di, ch’ei non m’amasse,
     Col più torbido tuono il fulminasse.
     E per segno d’amor mi porse in dono
     Questo candido vel fregiato d’oro
     Che caramente in sulle chiome io porto;
     E nella lontananza, e negli affanni,
     Ed in ogni dolore emmi conforto.
Aret. Ma dopo la partita
     Hai ricevuto segno,
     Che duri nel suo cuore
     L’amorosa ferita?
Meg. A me di lui novella unqua non venne,
     Onde movo a cercare
     S’io debbo di sua fede
     Sperare, o disperare.
Aret. Meganira, l’amore a gioventute
     È come luce a stella;
     Vergognarti non déi d’essere amante;
     Ma non vo’, che rimanga in queste pene
     Tuo cor più lungamente;
     Tu sei bella; e tuo sangue alteramente
     Orna queste foreste;
     Gli avi tuoi da Cillenia son discesi,
     La qual fra noi terreni
     Era come celeste;
     Alcippo d’altra parte oggi non meno
     Splende di giovanezza,
     E suo sangue ne vien dal gran Peneo,
     Che fra gli Arcadi ancor tanto s’apprezza;
     A ragione Imeneo
     Deve con esso Amor sempre legarvi;
     Rimanti, io vo’ saper, s’Alcippo in petto
     Serba l’usato foco;
     Ed indi procacciar, che fatta sposa
     Ti si rivolga in diletto
     La tua penna amorosa.
Meg. Quando da prima Aleippo
     Con sua beltà m’accese,
     Della passata vita odio mi prese,
     Si la stimai d’ogni dolcezza priva;
     Ed oggi, che d’amor provo il tormento,
     Con tutto il cor sospiro
     La libertà perduta,
     E d’esser serva per amor mi pento;
     Così lassa desiro,
     Ed a’ miei desiderj non consento;
     Ma chi veggio apparire?
     Parmi Logisto, ed è seco Selvaggio;
     Già non voglio da loro essere scorta;
     Chiudendomi qui dentro,
     E se vorranno entrare
     Farò, che’n van percoteran la porta.

SCENA II

Logisto, Selvaggio e Tirsi.

Tir. Or se più, come dite
     Giovinetti gentili
     Non fosse in questi giorni in queste selve,
     Gran meraviglia arete
     In veder tante turbe a passar l’ore
     Così gioconde, e liete;
     Vedrete in prova arcieri,
     Vedrete lottatori,
     E trascorrer leggieri,
     Come se piume avessero, cursori.
Log. Ottimamente spesi
     Dunque fian nostri passi;
     Ma Tirsi io non intesi
     Perchè cotal stagione
     Empia si d’allegrezza il Monte Caffio.
     Sel. Di farcela palese non t’incresca,
     Se ne sai la cagione.
Tir. Io solla appieno, e m’apparecchio a dire:
     Ne sarò lungo, udite,
     Che fa dolce l’udire;
     Già bellissima Ninfa in queste selve
     Nacque di sangue oltra ciascuno altero;
     Chiamossi Hiante, nè giammai faretra
     Serbò saette si temute in caccia

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     Da fier cinghiali, e da terribili orsi;
     Che più? col piè leggiadro ella per via
     Ogni cervetta si lasciava a tergo
     E creder fea, che sulle bionde spiche
     Ita sarebbe, e sovra il mar spumante
     Ed appena bagnate aria le piante;
     Splendeva allor non meno in questo monte
     Di nobiltate, e di bellezza Alcasto
     Cacciatore infra gli Arcadi famoso
     A meraviglia; egli col cor feroce
     Fería leoni, ed ogni fier ruggio
     Per solitario orror d’alta foresta
     Era da lui cupidamente udito;
     Così pari d’età, pari d’onore,
     E pari di valor furono accesi
     Di pari fiamma: era comun desire
     De’ padri lor farli consorti, ed era
     Omai vicina la giornata eletta;
     Gioiva Arcadia, ed era tutta in festa,
     Quando improvviso nuvolo di pianti
     Ci ricoperse, e le bramate nozze
     Rivolse in lutto e la cagion fu questa:
     Aveva Alcasto un singolare amico
     Detto Melampo; la beltà d’Hiante
     Il distruggea, ma tenea chiuso il foco;
     Questi veggendo nelle braccia altrui
     La carissima Ninfa, empio pensiero
     Fece per acquistar l’alta bellezza;
     Ben è ver, ch’ogni legge Amor disprezza;
     Egli Alcasto invitò, che seco a caccia
     N’andasse incontra i lupi, e traviollo
     Con molte frodi, fra remote balze
     Lunge dall’altra turba; ivi cogliendo
     E tempo, e loco insidïoso spinse
     L’incauto amico in precipizio, e poscia
     Alzò le strida, e dimandando aita
     Tutti chiamava i cacciator seguaci,
     E con bugiarde lagrime giurava
     Voler uscir dall’odïosa vita;
     Corse la fama dolorosa, e spense
     In questi boschi ogni gioir, ma quante
     Lagrime sparse, e come al ciel si dolse
     Mal si potrebbe dir, la bella Hiante;
     Si visse un tempo in queste angoscie, al fine
     Manifesto Melampo il suo desire
     Chiedendo Hiante per isposa; Hiante
     Facea rifiuto; con Alcasto estinto
     Non era estinta nel suo cor la fede;
     Pur di Melampo i preghi, ed il consiglio
     Forte d’ambo i parenti le piegaro
     Il pensier saldo; dell’altrui volere,
     Ella a sè fece legge, e suo mal grado
     Volentier secondò l’altrui piacere;
     Or quando delle nozze il dì vicino
     Sen venne, fe’ vedersi alla sua donna
     Il morto Alcasto repentinamente;
     Apparvele dormendo in sul mattino
     L’ombra dilacerata, e pienamente
     Spiegò la froda del crudele amico;
     Le braccia, a cui ti doni, in cotal guisa
     Già mi conciaro: ah se l’amor fu vero,
     Che mi mostrasti un tempo, ora contrasto
     Fa di quell’empio a scellerati inganni;
     Te ne scongiura il tuo fedele Alcasto;
     Così le disse, e dispari; pensando
     Stette la Ninfa in forse, e della vista
     Tanto dolente, e dell’istoria atroce,
     Ch’udita avea, ma sul mattin seguente
     L’ombra medesma a lei mostrossi, e disse
     Gli stessi avvenimenti, allor fermossi
     Ben persuasa un gran pensier nel petto;
     Pensò farsi di fede altero esempio,
     E vendetta pigliar del suo diletto;
     Si finse dunque lieta oltra l’usato;
     E tra ninfe, e pastor scelse i più cari,
     E tra i primi Melampo; indi con arco,
     E con faretra se n’andaro a’ monti,
     Ove Alcasto fu morto, ivi intra i gridi
     Del comune piacere ella un quadrello
     Pon sulla corda, e quando ogn’uno intento
     Rimirava qual fera ella impiagasse
     Con forte sdegno la saetta avventa
     Contra Melampo, ei sulla ria ferita
     Cadde supin tutto di sangue involto,
     E tutti i cacciator tinsero il volto
     Di meraviglia e di terrore; Hiante
     Allor gioconda alzò la voce, e disse
     Il tradimento occulto; e fe’ palese,
     Perchè quello infedele ella trafisse,
     Poi mosse il piede, e nelle chiuse selve
     Tra monti inaccessibili si visse
     A ciascuno invisibile; stimaro
     Questo esempio d’amore i nostri antichi
     Cotanto avanti, ch’a costei sacraro
     Giorno giojoso rivolgendo l’anno;
     Perchè qui si festeggi omai sapete,
     Ma quanto ha seco di piacer la festa
     Gli occhi vostri diman sel mireranno,
     E così favellando
     Nostro viaggio èssi condotto al fine;
     Colà son le capanne
     Della vostra Aretusa: or siate a Dio.
Log. A Dio Tirsi; felici
     Sieno i tuoi giorni, e credi
     Che’n tutto di servirti ho gran desio.
Tir. Io te ne rendo grazie.
Sel. Così ti dico anch’io;
     Ma qui rinchiuso è l’uscio,
     Ed al nostro picchiar nessun risponde.
Log. Andiam verso la piazza de’ pastori.
     Colà vedrem gli amici.
     Poscia qui torneremo, allor tornata
     Forse la troveremo.

SCENA III

Meganira.

Se qui faran ritorno, a me conviene
     Di qui far dipartita;
     Non vo’, che per Logisto
     S’intenda a caso la venuta mia,
     Cercherò d’Aretusa, o pur d’Alcippo
     Secretamente, se possibil fia;
     E perchè possa entrar, lascio la porta
     Nè aperta, nè chiusa;
     Strano a pensar, che da principio Amore
     Ci porge con piacer tanta speranza,
     E che poi fra dolore
     Per poco da sperar nulla n’avanza.